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Mercoledì 13 MAGGIO 2020
Hiv. Oms/Unaids: “In Africa sub-sahariana si rischiano 500mila morti in più per mancanza di farmaci antiretrovirali”

Se non riprenderanno presto le forniture interrotte per la pandemia Covid, i decessi per Aids in questa parte di Africa potrebbero tornare ai livelli del 2008, quando raggiunsero la cifra record di 950 mila. E il trend continuerebbe a essere negativo per almeno altri cinque anni. Nello scenario ipotizzato sulla distanza di sei mesi, le stime sulla mortalità variano da 471.000 a 673.000.

Nel 2020-2021 potrebbero verificarsi 500 mila morti in più nell’Africa sub-sahariana per patologie legate all’AIDS – come la tubercolosi - per la sospensione della terapia antiretrovirale causata dall’interruzione delle forniture sanitarie nel periodo della pandemia.

L’allarme arriva da modelli matematici sviluppati da un gruppo di studio congiunto OMS- UNAIDS. Se non riprenderanno presto le forniture, i decessi per AIDS in questa parte di Africa potrebbero tornare ai livelli del 2008, quando raggiunsero la cifra record di 950 mila. E il trend continuerebbe a essere negativo per almeno altri cinque anni.

“Sarebbe come tornare indietro nella storia”, osserva Tedros Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS. “Dobbiamo identificare le modalità per sostenere tutti i servizi sanitari prioritari. Alcuni Paesi si stanno adoperando con punti di consegna decentrati, in modo da alleviare la pressione su ospedali e personale sanitario. A tutti dobbiamo garantire l’arrivo dei test e delle terapie”.

Nell’Africa sub-sahariana vivono circa 25,7 milioni di persone con l’HIV; il 64% (16,4 milioni) assume la terapia antiretrovirale. “La pandemia non deve essere una scusa per togliere fondi all’HIV”, sottolinea Winnie Byanyima, direttore esecutivo di UNAIDS.

Gli esperti OMS- UNAIDS hanno utilizzato alcuni modelli matematici per analizzare gli effetti della sospensione dei servizi di prevenzione e trattamento dell’HIV nell’Africa sub-sahariana. Ogni modello ha esaminato il potenziale impatto nella regione dell’interruzione del trattamento per tre-sei mesi sulla mortalità per AIDS e sull’incidenza dell’HIV.

Nello scenario ipotizzato sulla distanza di sei mesi, le stime sulla mortalità variano da 471.000 a 673.000. Una proiezione che rende impossibile il raggiungimento dell’obiettivo 2020 di 500.000 decessi in tutto il mondo per AIDS.

L’impatto sarebbe significativo anche in un arco di tempo inferiore ai 3 mesi. Il gruppo di esperti accende i riflettori anche sulle ripercussioni che potrebbero verificarsi nei programmi di prevenzione della trasmissione materno-infantile dell’HIV, che nell’Africa sub- sahariana è diminuita del 43% negli ultimi dieci anni, passando dai 250 mila casi del 2010 ai 140 mila del 2018.

I Paesi che potrebbero far registrare i maggiori aumenti di questi casi sono il Malawi (78%), Zimbabwe (78%), Mozambico (37%). In Uganda potrebbero addirittura raddoppiare (104%).

Ma un ulteriore triste tributo a questo computo potrebbe arrivare – oltre che dal sovraccarico delle strutture sanitarie e dalla mancanza dei test per misurare la carica virale – anche dalle ridotte disponibilità di altri presidi di prevenzione, come la circoncisione effettuata in ambito medico e l’accesso ai profilattici.

"Ogni morte è una tragedia", conclude Byanyima. “Non possiamo permettere che centinaia di migliaia di persone, molte delle quali giovani, muoiano per la nostra inanità. Esorto i governi a garantire che ogni uomo, donna e bambino che vive con l'HIV riceva regolarmente forniture di terapia antiretrovirale, vero e proprio salvavita”.
 
M.L. 

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