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Mercoledì 12 FEBBRAIO 2020
Sanità e politica. E se anche gli Assessori dovessero avere una formazione ad hoc?

Ritengo personalmente che sia decisivo cominciare ad occuparsi della qualità della politica che governa la sanità a livello regionale (e quindi della formazione e verifica di chi ha la relativa responsabilità) visto che essa costituisce uno dei determinanti più importanti della qualità complessiva del sistema sanitario pubblico

Una recente lettera pubblicata su QS del dott. Giorgio Simon sulle responsabilità dei Direttori Generali nel fenomeno dei medici che lasciano il sistema pubblico per andare nel privato ha ricevuto una insolita, ma non casuale, attenzione con quasi 70 commenti (69 per la precisione) provenienti da tutte le Regioni italiane, con l’esclusione – mi pare - delle sole Province di Trento e Bolzano.  
 
Dalla lettera e dalla testimonianza del dott. Simon emerge quello che per esperienza diretta ed indiretta in molti sanno: tra i fattori influenti sulla qualità dei servizi sanitari regionali e delle Aziende sanitarie un ruolo decisivo viene svolto dalla qualità della politica che li governa e da quella del management che li gestisce. E la qualità dei due mondi tende ovviamente ad allinearsi. E l’allineamento avviene alle regole di oggi sulla riga “segnata” dalla politica regionale, non foss’altro che per il fatto che è lei che sceglie i Direttori, assegna loro gli obiettivi  e ne valuta il raggiungimento.
 
Ma chi i Direttori generali li forma, li studia e li rappresenta questo tema del rapporto tra politica e management come lo inquadra? Un buon punto di partenza è rappresentato dall’ultimo Rapporto OASI 2019del CERGAS dell’Università Bocconi. Qui ho cercato qualche spunto nel capitolo su Il mestiere del Direttore Generale: riflessioni da un’indagine quali-quantitativa per vedere se quella criticità del rapporto tra politica e DG in qualche modo emerge.
 
Al pari di tutto il Rapporto il capitolo presenta elementi di notevole interesse, sia nella parte di analisi della letteratura che in quella “sperimentale” consistente in una survey su un campione di Direttori Generali. In questa seconda parte c’è un primo elemento che salta all’occhio e cioè il fatto che gli incontri con la Regione occupano poco tempo (il 5% del totale), ma sono quelli cui si attribuisce maggior rilevanza strategica (76%).
 
Del rapporto con la Regione si dice che è “ineludibile e, allo stesso tempo, quasi sempre ad alta rilevanza strategica”. Si dice anche che con la Regione devono essere condivise le progettualità strategiche elaborate e i potenziali problemi e le criticità del sistema in modo da lavorare insieme a possibili soluzioni.
 
La Regione è vista poi come il punto di riferimento che dovrebbe garantire la coerenza delle strategie della singola azienda rispetto a una visione sullo sviluppo del sistema sanitario regionale influendo così sugli scambi e sulle relazioni con i Direttori delle altre aziende. In un altro passaggio del capitolo si afferma che contesti più stabili (ad esempio, in presenza di orientamenti politici e gestionali consolidati, e in assenza di piani di rientro) c’è meno pressione da parte degli stakeholder, sia istituzionali, sia del territorio, e meno urgenza di produrre cambiamento, mentre  nei contesti regionali più complessi (ad esempio, con Regioni in piano di rientro) l’urgenza di produrre risultati si traduce talvolta in una maggiore facilità di generare cambiamento. Fin qui i rapporti tra DG e politica sono una “fisiologica” componente del sistema di relazioni in cui il DG è collocato.
 
E’ in un passaggio delle conclusioni che tra le righe emergono in modo abbastanza sfumato le criticità di cui parlava il dott. Simon. Infatti, quando si parla delle diverse fasi in cui si articola la storia di un mandato del DG si dice che il suo è un “difficile mestiere” visto che le aziende sanitarie pubbliche sono sistemi socio-tecnici ad alta intensità professionale che operano, rispondono e si legittimano in contesti fortemente istituzionalizzati e politicizzati, di cui il DG soffre “l’imprevedibilità, l’ambiguità, le contraddizioni, le accelerazioni, gli stalli, le inversioni ed in generale l’instabilità.”
 
Nel rapporto è molto interessante anche la postfazione a cura di Francesco Ripa di Meana e Nicola Pinelli, rispettivamente Presidente e Direttore di FIASO (Federazione Italiana Aziende Sanitarie ed Ospedaliere). Anche qui sul rapporto tra politica e management c’è un passaggio che merita di essere ripreso. Parlando dell’Albo dei direttori generali si dice che ha contribuito a sancire un “confine netto tra politica e management”.
 
In sintesi, nel rapporto OASI non emergono come particolarmente significative le criticità rilevate dal dott. Simon e condivise dai molti commentatori della sua lettera. Nei due capitoli la parola “Assessore” non compare mai (solo una volta la parola Assessorato) e solo due volte compare la parola “politica”.
 
Appare evidente dunque il contrasto tra il tono “alto” dei contenuti del Rapporto OASI e il segnale di forte disagio che viene dalla corrispondenza su QS. Sono evidenti le differenze tra i due contesti, ma ciò non toglie la sensazione che la percezione del rapporto tra politica e management sia molto diversa a seconda che si utilizzi la prospettiva di chi la “studia” e quella di chi ne subisce (o ritiene di subirne) sul campo gli effetti negativi.
 
Del resto anche nelle ricette proposte per la sostenibilità del SSN questo tema del rapporto politica/management finisce nell’ombra. L’ottimo contributo di GIMBE non ne parla nel suo Piano di salvataggio del SSN, come pure non ne parla nel suo documento l’Associazione 32. Ne parla invece il prof. Ricciardi nel suo programma in 10 azioni, una delle quali dedicata  alla “Maggiore trasparenza e valutazione delle competenze di gestione e attivazione di un Piano per la Formazione alla Leadership e al Management”.
 
Ritengo personalmente che sia decisivo cominciare ad occuparsi della qualità della politica che governa la sanità a livello regionale (e quindi della formazione e verifica di chi ha la relativa responsabilità) visto che essa costituisce uno dei determinanti più importanti della qualità complessiva del sistema sanitario pubblico.
 
Chi governa le Regioni non si limita (come si diceva nella lettera dell’ex- DG) a “giocare”col numero di Aziende e di Unità operative complesse e a nominare i DG, ma decide che assetto dare alla governance regionale (Servizio e Agenzia) in cui può scegliere se ricorrere o meno per le relative direzioni all’albo nazionale dei Dg, fissa gli obiettivi delle Aziende, decide (o non decide) i piani di riordino ospedalieri e territoriali, decide se i Piani più importanti (Cronicità, Demenze,  Aree Interne oltre alle solite Liste di attesa) si scrivono o si realizzano, decide se il piano degli investimenti tecnologici segue o meno la logica dell’Health  Technology Assessment  o meno, decide che tipo di accordi sottoscrivere con il privato e potrei andare ancora avanti per un bel pezzo.
 
Insomma, orientamenti, atteggiamenti, comportamenti e scelte della politica regionale sono di fatto il pace-maker del sistema sanitario, almeno in molte Regioni tra cui sicuramente le Marche.
 
Ne deriva, sempre a mio parere, che il ruolo (e la qualità) della politica non possa essere assunto in sanità come variabile indipendente su cui non esiste modo di intervenire. Forse c’è bisogno di cominciare a considerare almeno in parte un mestiere anche quello di Assessore e di Consigliere regionale che si occupa di sanità.  
 
Servono sistemi che formino queste figure e le tengano nel cono di luce di verifiche che oggi mancano. L’accountability non è solo un problema delle Aziende, ma anche e ancora prima un problema della politica che le governa.
 
Per fare alcuni esempi (del tipo che di solito si definisce “provocatori”) stabilire un elenco di requisiti per la idoneità al ruolo di Assessore alla Sanità è una cosa così fuori dal mondo? E fare un corso di formazione di base sui temi della politica sanitaria (in inglese suona benissimo: health policy literacy ) ai Consiglieri Regionali a partire da quelli che fanno parte delle Commissioni che si occupano di sanità non potrebbe innalzare il livello del dibattito e rendere più facile il mestiere ai Direttori Generali?
 
Claudio Maffei
Coordinatore scientifico di Chronic-on

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