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Giovedì 19 MARZO 2020
Soli in trincea, senza protezione



Gentile Direttore,
ringrazio di cuore tutti i professionisti del Servizio sanitario nazionale che stanno difendendo l’Ssn stesso e i cittadini in questo momento di grande difficoltà. Lo stanno facendo poco meno che a mani nude. Sono stati lasciati soli da una politica fatta non tanto di decisioni di oggi ma di scelte pessime di ieri. Trascurati nel loro ruolo attivo di curatori ma anche come potenziali diffusori del virus.
 
Non è un caso che di tutti i contagiati da Covid-19 circa il 10% siano medici e operatori sanitari. A dimostrare che in prima linea sono stati mandati non adeguatamente protetti, dovendo esercitare con difficoltà il ruolo di terapeuti e pagandone pesantemente le conseguenze. Stanno lavorando oltre le loro forze.
 
Nel riconoscere l’impegno di chi si dà da fare, va anche un grazie a quanti all’interno del Governo, nelle Regioni e nel mondo politico oggi ci stanno appoggiando.
 
Devo però sottolineare come la situazione attuale sia il frutto di un fallimento della politica, costretta clamorosamente a correre ai ripari. Ad adottare in regime di urgenza – lo si poteva fare da anni, in realtà – la laurea abilitante, buttando di fatto oggi in prima linea dei giovani inesperti perché non adeguatamente formati durante il corso accademico.
 
C’è infatti un buco evidente nella preparazione della medicina del territorio che invece è parte integrante delle tre macroaree del nostro servizio sanitario insieme all’area dell’igiene e della sanità pubblica, mai come oggi importante, e a quella ospedaliera.
 
I piani formativi delle università ignorano la medicina del territorio. I giovani medici non vengono formati all’approccio per problemi, alle dichiarazioni per sospetta patologia del cittadino. Per dirla in modo semplice si è paradossalmente pronti ad affrontare un paziente in pigiama ma non uno in camicia.
 
Una cecità che ora più che mai scontiamo anche culturalmente vedendo come sono stati lasciati soli i medici del territorio.
 
Non possiamo non cogliere nella lettera del segretario regionale Fimmg della Lombardia, nella quale tra le altre istanze si chiedono per i medici dell’assistenza primaria dispositivi di protezione idonei a contenere il rischio di essere contagiati e di esporre poi la popolazione al contagio, una denuncia forte di deficienza nel sistema di programmazione e di cura. È il frutto di una politica ignorante.
 
Di fronte ai richiami dell’Europa e dell’Organizzazione mondiale della sanità di dare peso alle competenze specifiche, di ascoltare la scienza, in Italia si stanno mandando i medici e gli operatori sanitari in trincea nella totale penuria di dispositivi e senza testare l’eventuale positività al virus, esponendo i medici e la popolazione a un intollerabile rischio di diffusione del contagio.
 
Una cose folle. Mentre gli altri cittadini possono essere messi in isolamento domiciliare, o in quarantena nel caso siano state vicine a persone affette da Covid, ai medici e agli operatori sanitari questo non è consentito. Nessun paese civile abbandona il proprio esercito sul fronte. E che questo stia di fatto accadendo in Italia è davvero un brutto segnale.
 
Lo voglio denunciare. Un segnale che ha poi riflessi previdenziali. Mai come in questi giorni si percepisce l’ansia del futuro da parte dei colleghi che sempre di più vorrebbero che l’Enpam non pensasse solo alla previdenza o all’assistenza in caso di bisogno, ma identificasse come un bisogno a cui rispondere il timore di perdere la propria dimensione lavorativa.
 
Una domanda a cui purtroppo lo Stato non ci concede di rispondere, perché le Casse di previdenza finora sono state lasciate in ruolo subalterno rispetto alla previdenza sociale pubblica che pure è pagata anche con le tasse di tutti noi.
 
Nel prevedibile novero delle scelte che la politica sarà chiamata a dover fare nello scenario postbellico finanziario ed economico che conseguirà all’epidemia si corre il rischio di tornare al passato, di riportare cioè tutto all’alveo pubblico o di fare interventi forzosi sul patrimonio delle casse che è a garanzia della loro sostenibilità.
 
Noi faremo tutto quello che è possibile nell’ambito di quanto ci è concesso dalle attuali norme. Stiamo chiedendo a questo proposito una flessibilità delle regole e la politica deve fare la sua parte.
 
Proprio in questi giorni abbiamo approvato un bilancio consuntivo 2019 molto positivo che porteremo all’approvazione, si spera, nei tempi ordinari dell’assemblea nazionale. Un bilancio che mette in luce che l’anno scorso abbiamo pagato allo Stato ben 180milioni di euro di imposte. Il frutto di una tassazione alla quale vengono assoggettate le casse di previdenza obbligatoria in Italia ma non negli altri paesi europei.
 
Un’asimmetria intollerabile: paghiamo 180milioni di tasse e in tutta risposta i nostri professionisti sono stati esclusi dalle tutele di garanzia, perfino da un semplice assegno di 600 euro che invece viene riconosciuto agli altri lavoratori autonomi.
 
Stiamo lavorando con i ministeri vigilanti affinché correggano le disuguaglianze. Allo stesso tempo come Enpam stiamo studiando ulteriori misure straordinarie per dare liquidità immediata ai nostri iscritti in difficoltà.
 
A proposito di discriminazioni, ce n’è un’altra che si sta consumando di fronte alla coscienza di tutti: il fatto che i medici che lavorano in convenzione con il servizio sanitario nazionale o i liberi professionisti non abbiano le stesse tutele di chi esercita la professione come dipendente.
 
Se infatti agli ospedalieri disposti in quarantena è stata riconosciuta la condizione di malattia, la stessa cosa non è capitata ai medici di medicina generale o ai pediatri di libera scelta che non si vedono riconosciuta nemmeno la causa di servizio, per cui l’Enpam dovrà intervenire in maniera sussidiaria.
 
In questi giorni il sindacato maggioritario dei medici del territorio ha lanciato insieme a Cittadinanzattiva una campagna per chiedere ai cittadini il contributo di un euro per l’acquisto di mascherine da donare ai medici di medicina generale. Una provocazione che vuole essere la denuncia di un divario inaccettabile per chi è chiamato a curare ma della cui salute nessuno si cura. Con riflessi negativi sia sugli interessati sia sulla salute dei pazienti.
 
Intanto sul sito web della Fnomceo si allunga il triste conto dei caduti sul lavoro. E ai nomi associo i volti dei colleghi che ho visto o con cui ho lavorato fino a poco tempo fa.
 
Voglio concludere riferendomi ai dati. Considerando quanto ci viene riportato dall’Oms e da alcune indagini statistiche sulla diffusione dell’epidemia, in Italia ci troviamo di fronte a una possibile endemia di 30/40milioni di malati con un aggravio di patologie legate all’età e alle cronicità i cui effetti reali si vedranno solo nel lungo periodo. Come gestiremo il futuro?
 
Alberto Oliveti
Presidente Fondazione Enpam
 

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