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Lunedì 20 APRILE 2020
Emergenza Covid e responsabilità di operatori e aziende sanitarie

Credo che il Paese rischia di uscire da questa tragedia in ginocchio, impoverito. Per questo avrà bisogno di un SSN, sicuramente da ridisegnare, ma comunque forte, coeso e, soprattutto, in grado di assicurare un solido servizio assistenziale alla collettività, protetto dalle insidie, ancora non del tutto ponderabili, che possono comprometterne definitivamente la sostenibilità. E una guerra che condanni “aprioristicamente”, per categorie, non ci aiuterà
 


Federsanità,  che mi onoro di rappresentare, ha recentemente partecipato, unitamente ad altri stakeholder del sistema sanitario e alle Organizzazioni Sindacali della Sanità, ad un tavolo tecnico, convocato dal Ministero della Salute, in specifico riferimento al dibattuto tema di un eventuale intervento legislativo volto a eccezionalmente limitare, in riferimento alle condizioni emergenziali legate alla Pandemia Covid -19,  il perimetro della varie forme di responsabilità  riferibili al personale sanitario e alle strutture pubbliche e private a cui afferiscono gli stessi operatori.
 
L’iniziativa del Ministero si sviluppa a ridosso del recente “stralcio”, in sede di discussione parlamentare del disegno di legge di conversione del D.L. 18/2020,  di uno specifico articolo aggiuntivo, promosso dalla maggioranza, avente ad oggetto proprio la questione della  limitazione della responsabilità civile e penale in ambito sanitario, in stretta correlazione con le attuali condizioni emergenziali da Covid -19,  ponendosi al crocevia di recenti e spesso accese polemiche  tra i vari stakeholder della sanità e gli stessi Sindacati, circa la estensione, le condizioni e l’individuazione dei soggetti interessati a tale limitazione.
 
La prima questione da affrontare riguarda la responsabilità professionale sanitaria. La legge Gelli ha configurato due tipologie di responsabilità risarcitorie, quella diretta verso il singolo professionista, solo residualmente attivata dai pazienti, e quella “contrattuale” verso l’azienda, dove l’onere della prova è a carico della stessa. La scelta del legislatore, nel 2017, è stata fatta per proteggere, per quanto possibile, i professionisti e assicurare i risarcimenti ai danneggiati.
 
I professionisti, nel caso di condanna della struttura, rispondono solo per colpa grave o dolo, per la quota di risarcimento erogata dall’azienda, al di fuori della copertura assicurativa, ma sono tante le strutture in autoritenzione, nell’ambito delle quali l’esposizione per il professionista potrebbe essere totale, sino alla concorrenza del triplo della remunerazione prevista dalla legge Gelli.
 
C’è poi il problema penale, di diretto interesse del professionista. Al riguardo senza una ricodificazione certa della colpa grave in sede emergenziale e, come messo bene in evidenza da acuti esperti del settore, in assenza di consolidate linee guida specifiche per i percorsi COVID, attesa la spiazzante novità dell’agente patogeno, in termini sia diagnostici che terapeutici, il professionista che opera in emergenza COVID si troverebbe paradossalmente più esposto, rispetto alla casistica ordinaria, alla discrezionalità del giudice.
 
Quindi, il senso di alcuni emendamenti presentati e poi ritirati, conduce ad una definizione necessariamente unitaria della categoria della “colpa grave”, aggiornata e strettamente ancorata ai vincoli derivanti dalla emergenza, destinata, pertanto, a ridisegnare i confini della responsabilità risarcitoria, sia degli operatori che, necessariamente,  della struttura, nonché quelli penali direttamente riguardanti l’operatore.
 
Proprio a fronte della conformazione complessiva della responsabilità patrimoniale prevista dalla vigente normativa - secondo cui, come visto, la struttura sanitaria, nell'adempimento del servizio verso l’utenza, risponde delle condotte dolose o colpose degli operatori di cui si avvale -  risulta infatti strutturalmente inammissibile poter limitare la rilevanza della colpa grave ai soli professionisti senza contestualmente riferirla alla stessa struttura che di tali professionisti si avvale.
 
Quindi, a giudizio di Federsanità, la strada da percorrere deve essere quella di una definizione di colpa grave, in relazione alla pandemia,  vale a dire, da un lato,  una seria codificazione della “colpa grave”, fondata su chiari e circostanziati elementi che diano conto della dimensione necessitata dell’agire e lontana, quindi, dalla genericità a meri riferimenti temporali al periodo della emergenza (questo sì che giustificherebbe l’allarme per un vero “colpo di spugna”), e, dall’altro,  un rilievo di detta “colpa grave” che  non può che riguardare contestualmente, per i motivi sopra detti, sia gli operatori sia l’azienda che di questi si avvale nella erogazione del servizio alla collettività.
 
Ma quello che per Federsanità rappresenta un nevralgico punto prospettico da affrontare con lungimiranza da parte di tutte le parti interessate è il seguente: limitare la rilevanza della colpa grave esclusivamente alla responsabilità dei professionisti senza la contestuale estensione alla responsabilità contrattuale delle strutture, oltre che, a mio avviso, insostenibile a livello tecnico-giuridico, per le motivazioni esposte, comporterà infatti un insopportabile e imponderabile peso -  destinato a  esponenziale e incontrollabile incremento -  sulle casse del Fondo Sanitario Nazionale  per quanto riguarda le strutture pubbliche, sia per quelle in autoritenzione, la maggior parte, sia per quelle assicurate, che vedrebbero aumentare sia il premio che la quota in sir/franchigia, provocando, altresì, per le stesse ragioni, il probabile fallimento di quelle private.
 
La incontrollabile pressione sul Fondo Sanitario - lo stesso Fondo che alimenta e garantisce i servizi sanitari alla collettività  - rischia di compromettere, in prospettiva, la stessa  sostenibilità dell’intero Servizio Sanitario Nazionale. Non si tratta, quindi, in questo quadro, di “proteggere” la figura dei direttori generali o consentire loro comode via di fuga.  Si tratta, invece, di ragionare su come razionalizzare e ridimensionare la pressione incrementale sui bilanci delle aziende, perché di responsabilità risarcitoria delle “strutture” si sta parlando, così come attualmente disegnata dal comma 1 dell’articolo 7 della Legge Gelli.
 
Fuori da questo equivoco, si dovrà riflettere poi su un ulteriore possibile fraintendimento. I commenti rilasciati in questi giorni da più parti, contrari alla estensione della nozione di colpa grave (anche) alla responsabilità della struttura, sembrano sottendere, infatti, l’idea che detta estensione,  come ridefinita alla luce della situazione emergenziale,  possa eventualmente limitare la possibilità di risarcimenti verso i dipendenti. In realtà, anche qui, la prospettiva di analisi non appare coerente e congrua con l’oggetto dell’emendamento in discussione, vale a dire le previsioni della legge Gelli che disciplinano esclusivamente i limiti, la misura e le condizioni della responsabilità (risarcitoria e penale) degli operatori e della struttura verso i terzi assistiti e non direttamente verso gli stessi operatori.
 
Per tutelare i terzi assistiti vittime della pandemia, fuori dalle stringenti logiche “risarcitorie”, la strada più opportuna e sostenibile appare quella della istituzione di un fondo di solidarietà, distinto e separato rispetto all’ordinario Fondo sanitario che alimenta il finanziamento istituzionale delle cure per la collettività, attivato e operante in una dimensione attestata su logiche “indennitarie”, con l’individuazione di cluster specifici ovvero meccanismi di ammortizzatori sociali, sulla falsariga di quelli usati durante i conflitti o a seguito di eventi catastrofali.
 
Quanto, invece, alla ulteriore e diversa problematica delle c.d. responsabilità datoriali, così come regolate dalla specifica normativa in materia di sicurezza, a fronte della situazione emergenziale – oggetto, si evidenzia,  normativamente distinto da quello interessato all’emendamento in argomento incidente sul disposto di cui all’articolo 7 della Legge Gelli -  non si tratta di ambire ad una  “tabula rasa” di eventuali negligenze, ma, anche qui,  di rapportare con rigore le responsabilità ai mezzi utilizzabili e/o alle speciali ed eccezionali condizioni organizzative della struttura,  configurando, più in generale,  con razionalità  e severità, una  limitazione della responsabilità strettamente ancorata a oggettive causali correlate alla emergenza e non genericamente riferita alla mera collocazione temporale nello stato di emergenza.
 
Anche in questo caso -  ma è, in realtà, applicazione di un ineludibile principio generale di diritto - non si può rispondere per condotte che risultino oggettivamente e circostanziatamente inesigibili. Se una direzione non ha mai aggiornato il Documento di valutazione rischi è giusto che paghi, ma se, ad esempio, lo ha fatto con ritardo, rispetto ai serrati tempi previsti in via ordinaria (30 gg), perché impegnata nel ridisegnare i propri percorsi in continua evoluzione emergenziale, non potrà essere ritenuta responsabile. Stessa situazione per i DPI, nella misura in cui, ovviamente, vi siano state oggettive e insuperabili limitazioni in termini di approvvigionamento, e non negligenze o noncuranza delle direzioni nel dotare tempestivamente i propri collaboratori delle adeguate protezioni una volta che esse risultino essere effettivamente nella disponibilità dell'azienda.
 
E anche qui, la soluzione dovrà essere un apposito e distinto fondo, eventualmente integrativo delle ordinarie tutele assicurative per infortuni sul lavoro, da attivare su base “indennitaria”, a favore delle vittime. Inoltre, la denuncia per infortunio va garantita nella misura piu’ ampia possibile, anche ricorrendo al’istituto dell’infortunio in itinere, estesa pure ai liberi professionisti, co.co.co e personale convenzionato. 
 
Credo che - ed è questa la mia unica, vera preoccupazione  - il  Paese rischia di uscire da questa tragedia in ginocchio, impoverito. Per questo avrà bisogno di un SSN, sicuramente da ridisegnare, ma comunque forte, coeso e, soprattutto, in grado di (continuare ad) assicurare un solido servizio assistenziale alla collettività, protetto dalle insidie, ancora non del tutto ponderabili, che possono comprometterne definitivamente la sostenibilità.
E una guerra che condanni “aprioristicamente”, per categorie, non ci aiuterà.
 
 
Tiziana Frittelli

Presidente di Federsanità

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