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28 GIUGNO 2020
Le incertezze deontologiche e del diritto in tempo di epidemia

Se vi fosse un'ondata di ritorno (ci auguriamo di no) come possiamo sostenere l'incertezza del diritto e della deontologia? Non credo si debba pensare a una disciplina militare ma un sorta di diritto in tempo di pandemia che forse esiste nelle pieghe del codice ma che merita un intervento parlamentare

Tra i molti problemi che affliggono la cosiddetta fase 3 della pandemia da SarsCovid si è già manifestato quello giuridico, sia sul piano risarcitorio (le famiglie degli anziani deceduti in RSA) sia su quello penale (le inchieste della magistratura).
 
Non occorreva molta fantasia per prevedere che la pandemia avrebbe rappresentato una stimolante occasione per i cultori del diritto: le procure sono al lavoro e gli avvocati affilano le armi. Giorni fa ho ascoltato un importante giurista, durante una trasmissione in cui sono state affacciate proposte per alleviare un iniquo carico morale oltre che materiale sui medici, tacciare alcuni suoi colleghi, fin troppo affaccendati nel chiedere giustizia, di "accattonaggio legale".
 
Evitiamo generalizzazioni sempre ingiuste e spiacevoli e proviamo a dipanare un discorso da profano che però osserva con curiosità e preoccupazione la trasposizione della pandemia nei tribunali ( ancora serrati come se la tutela della giustizia non fosse un diritto analogo alla tutela della salute).
 
Sappiamo tutti che questo evento eccezionale può essere stato affrontato con ritardo (colpevole?), che decisioni prese in condizioni di estrema fretta possono aver trascurato la norma del consenso, che la carenza di risorse ha proposto tragici dilemmi, che l'aspetto umano dell'assistenza può esser stato negletto, che la scarsezza di protezioni ha penalizzato medici e infermieri, che sono mancati tempo e risorse per le cure palliative, che gli anziani non sono stati protetti; inoltre i medici erano costretti a tentare strade terapeutiche sconosciute.
 
Tutto il sistema sanitario e i medici in particolare si sono trovati in condizioni di lavoro del tutto inaspettate e inusuali. I medici hanno dovuto decidere senza il conforto di linee guida, condizionati da pressioni esterne enormi, sottoposti, sotto gli occhi di tutta la società, quasi a una sfida estrema con la stessa scienza, un faticosissimo stress test.
 
E' possibile che in queste condizioni di lavoro nascano recriminazioni, sospetti di negligenza, sentimenti di rabbia e di sconforto, insomma una miscela esplosiva che chiede a gran voce giustizia morale e il risarcimento di presunti danni.
 
Vi è tuttavia come una sensazione di scarsa equanimità che molti giuristi hanno percepito ergendosi a difensori di chi si è esposto a rischi personali nel tentativo di salvare vite in situazioni caotiche che rendevano di fatto arduo o quasi impossibile dar corso a quelle norme che ormai costellano la relazione tra medico e paziente.
 
E' come se il diritto oggi fosse maggiormente volto all'individuo e meno attento alla collettività; nello stesso modo è organizzata la sanità moderna. La pandemia ha mostrato, invece, quanto la salute sia un bene comune, un "interesse della collettività", come recita l'articolo 32 della Costituzione: il welfare non è la somma di diritti individuali. Il diritto di associazione e di circolazione non sono stati abrogati durante il lockdown ma hanno ceduto di fronte a un interesse superiore, quello di garantire il maggior bene possibile per tutti.
 
In conclusione la sanità, la deontologia e il diritto sono pensate per affrontare situazioni individuali in tempi normali, potremmo dire in tempo di pace. Si sente il bisogno di una maggior attenzione alla deontologia e al diritto "in tempore belli" che non lascino solo il medico di fronte a scelte ardue e complesse. Anche questo è il senso del documento della SIAARTI.
 
Il fatto è che occorre un pensiero più ampio. Si parla sempre di guerra, di eroi e si usano metafore belliche, si è perfino schierato l'esercito, ma di fronte all'aumento della domanda di cure e ai costi dell'innovazione, la sanità vive in carenza di risorse e molteplici decisioni mediche sono influenzate da condizionamenti esterni, spesso economici. Scegliere all'interno di risorse limitate non è una novità che ci sorprende come la pandemia.
 
L'intreccio tra aumento della domanda di salute, costi dell'innovazione e limiti di bilancio rende attuale la necessità di individuare criteri non solo clinici per dare sostegno alla responsabilità di chi sceglie, e sarebbe realmente ingiustificabile che la deontologia e il diritto si trovassero impreparati di fronte a un'altra ondata pandemica.
 
Per questo occorre una rapida riflessione deontologica che apporti al Codice le opportune integrazioni ma, nello stesso tempo, i giuristi dovrebbero pensare a come adattare la “Bianco-Gelli” a una situazione che non è stato oggetto di riflessione durante la pur prolungata gestazione della legge.
 
Le scelte del medico non sono solamente dettate da criteri clinici e dal rispetto dell'autodeterminazione: la discussione pubblica sul Covid si appunta sulla sorpresa provocata da questa patologia di fatto sconosciuta. Se vi fosse un'ondata di ritorno (ci auguriamo di no) come possiamo sostenere l'incertezza del diritto e della deontologia? Non credo si debba pensare a una disciplina militare ma un sorta di diritto in tempo di pandemia che forse esiste nelle pieghe del codice ma che merita un intervento parlamentare.
 
Antonio Panti

 

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