quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Giovedì 07 MAGGIO 2020
Come deve cambiare il rapporto con i privati nel dopo coronavirus



Gentile Direttore,
è stato posto qui su QS di recente il tema del rapporto con i privati alla luce della esperienza di questa emergenza COVID-19. Credo che per non essere dispersivi (il periodo fa correre questo rischio) convenga darsi una agenda precisa al riguardo partendo da una esigenza di fondo: creare le condizioni per una integrazione pubblico/privato più efficace. I punti a mio parere più significativi sono quattro.
 
Primo punto: il rinnovo del contratto della sanità privata, che costituisce quasi una precondizione per andare avanti nel processo complessivo di integrazione.
 
Secondo punto: la revisione del DM 70/15 in modo che le piccole strutture private partecipino a “vere” riorganizzazioni strutturali che ne consentano un “vero” coinvolgimento nelle reti dell’emergenza/urgenza.Come noto il punto 2.5 dell'Allegato 1 al DM 70/2015 così recita: "le strutture ospedaliere private sono accreditate, in base alla programmazione regionale, considerando la presenza delle specialità previste per i tre livelli a complessità crescente di cui ai punti 2.2, 2.3 e 2.4". In realtà la maggioranza delle Case di Cura italiane è di piccole dimensioni e non svolge attività di Pronto Soccorso.
 
Questa "anomalia" è resa possibile dallo stesso punto 2.5 del DM 70 che così prosegue: "e può prevedere, altresì, strutture con compiti complementari e di integrazione all’interno della rete ospedaliera, stabilendo altresì che, a partire dal 1° gennaio 2015, entri in vigore e sia operativa una soglia di accreditabilità e di sottoscrivibilità degli accordi contrattuali annuali, non inferiore a 60 p.l. per acuti, ad esclusione delle strutture monospecialistiche per le quali è fatta salva la valutazione regionale dei singoli contesti secondo le modalità di cui all’ultimo periodo del presente punto." Ecco qual è stata la via di uscita rispetto al problema delle “piccole” strutture ospedaliere private: avere almeno 60 posti letto e svolgere "compiti complementari e di integrazione”.
 
Quindi grazie al DM 70 le Case di Cura sono legittimate ad operare di fatto solo in forma programmata e/o di supporto agli ospedali pubblici, quelli sì dotati tutti di Pronto Soccorso a parte quelli di area disagiata. Questo “privilegio” non può più continuare ad esistere.
 
Terzo punto: la regolamentazione della produzione dei privati all’interno della mobilità di confine.Come già sottolineato in una precedente lettera, occorre governarla con accordi di regolazione che calmierino la storica aggressività della produzione dei privati nelle zone di confine. Aggressività che aumenta di anno in anno come dimostrato dalle Tabelle  in allegato all’articolo sulle ricadute della mobilità 2018 sul riparto del Fondo 2020. Ci sono stati abbattimenti per oltre 15 milioni di euro a carico delle Regioni i cui privati hanno nel 2018 fatto ricoveri in eccesso rispetto al 2017 per i residenti in altre Regioni.
 
E siccome l’abbattimento è del 50% il valore reale dell’aumento è stato circa il doppio. Questa componente così importante, pesante e “non fisiologica” della mobilità (quella di confine prevalentemente erogata da privati) oggi ai tempi del Coronavirus non è più sopportabile dal sistema. E questo si trascina dietro un altro problema e cioè che fare coi posti letto autorizzati e contrattualizzati da una Regione  e di fatto “pagati” da un’altra che non li ha inseriti nella sua programmazione. Posti letto che con la riduzione degli scambi di mobilità di confine non serviranno più. E non sono pochi.
 
Quarto punto: come si integrano concretamente e tempestivamente le reti ospedaliere  private con quelle pubbliche in caso di emergenza epidemica. Questi meccanismi vanno inseriti negli Accordi Regionali  vigenti in modo da evitare quello che è successo nelle Marche, Regione in cui mentre la attività chirurgica programmata si interrompeva nelle strutture pubbliche proseguiva in quelle private. Occorre che le attività chirurgiche programmate delle strutture pubbliche COVID trovino spazio nelle strutture  private con modalità concordate.
 
Claudio Maffei
Coordinatore scientifico di Chronic-on

© RIPRODUZIONE RISERVATA