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Mercoledì 05 FEBBRAIO 2020
La sanità calabrese in “dissesto”. Pagamento dei debiti a rischio?

L'applicazione del dissesto alle aziende della salute - che giova ripetere godono di autonomia imprenditoriale - è da ritenersi non solo inadeguato ma illegittimo sotto il profilo dei principi fissati dalla Costituzione in relazione all'autonomia riconosciuta agli enti territoriali che impone all'ente Regione il ripiano delle perdite di esercizio e la copertura del netto patrimoniale negativo prodotto dal suo sistema regionale della salute

Il governo Conte, in entrambe le sue versioni, ha dichiarato guerra alla Calabria in termini di esigibilità dei Lea. Non ha fatto altro che metterne in serio pericolo la normale percezione collettiva. Una erogazione divenuta così (dicunt) solo di recente, ancorché accertata (!) ma livelli minimali, sulla cui verosimiglianza sono però in tanti a metterla seriamente in dubbio.
È, infatti, evidente il suo impegno a prosciugare l'esistenza del servizio sanitario regionale interessato.
 
La sue pratiche radono al suolo una regione già in ginocchio
Protagonista diretta del macabro progetto è stata la ministra della salute dell'epoca con la complicità dell'omologo del Mef di allora e del Premier, che ne hanno consentito tutte le fasi di perfezionamento.
 
Corresponsabili in continuità, nell'edizione giallorossa, gli attuali ministri della sanità e del Mef nonché l'onnipresente Giuseppe Conte, «rei» oggi di tollerarne la cinica esistenza normativa, nonostante la evidente disfatta in Calabria del diritto alla tutela della salute.
 
Ebbene si, con il D.L. 35/2019 - prescindendo dalla (si augura) buona fede del suo ispiratore di volere contribuire alla soluzione dei problemi decennali della sanità calabrese - si sono prodotti danni ulteriori e causato drammi inenarrabili. Sono tutti riscontrabili in loco, ove le aziende fanno fatica ad intraprendere l'auspicato cammino del buon funzionamento, determinando difficoltà gravi all'utenza oramai straziata da una sanità che non c'è.

Il fallimento conclamato dell'intervento commissariale
Non solo. A circa un anno dall'anzidetto pernicioso provvedimento, il sistema delle aziende della salute calabresi registrerà un disavanzo di esercizio di 200 milioni di euro, al netto delle coperture ordinarie regionali, che dovranno essere ripianati con risorse aggiuntive da rintracciare nelle pieghe del bilancio della Regione ovvero con maggiorazione delle attuali imposte, al netto di un qualche salvifico introito a titolo di quota spettante sul payback farmaceutico.

Su tutto, si introduce l'impensabile
Non è finita qui. Ciò in quanto con una invenzione che non ha eguali, si introducono, di fatto, gli effetti dell'istituto del dissesto (tipico degli enti locali) in presenza di determinate condizioni di precarietà aziendali, che poi sono quelle alla base dell'originario commissariamento ad acta, ex art. 120, comma 2, Cost. in vigore in Calabria dal 2010 che, a ben vedere, ha aggravato ovvero confermato le difficoltà di bilancio quo ante.
Vediamo cosa prevede questa assurda invenzione legislativa - sulla quale non mancano seri dubbi in relazione al reale scopo che ne ha dettato l'introduzione - che ha già provocato due dichiarazioni di improprio «dissesto» afferenti: all'Asp di Reggio Calabria, nei confronti della quale il commissariamento non è riuscito in dieci anni a fare granché, e all'Asp di Catanzaro.

Ma cosa c'azzecca?
L'applicazione del dissesto alle aziende della salute - che giova ripetere godono di autonomia imprenditoriale - è da ritenersi non solo inadeguato ma illegittimo sotto il profilo dei principi fissati dalla Costituzione in relazione all'autonomia riconosciuta agli enti territoriali che impone all'ente Regione il ripiano delle perdite di esercizio e la copertura del netto patrimoniale negativo prodotto dal suo sistema regionale della salute. Prova ne è l'introduzione stessa dell'istituto commissariamento in applicazione dell'art, 120, comma 2, Cost. altrimenti non applicabile in presenza dell'opzione prevista per gli enti locali, tenuti a vedersela per loro conto attraverso, per l'appunto, una procedura liquidatoria del pregresso ad opera di un organo straordinario di estrazione ministeriale.
Si rischia peraltro il crollo del sistema erogativo
E ancora il «dissesto» - meglio le conseguenze ricadenti a mente dell'art. 248 del Tuel sul ceto creditorio che rischierà di vedersi soddisfatte le pretese in un arco di tempo lunghissimo ovvero ad esito di penalizzanti transazioni - imporrà una situazione di disagio nell'erogazione delle prestazioni essenziali rese da erogatori, sia pubblici che privati.
 
Saranno pertanto difficili le liquidazioni inter-aziendali, più esattamente quelle rese da Ao in favore di quelle territoriali e di quelle rese in regime di mobilità passiva tra regioni, nel confronti delle quali la particolare situazione vieterà, rispettivamente, la liquidazione relativa in sede regionale in attività riconciliativa e la solita compensazione che è d'uso fare nel mese di marzo successivo alla chiusura dell'esercizio in sede di Conferenza Stato-Regioni.
 
Ma non è finita qui. Tutti gli erogatori di prestazioni da rendere all'utenza in regime di convenzionamento (farmacie) e/o accreditamento/contratto (prevalentemente, diagnostica chimico-clinica e per immagini, ospedaliera privata e specialistica) avranno non pochi problemi a percepire i saldi dei loro arretrati, impedendo così agli stessi - sempreché non riescano nel frattempo a fallire - di garantire ogni prosieguo assistenziale con conseguente impossibilità della popolazione ad esigere i relativi Lea.
Cui prodest?
Il motivo di tutto questo? Da una parte, perché qualcuno ha ideato troppo liberamente e scritto a «mano troppo libera» il decreto legge, forse senza sapere di cosa si trattasse ovvero dall'altra, forse con qualche retropensiero, ha tenuto a programmare costosissime e iper-remunerate procedure liquidatorie per miliardi di euro a tutto vantaggio di chi eserciterà il ruolo di commissario straordinario, che si suppone sarà scelto intuitu personae e non già a seguito di procedure altamente selettive.
 
Ettore Jorio
Università della Calabria

 

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