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Martedì 18 FEBBRAIO 2020
L’accesso ai pareri medico legali del Comitato Valutazione Sinistri consentito dal Consiglio di Stato. Quali criticità per le strutture?

Dobbiamo poter garantire a tutti le cure, erogare risarcimenti senza nessuna garanzia di tabelle uniche sul territorio nazionale per i danni più rilevanti ed essere costretti, poi, in base a detto orientamento giurisprudenziale, a ostendere alla (futura) controparte documenti elaborati per la difesa in giudizio della struttura. Ebbene, non potersi neppure difendere adeguatamente, dopo aver garantito per legge (e giustamente!) l’accesso al paziente a tutti gli atti di cura, appare veramente troppo

L’Ocse, in un recente focus sulla spesa pubblica in sanità (Qs 14 febbraio 2020), ha rilevato che sul complesso della spesa pubblica italiana, quella per la sanità è il 13% del totale. Un dato che ci colloca sotto la media Ocse a 36 che è al 15%. In Europa la quota più alta si registra in Irlanda e in Germania entrambi con il 20%. Il SSN ha imparato a gestire il sotto finanziamento sviluppando logiche implicite di priorità, dedicando le maggiori risorse alla fase acuta. In questo quadro, sicuramente apprezzabili sono gli sforzi del Governo di rifinanziare progressivamente il FSN, ma, certamente, il primo obbligo di tutti coloro che operano in una struttura sanitaria è di non disperdere risorse per destinarle ai processi di cura, che devono poter contare su finanziamenti per innovazioni tecnologiche, innovazioni farmacologiche, adeguamenti tecnologici e strutturali, per rendere le cure sempre più efficaci e sicure.

Uno degli ambiti più importanti di intervento, sotto questo profilo, è quello della responsabilità professionale sanitaria, sotto due aspetti: 1) migliorare i percorsi di sicurezza delle cure; 2) limitare i danni e i risarcimenti ad essi collegati, visto che le somme erogate per tali finalità insistono sullo stesso FSN destinato alle cure.
 
Al di là della tutela del paziente, che non può che essere prioritaria, anche come certezza del risarcimento quando subisce un danno, non possiamo mai dimenticare che ogni euro impiegato in costi assicurativi o risarcitori o in prestazioni inappropriate a scopo difensivo è un euro sottratto all’impiego di risorse per le cure. Per questo motivo, l’aspetto qualificante della “gestione del rischio” è quello preventivo, fondato su un costante e sistemico meccanismo di controllo, verifica, check list, nel quale l’audit assume rilevanza cardine tra gli strumenti a disposizione per una efficace e strutturata gestione di detto rischio. Attraverso l’audit il sistema sanitario si verifica, auto apprende, si mette in discussione. L’audit diventa mezzo di analisi dei percorsi, momento di consapevolezza per il sanitario e per chi gestisce l’intero processo da esaminare, ponte gettato tra quello che talora è irrimediabilmente sbagliato e il processo da rettificare: in altre parole, l’esito dell’audit costituisce la base per una immediata azione correttiva, ove ve ne sia bisogno, e necessita della massima collaborazione di chi abbia eventualmente commesso un errore. 
 
A tal fine, la L. n. 208/2015, anticipando la legge sulla responsabilità professionale sanitaria (L. n. 24/2017), ha stabilito, al comma 539 dell’articolo 1, che tutte le strutture pubbliche e private che erogano prestazioni sanitarie attivino un'adeguata funzione di monitoraggio, prevenzione e gestione del rischio sanitario (risk management), per l'esercizio dei seguenti compiti:
a) attivazione dei percorsi di audit o altre metodologie finalizzati allo studio dei processi interni e delle criticità più frequenti, con segnalazione anonima del quasi-errore e analisi delle possibili attività finalizzate alla messa in sicurezza dei percorsi sanitari. I verbali e gli atti conseguenti all'attività di gestione del rischio clinico non possono essere acquisiti o utilizzati nell'ambito di procedimenti giudiziari (comma cosi integrato dall’articolo 16 della stessa L. 24/2017);
b) rilevazione del rischio di inappropriatezza nei percorsi diagnostici e terapeutici e facilitazione dell'emersione di eventuali attività di medicina difensiva attiva e passiva;
c) predisposizione e attuazione di attività di sensibilizzazione e formazione continua del personale finalizzata alla prevenzione del rischio sanitario;
d) assistenza tecnica verso gli uffici legali della struttura sanitaria nel caso di contenzioso e nelle attività di stipulazione di coperture assicurative o di gestione di coperture auto-assicurative;
d-bis) predisposizione di una relazione annuale consuntiva sugli eventi avversi verificatisi all'interno della struttura, sulle cause che hanno prodotto l'evento avverso e sulle conseguenti iniziative messe in atto. Detta relazione è pubblicata nel sito internet della struttura sanitaria. 
 
E’ evidente che la norma ha posto una stretta relazione tra risk management e gestione del contenzioso, indicando, tra i compiti attraverso i quali esercitare le funzioni di gestione del rischio, ai sensi della lettera d) del comma in esame, l’assistenza tecnica verso gli uffici legali in caso di contenzioso. D’altronde, solo ipotizzando un meccanismo circolare di interazione tra sinistro denunciato, verifica di quanto accaduto e le connesse azioni correttive, è possibile avviare un miglioramento continuo all’interno delle strutture.
 
All’interno delle aziende, uno snodo fondamentale, infatti, è rappresentato dalla profilazione di uno strutturato “sistema di garanzia” imperniato sulla istituzione del Comitato Valutazione Sinistri (“CVS”) (organismo a composizione multidisciplinare, che, di prassi, prevede - oltre alla figura del Responsabile degli Affari generali, di un avvocato, del medico legale, di un rappresentante della società di assicurazione, in caso di regime assicurativo del rischio sanitario, di un componente della Direzione sanitaria - anche e, soprattutto, la figura del Risk Manager aziendale), con funzioni consultive, a carattere obbligatorio, ancorché non vincolante, sulle richieste risarcitorie formulate nei confronti dell’Azienda.
 
In particolare, così come di prassi regolato in ambito regionale (cfr., ad esempio, la regolamentazione adottata al riguardo dalla Regione Lazio), il Comitato Valutazione Sinistri aziendale:
- valuta i sinistri allo scopo di individuarne il nesso causale con gli eventi che li hanno prodotti;
- individua una strategia condivisa di gestione del sinistro;
- in caso di regime assicurativo, valuta l’impatto economico dei rischi, anche al fine di collocare il sinistro “sopra” o “sotto” il limite della Self Insurance Retention (SIR) secondo quanto previsto dal contratto di polizza;
- valuta le tipologie e l’entità degli eventuali danni arrecati a terzi con il coinvolgimento delle varie professionalità aziendali, necessarie per una analisi dei sinistri, anche in una ottica preventiva finalizzata a scongiurare che si ripetano;
- formula la propria proposta motivata di definizione del sinistro sottoponendola alla Direzione generale;
- contribuisce, anche grazie alla filiera afferente la Direzione sanitaria e il risk management, a individuare le aree di criticità che, dal punto di vista organizzativo e tecnico-professionale, sono suscettibili di dar vita a contenzioso, suggerendo le opportune azioni correttive, con il coinvolgimento dei professionisti chiamati in causa;
- concorre alla definizione delle priorità di intervento e verifica i risultati conseguiti.
 
Ovviamente, il comma 539 della L. n. 208/2015 è stato il primo tassello dell’impianto generale con cui è stata profilata la responsabilità professionale sanitaria, posta con la L. n. 24/2017, che ha portato a maturazione e strutturato un processo culturale della prevenzione del rischio, che oggi permea qualunque attività sanitaria. Per esempio, con l’entrata in vigore della versione aggiornata della UNI EN ISO 9001:2015, il Sistema di Gestione per la Qualità utilizza un ulteriore nuovo approccio all’implementazione del sistema stesso basato sul risk-based thinking che permette all'organizzazione di determinare i fattori che potrebbero fare deviare i suoi processi e il suo sistema di gestione per la qualità dai risultati pianificati, di mettere in atto controlli preventivi per minimizzare gli effetti negativi e massimizzare le opportunità, quando esse si presentano.
 
In sintesi, si può dire che la L. 208/2015 e la L. 24/2017 hanno posto le basi per affrontare tre tematiche cruciali: la gestione preventiva del rischio all’interno delle strutture, pubbliche e private, sanitarie e sociosanitarie; una maggiore tutela per la persona malata e una maggiore facilità di risarcimento per la persona danneggiata; il recupero di una maggiore serenità degli operatori sanitari, in quanto il peso risarcitorio è pressoché a carico delle strutture, sia perché la legge ha introdotto un limite alla ripetizione nel caso di rivalsa nei confronti dell’esercente la professione sanitaria, sia perché nei confronti delle stesse è azionabile una responsabilità di tipo contrattuale, con evidente facilitazione per il paziente in termini di oneri probatori, che la rende preferibile all’attivazione della responsabilità extracontrattuale direttamente nei confronti dell’operatore sanitario.
 
La scelta alla base dell’intero impianto, quindi, è stata quella di responsabilizzare le strutture, caricandole di oneri organizzativi ed economici, e di rendere più facile l’onere probatorio al paziente, sia attraverso la definizione della responsabilità della struttura quale contrattuale, che la impegna a dimostrare “l’esatto adempimento della prestazione sanitaria”, con connessa prescrizione decennale, sia attraverso il diritto del paziente, sancito dall’articolo 4 della L. 24/2017 comma 2, di richiedere alla direzione sanitaria della struttura pubblica o privata, la documentazione sanitaria disponibile relativa al paziente, preferibilmente in formato elettronico, entro sette giorni dalla presentazione della richiesta, con le eventuali integrazioni da fornire, in ogni caso, entro il termine massimo di trenta giorni. Inoltre, i familiari o gli altri aventi titolo del deceduto possono concordare con il direttore sanitario o sociosanitario l'esecuzione del riscontro diagnostico, sia nel caso di decesso ospedaliero che in altro luogo, e possono disporre la presenza di un medico di loro fiducia.
 
A fronte di tali tutele per il paziente, la struttura ha diritto di difendersi, per tutelare le risorse (scarse) da destinare alle cure, blindando la riservatezza del processo di gestione del rischio, inteso in senso esteso anche all’assistenza tecnica verso gli uffici legali, in conformità a quanto stabilito dal citato comma 539, articolo 1, della legge 208/2015 e s.m.i., il quale, non a caso, stabilisce, come detto, che i verbali e gli atti conseguenti all'attività di gestione del rischio clinico non possono essere acquisiti o utilizzati nell'ambito di procedimenti giudiziari.
 
In questo quadro, è intervenuto il Consiglio di Stato Sez. III, Sent. 31-01-2020, n. 808, sostanzialmente confermando la sentenza con cui il T.A.R. Lombardia ha accolto il ricorso proposto avverso la nota con la quale l'Ospedale Maggiore di Lodi Distretti e Presidi Lodigiani - Azienda S.S. ha negato l'accesso agli atti e ai documenti richiesti da parte danneggiata concernenti: a) denuncia di sinistro all'assicurazione; b) perizia medico legale eventualmente espletata in relazione al decesso; c) copia del contratto di assicurazione intercorrente con l'Ospedale Maggiore; d) verbale (o verbali) di valutazione del Comitato Valutazione Sinistri (CVS); e) lettera di massima esposizione eventualmente inviata dalla Compagnia assicuratrice all'Ospedale Maggiore di Lodi; f) ogni altra documentazione e/o informativa relativa alla vicenda.
 
Il Tar Lombardia ha evidenziato che "non possa essere negato l'accesso alle perizie mediche ed ai verbali dei comitati valutazione sinistri istituiti all'interno delle strutture ospedaliere", in quanto "questi documenti vengono formati per istruire le procedure iniziate a seguito delle richieste di risarcimento danni avanzate da terzi e - seppur non funzionali all'attività di cura del paziente - hanno comunque natura affine alla documentazione medica giacché il loro scopo non è quello di definire la strategia difensiva dell'amministrazione (compito questo riservato ai pareri legali che vengono redatti anche sulla scorta delle risultanze di perizie e verbali del CVS), ma esclusivamente quello di accertare se, nello specifico caso concreto, all'interno della struttura siano state correttamente applicate le regole della scienza medica".  
 
La struttura pubblica, in sede di successivo appello della citata sentenza del TAR, ha ribadito di aver previsto le valutazioni del CVS quale momento necessario della "istruttoria" relativa alla richiesta di risarcimento dell'utente, non inserendosi quindi, le stesse, in un procedimento “amministrativo” né essendo finalizzate all’assunzione di determinazioni provvedimentali stricto sensu, essendo, di contro, finalizzate: i) alla definizione stragiudiziale di controversie già emerse; ii) eventualmente, anche alla individuazione della strategia difensiva da adottare da parte della Amministrazione in vista dell'incipiente contenzioso, aggiungendo che, accanto alla suindicata attività di gestione dei reclami, il CVS "nella valutazione dei casi, evidenzia gli aspetti salienti di prevenzione e riduzione del rischio clinico", svolgendo una generale raccolta di informazioni, valutando le tipologie e le entità dei danni e disaminando tutti i casi di contenzioso, attuale e potenziale, con lo scopo di prevenire, ove possibile, l'evoluzione del contenzioso verso un impatto legale e assicurativo: in tale ottica, l'attività del CVS si inscrive nella generale funzione di risk management, volta alla prevenzione e alla gestione del rischio sanitario contemplata al (citato) art. 1, commi 538 e 539, L. n. 208 del 2015, e dunque soggiace all'art. 16, comma 1, L. n. 24 del 2017, in forza del quale "i verbali e gli atti conseguenti all'attività di gestione del rischio clinico non possono essere acquisiti o utilizzati nell'ambito di procedimenti giudiziari".
 
A fronte di tale argomentazione, il Consiglio di Stato - pur ammettendo che, sulla base del Regolamento vigente in Azienda, il CVS assolve anche funzioni propriamente riconducibili alla funzione di risk management (come quella intesa, "nella valutazione dei casi", ad evidenziare "gli aspetti salienti di prevenzione e riduzione del rischio clinico"), soggetta quindi al divieto di acquisizione o utilizzazione dei relativi atti e verbali "nell'ambito di procedimenti giudiziari" di cui all'art. 16, comma 1, L. n. 24 del 2017 - ha, tuttavia, ritenuto che, a prescindere dal fatto che tale funzione qualifica solo in parte i suddetti atti, potrebbe giustificarsi solo una parziale sottrazione all'accesso, in quanto lo stesso soddisfa una finalità più ampia rispetto a quella consistente nella produzione e/o utilizzazione in giudizio dei documenti de quibus, “il cui divieto, quindi, non è idoneo ad elidere l'utilità dell'acquisizione per la parte richiedente”.
 
Quanto invece all’inerenza dei documenti alla strategia difensiva dell'Amministrazione, il Consiglio di Stato - pur richiamando il prevalente orientamento giurisprudenziale in base al quale l’accesso ai pareri legali è negato quando detti pareri vengono espressi al fine di definire una strategia nell’ambito di un determinato contenzioso, ovvero in situazioni potenzialmente idonee a sfociare in un giudizio (riconoscendolo invece in caso di pareri legali con funzione endoprocedimentale correlata ad un procedimento amministrativo) - nel caso di specie, ha, tuttavia, consentito l'esibizione dei documenti in argomento, tra i quali i pareri medico legali e i verbali del CVS, che evidentemente - si fa notare - non possono non essere ricondotti ad una fase gestionale, comunque, strettamente correlata alla funzione precontenziosa.
 
Il Consiglio di Stato ha prospettato tale orientamento attraverso una indicazione, sostanziale e procedurale, di difficile comprensione e applicazione.
Nella specie, infatti, il Consiglio di Stato, da un lato, distingue in maniera non perspicua atti contenenti “valutazioni di ordine strategico-difensivo”, sottratti in quanto tali al regime ostensivo sulla scorta della giurisprudenza citata, da atti con “carattere strettamente ricognitivo (della dinamica degli eventi) o valutativo (dei profili medico-legali della vicenda)”, soggetti a detta ostensione.
 
Sulla base di tale non condivisibile distinzione sostanziale, il Consiglio di Stato prevede, poi, dall’altro, che, in fase esecutiva, “l'esibizione dei documenti in oggetto dovrà avvenire mediante l'impiego degli opportuni accorgimenti (stralcio, omissis ecc.), atti ad assicurare la salvaguardia del diritto di difesa dell'Amministrazione appellante, accompagnati dalla attestazione da parte del responsabile del procedimento che le parti omesse o stralciate contengono effettivamente valutazioni di carattere difensivo dell'Amministrazione elaborate in funzione del contenzioso instaurato in sede civile”.
 
Tale posizione appare, quindi, ulteriormente penalizzante per le strutture sanitarie, a fronte di un impianto che connota la responsabilità delle stesse come contrattuale, con semplificazione dell’onere probatorio per il paziente, in un sistema che, a dispetto di quanto stabilito dalla legge c.d. concorrenza (L.4 agosto 2017 n 124), non ha visto ancora emanato il Decreto Ministeriale sulle tabelle per le macrolesioni, ma che, in compenso, garantisce un livello avanzatissimo di universalismo con risorse più scarse del 30% dei partner europei. Come dire, dobbiamo poter garantire a tutti le cure, erogare risarcimenti senza nessuna garanzia di tabelle uniche sul territorio nazionale per i danni più rilevanti, talora rasentando logiche di responsabilità oggettiva (come spesso nel caso delle infezioni nosocomiali), ed essere costretti, poi, in base a detto orientamento giurisprudenziale, a ostendere alla (futura) controparte documenti elaborati per la difesa in giudizio della struttura, documenti che, per altro verso, sono, per espressa norma di legge, sottratti alla acquisizione o utilizzazione nell'ambito di procedimenti giudiziari, in quanto comunque inseriti in un sistema di gestione del rischio.
 
Ebbene, non potersi neppure difendere adeguatamente, dopo aver garantito per legge (e giustamente!) l’accesso al paziente a tutti gli atti di cura, appare veramente troppo, soprattutto perché il risarcimento insiste sul FSN dedicato alle cure.
 
Tiziana Frittelli
Presidente di Federsanità 

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