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26 APRILE 2020
Quegli operatori delle Rsa dimenticati



Gentile Direttore,
in queste ultime settimane ci si interroga sull’inquietante numero di persone positive e di decessi avvenuti nelle case di riposo delle regioni più duramente colpite dalla pandemia. In primo luogo va espresso un sentimento di profondo cordoglio per gli ospiti anziani che sono mancati e per i loro familiari che ne hanno sofferto la perdita, privati persino della possibilità di scambiare un ultimo saluto, una carezza, un ultimo commiato.

Fino a pochi mesi queste strutture assistenziali per gli anziani, in particolare quelle pubbliche, molte delle quali gestite dai Comuni, sono state motivo di vanto del sistema socio sanitario di molte regioni italiane. Molti cittadini, potendo accedere alle strutture per visitare un familiare, avendo un costante rapporto diretto con gli operatori, osservando l’igiene e la pulizia dei locali hanno avuto esperienza diretta di come vengono assistiti i loro familiari.
 
In queste strutture operano i medici di medicina generale che possono contare sulla collaborazione di personale infermieristico, psicologi, fisioterapisti, educatori e addetti all’assistenza. Gli standards assistenziali e le qualifiche professionali sono disciplinate da specifiche normative regionali e sono diversi gli enti che vigilano sulla corretta gestione sia assistenziale che amministrativa di queste strutture. Le ripetute analisi sulla soddisfazione dei familiari riportano dei giudizi buoni e sono per fortuna davvero pochi i casi di cattiva gestione e fra questi probabilmente nessuno di gestione pubblica o pubblico-privata.

Come sappiamo, purtroppo molti contagi sono avvenuti all’interno delle strutture ospedaliere, le quali si presume debbano essere le organizzazioni più solidamente attrezzate e formate a prevenire e limitare i rischi di contaminazione, ma stante l’insidiosità di questo virus, gli stessi ospedali si sono dimostrati dei luoghi estremamente rischiosi per i degenti così come per il personale sanitario. Tanti altri contagi e decessi sono avvenuti nelle case di riposo, e altrettanti numerosi contagi e decessi sono avvenuti nelle abitazioni degli anziani, in taluni casi con poca assistenza. Queste tragiche modalità si sono ripetute in tanti paesi, anche quelli con i sistemi sanitari più avanzati.

I contagi e le numerose morti avvenute in ambito ospedaliero sono parse soffertamente e rassegnatamente comprensibili e tollerabili, come pure i decessi avvenuti nelle abitazioni. Causa della tragedia è stata giustamente addebitata alla straordinaria aggressività dell’infezione. Viceversa, agli occhi dell’opinione pubblica, non altrettanto ammissibili o ineludibili sono invece parsi i decessi occorsi nelle case di riposo. In questo caso si è subito alimentato il sospetto di inosservanza delle direttive, di imperizia o di imprudenza da parte della dirigenza e degli operatori.
 
Le case di riposo sono state genericamente messe all’indice per la loro inadeguatezza, accusate di incapacità se non di vera e propria negligenza gestionale. Certamente la magistratura farà luce sui singoli casi.

Nella narrativa di queste settimane il personale sanitario degli ospedali è stato giustamente definito eroico e meritevole di manifestazioni di affetto da parte della cittadinanza per l’esempio di abnegazione e per l’impegno dimostrato. Non vi è dubbio che ognuno di noi voglia esprimere ammirazione e gratitudine a tutto il personale del servizio sanitario.
 
Al contempo dispiace però constatare che non una sola parola di plauso, o di simile vicinanza e stima, sia stata rivolta al personale socio-sanitario che lavora nelle case di riposo, il quale, ha anch’esso dimostrato una analoga straordinaria abnegazione con turni estenuanti di lavoro diurno e notturno, nei giorni festivi e feriali, sostituendo il personale assente e in isolamento, rischiando o subendo un contagio.
 
Una ulteriore considerazione merita di essere citata e riguarda lo stress emotivo e la sofferenza psicologica del personale assistenziale delle case di riposo. E’ presto detto, a differenza degli ospedali dove i pazienti ricoverati sono delle persone mai conosciute prima, in queste strutture, che sono primariamente luoghi di vita e di convivenza, gli anziani ospiti sono persone con le quali gli operatori hanno convissuto assieme, hanno raccolte le loro storie di vita, hanno a lungo interagito, hanno gioito festeggiando i compleanni, condiviso con loro emozioni e preoccupazioni.
 
Per un dirigente, così come per un operatore, assistere impotenti all’espandersi del contagio nella propria struttura, vedere ammalarsi prima un ospite, poi assistere ad un tragico effetto domino, impegnarsi con ogni energia e capacità per contenerlo magari senza riuscire ad arginarlo oppure riuscire solo in parte e purtroppo assistere a dei decessi, tutto ciò lascia negli operatori e nei dirigenti dei profondi segni di sofferenza e delle cicatrici profonde.
 
Soltanto per questo, in attesa dell’esito di indagini e ispezioni, queste persone meriterebbero il beneficio di considerare la loro buona fede o magari, intanto, per moltissimi di loro, sentirsi dire un semplice grazie. 
 
Paolo Stocco
Direttore Federsanità Anci Veneto

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