quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Venerdì 20 APRILE 2012
Dopo i 65 anni il 68% della vita che resta a una donna è in cattiva salute

Si deve andare sempre più verso una medicina di genere e di età. Aumentano infatti le aspettative di vita, ma crescono anche gli anni vissuti con polipatologie e disabilità. E le donne soffrono più degli uomini. Il tema al centro di un convegno promosso da Onda.

Le donne hanno guadagnato sempre più in attesa di vita rispetto agli uomini, in Italia oggi circa 84,9 anni contro 78,7; il rovescio della medaglia è che solo il 32% del più prolungato arco di vita attesa dopo i 65 anni è senza disabilità e in buona salute, contro il 44% maschile. Una fase vissuta nel 70% dei casi con due o più malattie croniche invalidanti, spesso simultanee, quali osteoporosi, artrosi e artrite, ipertensione, diabete, disturbi cognitivi.

L’invecchiamento al femminile è uno specifico nel problema. “A metà del secolo scorso” fa notare Carlo Vergani, Università degli Studi di Milano e segretario scientifico di un meeting sul tema promosso a Milano da Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna) “nel nostro paese gli anziani costituivano l’8% della popolazione e l’attesa di vita era 64 anni, oggi siamo al 20% cioè 12 milioni di anziani, prevalentemente di sesso femminile, e a 80 anni”. Su questa linea il 2012 è stato proclamato Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni, mentre l’Organizzazione mondiale della sanità ha dedicato all’invecchiamento il Giorno mondiale della salute, il 7 aprile scorso.

“Nel recente rapporto sul gap globale di genere pubblicato dal World economic forum di Ginevra” continua Vergani “l’Italia è 76esima su 135 paesi esaminati (primi gli scandinavi) soprattutto per il settore salute relativo alla popolazione femminile”. Il monito è ripensare con una nuova mentalità ai problemi degli anziani, che sono soprattutto donne. “In medicina l’approccio deve considerare la polipatologia, non essere solo monospecialistico; inoltre i panel internazionali devono definire i parametri di salute per sesso ed età (si pensi al colesterolo per esempio) e occorre promuovere la ricerca clinica sulla donna specie se anziana, poco rappresentata negli studi, anche rispetto ai farmaci”. I decessi con cause non definite, che non trovano riscontro in malattie sono per l’83% in anziani in rapporto 2 a 1 per le donne rispetto agli uomini. L’auspicata maggiore attenzione al benessere dell’anziano, soprattutto di sesso femminile, riguarda la salute non solo fisica ma anche psichica e coinvolge altri aspetti, come la solitudine e le situazioni ambientali non a misura di anziano. In una città come Milano, per esempio, un residente su quattro ha più di 65 anni, 300mila persone, delle quali 100mila vivono in solitudine e isolamento sociale, penalizzati da spazi e ritmi non adatti per loro.

Importante la sfera della salute psichica, ricordando a margine che i principali disturbi di questo tipo in Europa sono ansia, insonnia, depressione. “Il 30% di tutte le patologie di cui la donna soffre sono di natura neuro-psichiatrica, in tutto il ciclo della vita”ricorda Claudio Mencacci, dipartimento di Neuroscienze A.O. Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano. “C’è anche l’ansia che compare tardivamente, legata soprattutto alle perdite, affettive, di relazione, di salute. Ansia e depressione con cause spesso di natura biologica e con sintomi quali disturbi gastrointestinali, riduzione di sonno, di concentrazione, di interessi, aumento di paure e preoccupazioni. L’uso di antidepressivi è in crescita con l’età, soprattutto tra le donne: un recente studio finlandese indica tra i fattori che lo favoriscono basso supporto sociale, vita in città, solitudine. L’isolamento sociale inoltre incrementa il rischio di demenza, più forte nella donna anche per modificazioni ormonali come nel post-menopausa. Bisogna ricordare” conclude Mencacci “che il nostro è un “cervello sociale”, vale a dire che continua a rimodellarsi dall’interazione con l’ambiente, lo si è dimostrato scientificamente con gli studi sui neuroni. Siamo esseri sociali e in questo rientrano oggi anche i social network, anche se sono meglio i contatti”.

Elettra Vecchia

© RIPRODUZIONE RISERVATA