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Sabato 09 MAGGIO 2020
Come mai l’emergenza pandemica ha azzerato il consenso informato?

Durante la pandemia si è verificato l’azzeramento del consenso informato: in quelle condizioni eccezionali, si è dato ascolto alla tesi del Parere CNB, che prevede la validità del solo criterio clinico, portando con sé, come rimbalzo culturale, la centralità del ruolo medico e il ritorno a forme di decisionismo o di paternalismo medico che appunto mettono da parte il consenso informato

Pare che la curva della pandemia Covid-19 stia migliorando, e che in Italia ci si stia avviando alla ripresa. Come sarà questa ripresa e che cosa comporterà, però, non lo sappiamo, e forse non vogliamo neanche pensarci più di tanto, preferendo illuderci che “andrà tutto bene” e che la vita tornerà come prima.
 
Può darsi, che ciò accada, ma l’emergenza pandemica ha fatto emergere un grave problema etico su cui conviene riflettere. Il problema è questo: da fine febbraio 2020, soprattutto nelle zone più colpite dall’onda pandemica, si è registrata una sorta di azzeramento del consenso informato circa il trattamento sanitario. Tanti racconti hanno messo in luce che, in situazioni di urgenza e di pericolo, all’arrivo dell’ambulanza si chiedeva di salutare in fretta e furia il proprio caro che veniva come “sequestrato” per esigenze di cura. Anche per questo molti sembra abbiano preferito rimanere a casa e non richiedere assistenza.
 
Non è qui il caso di discutere se quanto successo sia giusto o no, ma solamente rilevare che c’è stata una sospensione di prassi ormai consolidate: negli ultimi tre decenni, con fatica ma in modo costante e convinto, in Italia si è lavorato sodo per avere una medicina partecipata in cui paziente e medico discutono il da farsi sulla base del consenso informato. La Legge Lenzi (la L. 219/17) ha coronato questa pratica diffusa, ma durante l’emergenza pandemica pare che la condivisione abbia improvvisamente ceduto il passo a forme di decisionismo medico. C’è da chiedersi come mai ciò sia accaduto, e come si possa ripristinare la centralità del consenso anche nelle situazioni di urgenza e pericolosità.
 
Per cercare di capire la situazione rilevata, è opportuno cominciare a vedere l’accoglienza riservata alle Raccomandazioni Siaarti, che sono state prontamente pubblicate il 6 marzo 2020 proprio per dare una risposta a alcuni pressanti problemi etici creati dalla pandemia. La Raccomandazione n. 5 è dedicata al consenso informato e a eventuali Dat (Disposizioni anticipate di trattamento), ma è passata pressoché sotto silenzio. L’attenzione è stata rivolta al fatto che le Raccomandazioni ammettessero il triage nelle condizioni eccezionali verificatesi, che dessero espliciti criteri per farlo anche per “sollevare i clinici da una parte della responsabilità nelle scelte” di chi curare e chi no, e che indicassero l’età come possibile fattore di scelta.
 
L’insistenza su questi aspetti preludeva alla netta e automatica censura delle Raccomandazioni, che sono state accolte dicendo che mai avrebbero dovuto essere pubblicate! Compito primo del medico – si è detto – è di rassicurare i pazienti, non ammettere che si fanno scelte strazianti su chi curare e chi no. È sbagliato riconoscere che si è costretti a fare triage, perché ciò crea scompiglio, allarme e anche angoscia, e ancor più sbagliato è fornire criteri per farlo. L’unica scusante è intendere le Raccomandazioni come grido di dolore di rianimatori intimoriti di essere lasciati soli.
 
Questa iniziale dura critica non ha retto il vaglio dell’opinione pubblica. Ci sono state alcune polemiche concernenti l’età come possibile criterio di scelta, ma le Raccomandazioni hanno suscitato interesse e sono diventate il punto di riferimento del dibattito teorico in materia, e il maggior evento bioetico dopo il caso Eluana. Questo è un buon segno, indice che anche in Italia comincia a prevalere la trasparenza e la correttezza, e che la doppia morale del “lo fai ma non lo dici” non regge più. Anche nelle situazioni eccezionali e tragiche la gente vuole affrontare i problemi a viso aperto e senza infingimenti. È un passo importante per la crescita morale del paese. Che le Raccomandazioni Siaarti abbiano ricevuto l’esplicito sostegno delle Regioni Veneto e Piemonte, e di altre Società scientifiche come la Sicp è altro segnale positivo.
 
Tuttavia, la situazione non è rosea, perché è vero che le Raccomandazioni Siaarti non sono state messe fuori gioco, ma neanche sono state adeguatamente valorizzate: si è preferito lasciarle in una zona di penombra per essere come anestetizzate. Il processo al riguardo è avvenuto attraverso non detti, esigenze di rassicurazioni, e altre dinamiche implicite che operano nelle zone profonde del tessuto sociale, e che hanno preso forma nel Parere CNB dell’8 aprile 2020.
 
Mentre la reazione iniziale negava il triage (ossia la scelta di chi curare e chi no), il Parere CNB riconosce che a volte è impossibile non farlo, ma allo stesso tempo ribadisce subito che il triage va fatto in forma particolare e speciale, diversa da quella della Siaarti. Il Parere rassicura e stempera le novità delle Raccomandazioni Siaarti, la prima e più importante delle quali è che scelta di chi curare o no prevede anche criteri extra-clinici (oltre a quelli clinici), che a seconda delle circostanze l’età è fattore clinico o no, e che comunque non vale la regola del first come, first served.
 
Di contro, il Parere CNB afferma che l’introduzione di criteri extra clinici è “eticamente inaccettabile” e che la scelta va fatta sulla scorta del solo criterio clinico applicato in ben precise condizioni (di preparedness, appropriatezza clinica e attualità) e direttamente a ogni caso singolo caso, prestando attenzione che nessuno venga escluso “perché appartenente a una categoria stabilita aprioristicamente”.
 
Ho già formulato alcune riserve al Parere CNB nella Posizione di minoranza contenuta nel Parere stesso. Al di là del mio dissenso, va riconosciuto che il Parere CNB è in linea con la posizione della Fnomceo e della Pontificia Accademia per la Vita, e che è riuscito a esplicitare aspetti del sentire profondo manifestato in larghi consensi: gli ambienti “progressisti” (un tempo avremmo detto “di sinistra”) l’hanno dato tacito non sollevando critiche, gli ambienti “tradizionalisti” (“di destra”) esprimendo esplicito plauso.
Le Associazioni “Provita & famiglia”, promotrici nel marzo 2019 del discusso Congresso di Verona sulla famiglia, hanno precisato che il Parere CNB si pone “in alternativa alle raccomandazioni della Siaarti” e che è benvenuto perché mostra che da noi “il valore della persona umana è inteso in senso “assoluto” e cioè “sciolto” da qualunque criterio che miri a circoscriverlo e dunque a ridurlo, seguendo l’odiosissima logica della “dignità della vita” che altro non fa che buttare dalla rupe Tarpea quelli che sono considerati “inutili” nella società dello scarto” (17 aprile).
 
La presenza di un solo voto contrario avrebbe confermato che, diversamente da quanto avviene in altri paesi, in Italia non prevale “una mentalità utilitaristica, per cui è bene che si lasci spazio ai più giovani, perché poi quello era il discrimine” (17 aprile). La Nuova Bussola Quotidiana, testata telematica, ha rilevato invece come le argomentazioni CNB “vogliano rispondere alle ormai famigerate” Raccomandazioni Siaarti, e ha spiegato che “il criterio clinico è giusto”, perché comporta l’applicazione del principio di efficacia e di proporzione “che è presente nel principio del duplice effetto” (18 aprile).
 
Non solo il Parere CNB ha riscosso consenso e tranquillizzato l’opinione pubblica, ma ha fatto emergere che il riconoscere o no i criteri extra-clinici per la scelta segna la linea di demarcazione tra due opposti paradigmi, cioè come riconoscere o no che la Terra giri attorno al Sole o non viceversa. Di fatto, chi argomenta a favore dei criteri extra-clinici viene ascoltato con aria un po’ sorpresa come a dire “Ma come fai a sostenere tesi così bizzarre, suvvia ?!?”.
 
Mentre su altri temi bioetici come aborto, fecondazione assistita, eutanasia, ecc. è ormai ammesso il pluralismo etico e la legittimità di posizioni diverse, sul tema del triage vige ancora il paradigma unico. Qui la situazione è analoga a quella degli anni ’60 o inizi ’70 con l’aborto, quando il solo nominare la parola era qualcosa di sconveniente e disdicevole. O forse a quella con cui oggi viene trattato il terrapiattismo, posizione subito dismessa come insensata.
 
La vita morale è stratificata e presenta vari livelli: ai piani più profondi vige il paradigma unico caratteristico delle società pre-moderne; più sopra c’è il pluralismo paradigmatico su un gran numero di temi (non tutti); e poi nella post-modernità si torna poi a escludere alcune posizioni, giudicate non meritevoli di seria considerazione, come accade col terrapiattismo, ma anche con la contrarietà alla contraccezione (o ai trapianti) ecc. Essere in minoranza di per sé non equivale a aver torto: il problema è sapere se l’attuale monolitismo paradigmatico sulla scelta di chi trattare o no è un residuo pre-moderno o invece è il risultato del post-moderno che espelle le posizioni non rispettabili.
 
Lascio qui la questione aperta, perché il punto da rilevare è il seguente: se è vero che il Parere CNB ha colto una tendenza profonda e diffusa, e fa emergere l’unicità paradigmatica, allora sul piano della sociologia della cultura ciò spiega come mai durante la pandemia si sia verificato l’azzeramento del consenso informato: in quelle condizioni eccezionali, si è dato ascolto alla tesi del Parere CNB, che prevede la validità del solo criterio clinico, portando con sé, come rimbalzo culturale, la centralità del ruolo medico e il ritorno a forme di decisionismo o di paternalismo medico che appunto mettono da parte il consenso informato. Detto altrimenti, in situazioni di emergenza pandemica caratterizzata dal pericolo di contagio, la proposta del solo criterio medico per il triage porta a una sottovalutazione del consenso informato, che da sempre pone un limite alla supremazia della clinica.
 
C’è un ulteriore aspetto a sostegno di questa tesi, la cui presentazione richiede alcune considerazioni preliminari circa la natura della moralità e, più in generale, dei codici normativi. Come notato già nel secolo scorso dal grande filosofo e storico della morale Henry Sidgwick (Outlines of the History of Ethics, 19316), a partire dagli inizi del secondo millennio in Occidente la moralità ha assunto la struttura di codice formato da norme (o regole) con generalità e contenuti diversi, come “non rubare!”, “non mentire!”. Paradigma di codice morale sono i Dieci comandamenti, le cui norme prescrivono classi di azioni, la cui osservanza sollecita la formazione di atteggiamenti e di virtù corrispondenti che motivano le azioni specifiche.
 
La riflessione degli ultimi secoli ha messo poi in luce che il codice morale ha struttura piramidale: al vertice stanno i principi (norme generalissime), nel mezzo norme specifiche più o meno dettagliate, e alla base gli imperativi sulla singola azione. Si è capito anche che le norme in qualche modo derivano dai principi, e si discute su quanti e quali siano i principi. Alcuni ritengono che tutta la moralità sia riconducibile a un unico principio (di utilità o di giustizia), altri che debbano essere almeno due (beneficenza, giustizia), altri ancora che siano più di due.
 
Tutti concordano, però, che il tragitto dal principio generale all’imperativo finale è lungo, complesso e difficile. Per rendere più sicuro il viaggio, l’etica ha predisposto norme intermedie o axiomata media (J.S. Mill) con livelli diversi di generalità, che favoriscono il raggiungimento della meta. Questi passi intermedi sono una sorta di faro che dalla costa indirizza il navigante: in via teorica è possibile arrivare al porto finale guardando direttamente le stelle (i principi) senza axiomata media, ma ciò richiede grande abilità e tempo, e non esclude molti errori. È noto che dal solo principio d’utilità applicato direttamente si può derivare sia “è lecito l’aborto” sia “è vietato l’aborto”, cioè arrivare a porti opposti. Quando poi il mare è in tempesta è molto più sicuro affidarsi ai diversi fari (le norme) posti sulla costa che ci guidano passo dopo passo al porto finale.
 
Le norme (intermedie) sono centrali e imprescindibili nella moralità, in quanto specificano via via la classe di azioni prescritte: “Non si devono fare atti nocivi” è più generale di “Non si devono fare atti nocivi per la salute fisica”, di “Non si deve fumare”, di “Non si deve fumare tabacco nella stanza con le finestre chiuse”. Per affinamento progressivo si arriva all’imperativo finale riguardante l’azione singola: “non devi fumare questa sigaretta in questa stanza, ora”. Questa conclusione ultima (giudizio di coscienza del sillogismo pratico) deriva dalla norma generale: “Non si devono fare atti nocivi”, grazie agli axiomata media circa la nocività del fumo ecc.
 
Quello delineato è il modello “delle norme”, per il quale l’azione singola finale (non fumare questa sigaretta) è prescritta in quanto rientra nella classe generale (non fare atti nocivi), di cui è una specificazione. Si osserva, però, che a volte l’azione singola finale è così particolare che non si riesce a farla rientrare nella classe generale. Ci sono vari modi per evitare o attenuare la difficoltà rilevata del modello “delle norme”, tra cui il ricorso all’epikeia, l’eccezione che “sospende” la vincolatività della norma in quel caso particolare, senza però infirmare né la validità della norma stessa né il modello di analisi “delle norme”.
 
C’è, tuttavia, chi ritiene che l’epikeia non basti, perché le situazioni concrete reali sono così diverse tra loro da rendere impossibile l’inclusione di un’azione singola nella classe generale. Il modello “delle norme” va sostituito con l’analisi del “caso per caso”, in cui ciascun caso è a sé, unico e irripetibile, diverso da ogni altro, perché non ne esistono due di eguali o anche abbastanza simili da rientrare in una classe nota a priori. L’imperativo finale circa l’azione singola non deriva da una norma intermedia ma va come “ritagliato” al caso concreto o “deciso” (o “inventato”) ogni volta sulla scorta del principio generale applicato hic et nunc, che può essere un principio di giustizia (come nell’intuizionismo dell’atto di E.F. Carritt, Theory of Morals, 1930) o il principio d’utilità (come in J.J.C. Smart, 1960) o dell’amore (come in J. Fletcher, Situation Ethics, 1968).
 
Le brevi considerazioni fatte circa la natura del codice morale mostrano che al vertice della piramide normativa si discute di quanti e quali siano i principi generali, mentre il problema circa la base della piramide è sapere se l’azione finale singola sia un’“istanza” o token di un type o classe generale di azioni, o se invece ciascuna azione sia un “caso a sé” non riconducibile in una classe. Queste considerazioni mostrano anche che le Raccomandazioni Siaarti si muovono nel modello “delle norme”, visto che vengono a individuare quindici classi specifiche di situazioni e di azioni corrispondenti che siano adeguate alle circostanze eccezionali create dalla pandemia. Si potrà discutere la validità e adeguatezza di qualche norma, ma la prospettiva è chiara.
 
Il Parere CNB, invece, insiste nell’affermare che il criterio clinico va applicato direttamente a ciascun singolo paziente “nella globalità della sua situazione clinica”, escludendo che la decisione finale avvenga sulla scorta di una qualche “categoria stabilita aprioristicamente” o di “automatismi e scelte aprioristiche”.Ciò rivela che il Parere propende per l’analisi del “caso per caso”, il che significa che, nel contesto considerato, al medico spetta il compito di applicare il criterio clinico direttamente al caso singolo al fine di formulare in “scienza e coscienza” il giudizio finale sul caso singolo, unico e non catalogabile in alcuna norma a priori.
 
È forse per questo che, anche dopo ripetute letture, non si riesce a capire quale sia la precisa proposta avanzata dal Parere CNB, e tutto rimane vago e evanescente, senza esemplificazioni. Di fatto, l’analisi del “caso per caso” esclude che si possa dare una qualche regola generale, e rimanda tutto alla fiducia riposta nel giudizio hic et nunc dato dal medico “in scienza e coscienza” dopo aver ottemperato le condizioni previste come la preparedness, etc.
 
Quest’ultimo risultato ci consente di completare la tesi sopra proposta: non solo la proposta del solo criterio clinico sostiene il decisionismo medico, ma l’idea di applicarlo direttamente e senza axiomata media al caso singolo, viene a rimettere al centro del discorso sanitario il giudizio “in scienza e coscienza” del medico, arrivando all’apoteosi del paternalismo medico che azzera il consenso informato.
 
Se l’analisi proposta ha qualche plausibilità, allora chi ha a cuore il consenso informato deve tornare a riflettere sul ruolo centrale dei criteri extra-clinici nelle scelte circa la cura della salute. Le Raccomandazioni Siaarti hanno riconosciuto il punto, ma sono poi state molto prudenti e caute, troppo, così che la proposta è stata come anestetizzata.
 
Si deve invece riconoscere che ogni scelta clinica presuppone fattori extra-clinici, perché la vita biologica non è né l’unico valore né quello supremo, e i vari valori esistenziali prendono forma e corpo nel consenso informato. Le condizioni eccezionali create dalla pandemia hanno reso più vividi aspetti della valutazione e della scelta clinica che solitamente vengono sfocati dalla disponibilità di risorse.
 
Invece di affrettarsi a rassicurare gli animi come ha fatto il Parere CNB, forse è giunto il tempo di riflettere in modo più stringente sulla logica della scelta e su quali siano i criteri di scelta, perché solo in questo modo possiamo pensare di avere una giustizia più adeguata alle nuove conoscenze e circostanze storiche.
 
So bene che la posizione espressa è minoritaria, ma anche tre decenni fa, quando prima in Italia la Consulta di Bioetica lanciò una proposta di testamento biologico, l’idea appariva assurda e incongrua. Oggi le cose sono cambiate, e il testamento biologico è previsto dalla Legge Lenzi e considerato presidio per la tutela della dignità umana. Non è escluso che una trasformazione analoga si verifichi anche circa la centralità dei criteri extra-clinici. Anzi, ne sono sicuro.
 
Maurizio Mori
Ordinario di Filosofia Morale e Bioetica, Università degli Studi di Torino
Presidente Consulta di Bioetica Onlus
Componente del Comitato Nazionale per la Bioetica

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