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Mercoledì 29 APRILE 2020
Ci sarà un App al posto mio?



Gentile Direttore,
sto seguendo il dibattito della categoria riguardo al da farsi in corso di pandemia COVID-19 (SARS- Cov-2) e alle ipotesi per il dopo. È certo che ogni medico modificherà il proprio modo di esercitare la professione. Mi preoccupano però gli effetti delle scelte pensate per l’oggi pandemico e condizionanti il domani; di quelle decisioni determinate dall’emergenza e che potrebbero avere conseguenze impreviste nel futuro. Sono anche dibattuto tra il considerarmi un difensore della relazione medico-paziente o uno sclerotico fissato su schemi superati. Mi chiedo se abbiano senso oggi i princìpi declamati per anni e se la relazione tele-mediata potrà sostituirsi a quella “face to face”.

Fino a quando potremo assistere i nostri pazienti senza visitarli di persona e per il tempo necessario? Come potrò rilevare i segnali non verbali che sono abituato a considerare nel colloquio clinico? Certamente tramite una videochiamata potrò raccogliere la storia del paziente e ricostruire l’anamnesi; sicuramente le immagini dei telefonini potranno farmi vedere i segni esterni dei disturbi denunciati dal paziente, ma con quale cognizione li collegherò tra loro, con che sicurezza raggiungerò conclusioni diagnostiche o terapeutiche?

Molto probabilmente dovrò richiedere conferme strumentali o ematochimiche con il concreto rischio di una esplosione dell’inappropriatezza. Dopo tutto il lavoro fatto con Choosing Wisely alla ricerca dell’essenziale, ora ci avviamo alla raffica investigativa precoce, alla batteria di accertamenti che dovrebbero confermare le ipotesi costruite con una checklist telefonica o, al più, video-assistita. Lo chiamano algoritmo decisionale; è la sequenza “logica” (ma sarebbe meglio dire “analogica”) di informazioni “sì/no” che indirizzano il “ragionamento” verso l’ipotesi diagnostica o la scelta di un accertamento. Mi sembra di essere una segreteria telefonica “intelligente” che chiede, per esempio: se ha il dolore trafittivo digiti 1; se dolore oppressivo digiti 2; se dolore gravativo digiti 3; se dolore terebrante digiti 118 ... e via dolorando.

Un’applicazione software sta già spopolando in Gran Bretagna e i fruitori ne sono contenti (90% adulti con meno di 65 anni, istruiti e lavoratori autonomi). Immagino i miei anziani ... Certo saprei porre domande più comprensibili e potrei formulare ipotesi già durante il dialogo telefonico, cercando conferme e proponendo anche prove “in diretta”; per esempio potrei chiedere di assumere alcune posizioni, o toccare parti specifiche del corpo, o altro che possa aiutarmi nella comprensione.

Ho provato recentemente e mi sono sentito come il tecnico che curava la manutenzione del software gestionale alcuni anni fa e mi chiedeva al telefono che cosa vedessi pigiando una sequenza di tasti oppure aprendo una pagina di “pannello di controllo” -> “hardware e software” - > “funzionalità” o altre sequenze, logiche per lui e astruse per me che dovevo capire che il suo “hardware e software” nel mio computer erano descritti come “programmi e funzionalità” o altro. Lui era sempre più convinto che io fossi un disastro informatico. Ricordo il tempo che si perdeva ... finché è arrivata la teleassistenza; adesso è lui che si connette, manovra nel mio pc e a volte fatico a seguire i rapidi spostamenti che fa nelle pagine. Lui sa dove toccare ... e penso che anch’io saprei dove toccare quel mio paziente che guardo in videochiamata, ma che, se anche lo convinco a cercare uno dei segni addominali (Murphy, Blumberg, McBurney) non potrà mai dirmi la smorfia che fa o la consistenza del viscere. Per non parlare poi della semeiotica ortopedica o quella endocavitaria (cito solo l’esame dell’orecchio).

E poi fatico, almeno io, a ragionare con soli sì o no; guardo i miei esami obiettivi nei quali prevalgono gli aggettivi intermedi: lieve, discreto, importante, poco, molto, consistente, torpido ... potranno entrare in un app?

Fino a quando potrò curare senza appoggiare le mani su quel corpo che chiede assistenza? E l’attuale rinuncia al toccare non rappresenta forse un vulnus della “potestas curandi” che ci viene attribuita con l’abilitazione professionale? Ma soprattutto quale sarà la relazione che costruirò con i miei pazienti teleassistiti?

Non sono un amante dell’alitosi streptococcica o un nostalgico del fetore uremico, ma è evidente che preferisco il rapporto face to face; conosco le difficoltà e i rischi dell’esame obiettivo in tempo di coronavirus, ma credo che l’attuale distanziamento sanitario non potrà sussistere per tutti i mesi della prevista pandemia. E ritengo il rischio di contagio molto minore rispetto al rischio di esclusione della figura medica dai processi assistenziali. Se penso poi al Medico di Medicina Generale che è, finora, l’unico sanitario che si reca al domicilio del paziente (oltre all’ADI), avverto ancora di più il rischio di espropriazione di competenza e di “svaporazione” di quella figura che abbiamo definito, studiato e realizzato dal ’78 in poi.

Pensiamoci, mentre ci adoperiamo nei consulti telefonici, mentre deleghiamo ai nuovi specialisti della visita domiciliare il controllo nelle residenze, mentre vestiamo i DPI e dilazioniamo le visite ambulatoriali. Le scelte asettiche dell’oggi sono contagiose per il domani.
 
Umberto De Conto
Medico di medicina generale, Treviso

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