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Lunedì 02 MARZO 2020
Coronavirus. Finalmente ci si accorge che i medici sono una risorsa e non un costo



Gentile Direttore,
finalmente ci si accorge che il medico e tutti gli operatori sanitari, vanno considerati primariamente come una risorsa (scarsa) e non considerati essenzialmente come costi inevitabili da contenere. Purtroppo c’è voluta un’epidemia per far emergere in tutta la sua chiarezza quello che avrebbe dovuto essere ovvio, ovvero la necessità del Sistema Sanitario Nazionale, dei medici, dei ricercatori, degli infermieri e di tutto il personale sanitario, che ora all’improvviso ricordiamo essere fondamentali, dopo che purtroppo per anni sono stati oggetto, per mere esigenze economiche contingenti di tagli continui (in particolare riduzione di posti letto e di personale sia in servizio che in via di formazione).
 
Anche le normative sanitarie prodotte negli ultimi tempi sono state sempre più complesse e burocratizzate con l’ottica primaria volta all’essenziale controllo dei costi, ma spesso con evidente scollamento dalla clinica concreta e con la conseguenza frequente di ridurre il tempo effettivo dedicato ai malati.

Dal punto di vista di alcune delle problematiche concrete, stante l’emergenza attuale, forse sarebbe il momento di sgravare il più possibile lo scarso personale medico dalla burocrazia non strettamente indispensabile e da alcune delle procedure formali che determinano aggravio di lavoro evitabile.
 
A titolo esemplificativo, potrebbe essere utile rivalutare eventualmente l’opportunità, almeno nella situazione attuale, del vincolo prescrittivo mensile dei farmaci per i malati cronici stabili, imperativo sia per i farmaci ordinari che per quelli soggetti a piano terapeutico erogabili dai Medici di Medicina Generale (MMG).

Risulta infatti ora inopportuno per l’evidente rischio infettivo costituito dagli stessi ambulatori medici, costringere i malati cronici stabili (ma certo portatori di una certa fragilità) a recarsi ogni 30 giorni dal proprio Medico di Famiglia solo per la reiterazione della prescrizione dei farmaci indispensabili per la loro cura.

Quindi la normativa, certo così restrittiva per ipotesi di risparmio (da verificare), dovrebbe mostrare soprattutto ora maggior “fiducia” nei medici, consentendo secondo il loro giudizio clinico, la prescrizione anche per tempi maggiori ritenuti opportuni nel caso specifico, ovvero anche sino a due o tre mesi. Già questo sgraverebbe gli ambulatori di un carico enorme, vissuto solo come un gravame burocratico da medici e pazienti (fatto che peraltro nel tempo ha contribuito ingiustamente a far percepire il MMG come mero prescrittore).

D’altronde a ben vedere, anche in tempi non per forza emergenziali, l’obbligo di prescrizione solo mensile di farmaci a pz cronici stabili risulta in un incremento di costi, relativi al tempo ed alle risorse impiegati per tali attività, tempo sottratto ai pazienti, ma soprattutto ai medici, che potrebbero più proficuamente dedicarlo alle attività diagnostiche, terapeutiche e di comunicazione sanitaria (divenuta finalmente “tempo di cura” anche per normativa).

In effetti limitare l’inutile sovraffollamento negli ambulatori medici, ove necessariamente si mischiano i malati acuti (o con riacutizzazioni) con quelli cronici stabili che necessitano solo di reiterazione farmacologica (ma che sono comunque fragili e quindi a rischio), sarebbe utile per ridurre i contagi anche della normale influenza, oltre che di altre patologie.
Non è quindi solo questione di fondi che ora saranno in emergenza certamente erogati, ma anche di eventuale revisione urgente, al momento almeno provvisoria, di quelle normative che obbligano i pazienti, anche stabili, a recarsi frequentemente dal MMG solo per poter ottenere i farmaci quotidiani indispensabili.

Dal punto di vista generale, non si è tenuto conto che in realtà investire in sanità, anche solo da un punto di vista economico di lungo termine, è un investimento per il futuro e quindi nel tempo è un vero risparmio per il sistema nel suo complesso, non solo per la prevenzione di molte emergenze sanitarie e per la miglior gestione di quelle che inevitabilmente si presenteranno, ma anche in situazioni ordinarie per il miglioramento della qualità di vita e delle possibilità lavorative di tutta la popolazione.
 
In effetti in ambito sanitario da parecchio tempo si aveva diffusamente la sensazione di lavorare già ordinariamente in situazione emergenziale costante, per carenza di risorse in generale. Sono molti anni che persiste inoltre lo sfruttamento dei ricercatori e di altre figure mediche operanti in regime di precariato libero professionale anche in strutture pubbliche, regime che permane anche perché il costo di tale personale è ingiustificatamente molto minore di quello del personale assunto, fatto che produce ovviamente persistenza della precarietà dei servizi e dannoso importante turn-over (causando anche la ben nota emigrazione di personale specialistico).

Ora finalmente, ma purtroppo c’era bisogno di un’epidemia per capirlo, ci si rende conto che le problematiche sanitarie non possono soggiacere ai diversi dettami politici, ma che invece deve essere necessariamente l’opposto, essendo prioritarie rispetto a qualsiasi altra cosa (anche l’economia stessa, come dimostrano questi tempi, evidentemente vi soggiace).

Certo, sperando poi di non dimenticarlo presto, dovrebbe essere così sempre,non conoscendo il diritto alla salute preferenze politiche,
essendo correlato alla precarietà dell’esistenza stessa, vero elemento comune a ciascuno di noi.
 
Le gravi malattie sono infatti, come si è sentito dire spesso in questi giorni, “democratiche”, non conoscono in particolare confini di ceto sociale o di ideologie, per questo attirano l’attenzione di tutti.
La paura delle malattie e della morte fa tornare l’uomo ai bisogni essenziali e quello di ottenere cura, sollievo dalla malattia e possibilmente guarigione, è certo fra i principali ed è la vera “mission” della medicina.  
 
Marco Ceresa
Medico

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