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Martedì 11 FEBBRAIO 2020
Noi medici non siamo eroi né antieroi



Gentile Direttore,
se quella di Cavicchi nel suo articolo del 10 febbraio fosse “semplice” provocazione allora potremmo dire che ha raggiunto vette che in campo artistico lo collocherebbero tra Maurizio Cattelan ed Andy Warhol. Sono giunto a questa conclusione dopo avere letto e riletto le sue parole e questo mi ha consentito di non trarre affrettate conclusioni da alcune sue affermazioni, una per tutte, quando descrive i “medici dello Spallanzani che leggono i loro comunicati giornalieri sulle condizioni cliniche dei malati, ripresi come star dalla televisione a gruppi interi, eleganti nei loro camici immacolati e ben stirati”. Stava per scattare la mia molla del corporativismo.
 
Ci vede il mondo, quei medici dovrebbero farsi forse riprendere in televisione coi camici imbrattati di sangue ed altri liquidi organici per dare testimonianza visiva del fatto che magari fino a pochi minuti prima erano a lavorare in corsia oppure in direzione a calibrare l’ennesimo comunicato stampa da plasmare e smussare per affermare senza rischio di essere male interpretati e di scatenare il virus della paura collettiva?
 
Poi la molla corporativa non è scattata e la lettura si è fatta più serena. Che i medici non abbiano detto una sola parola sul medico cinese Li Wenliang non mi stupisce o meglio forse l’hanno pure detta ma non era facile trovare ospitalità in questi giorni sui media: il collega cinese è morto nei giorni di Sanremo e non è che si possa  aprire un telegiornale sulla rete pubblica senza mettere in scaletta al primo posto il festival nazionale delle canzonette e dei ricchi cachet ben superiori agli stipendi percepiti dalla mano d’opera in camice bianco. Difficile però condividere l’affermazione che nessuna parola sia stata detta dai medici “forse perché presi a inseguire una legge contro la violenza nei servizi”.
 
Magari fosse così caro Cavicchi, perché starebbe a significare che il fenomeno delle aggressioni ai medici è talmente sentito e vissuto male dalla mia categoria da essere elemento di disturbo per ogni altra attività seppur di tipo solidaristico.
 
Su un paio di cose concordo in pieno con Cavicchi. Noi medici non siamo eroi né antieroi e francamente preferiremmo svolgere la nostra bellissima professione senza il rischio, ormai elevato, che una corona senza virus possa essere deposta ai piedi di un medico caduto nell’adempimento del proprio dovere a seguito della ennesima aggressione.
 
“Ciascun medico deve e dovrebbe essere solo un medico. Null’altro che un medico”. Magari fosse così perché questo significherebbe che siamo stati liberati dalle asfissianti pastoie burocratiche e abbiamo ripreso in mano l’amato fonendoscopio come già ebbi a scrivere su queste pagine nel 2015.
 
Luciano Cifaldi
Oncologo
Segretario generale della Cisl Medici Lazio

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