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Mercoledì 09 MAGGIO 2012
Lazio. San Camillo. Organizzazione e tecnologie per frenare ictus e sclerosi multipla

A questo puntano  il progetto dell’Azienda per l’appropriatezza d’uso della RM nella sclerosi multipla e lo studio Synthesis Expansion sull’Ictus. Temi sotto i riflettori del 52° Congresso nazionale della Società di Scienze neurologiche ospedaliere (Sno) in corso a Roma.

 
È possibile abbattere la mortalità per ictus ischemico o la disabilità che ne consegue (fino al 50%) semplicemente riorganizzando i percorsi assistenziali, la catena clinica che va dalla casa del paziente al letto di ospedale e, ovviamente, non trascurando la prevenzione. Anche il decorso della sclerosi multipla migliorerebbe enormemente, in termini di rallentamento della malattia e di riduzione delle recidive (meno 30% su base annua) se realmente si diffondessero idonei modelli gestionali imposti dalla disponibilità di nuove tecnologie diagnostiche e farmaceutiche.
Questi alcuni dei temi al centro del 52° Congresso nazionale della Società di Scienze neurologiche ospedaliere (Sno) - “Le neuroscienze ospedaliere, la sfida delle nuove tecnologie e la centralità della persona malata”, in corso a Roma fino al 12 maggio -  discussi oggi in una conferenza stampa organizzata nell’Azienda capitolina San Camillo Forlanini che si presenta con un progetto ad hoc sulla sclerosi multipla.
 
In Italia l’ictus cerebrale ha un’incidenza di circa 155 mila nuovi casi per anno (39 mila ricorrenze), rappresenta la terza causa di morte dopo le patologie cardiovascolari e neoplastiche ed è responsabile del 10-12% di tutte le morti per anno. Il tempo è decisivo: la probabilità di esito favorevole di un ictus trattato con opportune tecniche ospedaliere (trombolisi) è di 2.8 volte maggiore se si è trattati entro 90 minuti dall’esordio dei sintomi, di 1.6 se si è trattati fra 91 e 180 minuti, di 1.4 se si è trattati fra 181 e 270 minuti (4 ore e mezza). Dopo un’ora è mezza di ritardo (da 90 minuti a 180 minuti) nel trattamento, la probabilità di esito favorevole si dimezza.
La SM si stima colpisca circa 62mila persone e con 1.800 nuovi casi l’anno, e una nuova diagnosi ogni 4 ore. Una malattia che se diagnosticata precocemente può migliorare decisamente la prognosi.
Patologie importanti che possono essere frenate con una organizzazione razionale dei percorsi di cura.
 
“La necessaria centralità della persona malata – ha detto il presidente della SNO, Massimo de Bellis – è messa in crisi soprattutto nelle Regioni in deficit, sottoposte a piano di rientro. Mai come oggi la scienza medica è in grado di dare risposte a malattie ad alto impatto, come l’ictus e la sclerosi multipla, ma troppo spesso non abbiamo la possibilità di curare. Purtroppo anche i direttori generali sono tra l’incudine degli operatori e il martello dei pazienti, ma hanno le armi spuntate rispetto ai tagli imposti”.  Per Enrico Cotroneo, presidente del Congresso e Direttore Uoc di Neuroradiologia Diagnostica e Interventistica del S. Camillo - Forlanini di Roma: “L’obiettivo di questo come degli altri congressi della SNO, proprio in quanto specchio della realtà dell’assistenza medica nel territorio nazionale, è sia tendere ad una sempre più elevata ed uniforme capacità di cura, uniformità ancora non presente, sia dare un’assistenza medica di "salute globale", orientata allo studio dell’unità umana nelle sue molteplici dimensioni.”
 
E proprio per dare risposte ai pazienti affetti da Sm è partito presso l’azienda ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma uno studio chemira a valutare l’appropriatezza dell’uso della RMN nella sclerosi multipla e a stendere protocolli di ricerca per la sua ottimizzazione. Si punta alla costituzione di un team neuroradiologico che attraverso una stretta integrazione con i neurologi possa costruire un corretto percorso diagnostico terapeutico per i pazienti affetti da SM (approccio standardizzato e qualificato). Tra i vantaggi attesi:  una sempre più precoce e corretta diagnosi;  un’ottimizzazione del follow-up (che potrebbe essere condiviso tra i vari centri SM regionali) al fine di ridurre richieste inutili con un netto risparmio delle risorse economiche; un corretto monitoraggio di efficacia dei trattamenti attualmente a disposizione e quindi la possibilità di interrompere trattamenti costosi, nel caso di “non responders”, indirizzando i pazienti a terapie di seconda linea.
“Una rivoluzione è in atto: la tecnologia diagnostica negli ultimi anni – ha spiegato Claudio Gasperini, neurologo al San Camillo Forlanini– s’è ulteriormente raffinata. Oggi, grazie alla maggiore risoluzione della Rmn, si riescono a individuare lesioni nel cervello e nel midollo, di un millimetro o due, impensabili fino a pochi anni fa. Se prima occorrevano anche quattro anni dal primo attacco per una diagnosi certa di malattia, oggi, nel 90% dei casi portati all’osservazione di un neurologo (di qui l’importanza di affidarsi a centri competenti ai primi sintomi) si riesce a identificare la SM entro un anno dal primo attacco. La Rmn è lo strumento di elezione, non solo per la diagnosi ma anche per monitorare l’andamento della malattia e delle terapie somministrate. È noto che una corretta valutazione della Rmn all’esordio in termini di localizzazione e volume delle lesioni, nonché  della sua variazione nei primi cinque anni di malattia, abbia un valore prognostico importante.
 
E grazie alla ricerca è possibile ridurre mortalità e disabilità da ictus ischemico in fase acuta. Al congresso della Sno sarà presentato lo studio multicentrico italiano non profit, denominato Synthesis Expansion, che punta a individuare le migliori pratiche per combattere questa patologia. “L’ambizione – spiega Alfonso Ciccone, direttore della Struttura Complessa di Neurologia e Stroke Unit dell’Ospedale “C. Poma” di Mantova, responsabile nazionale dello studio – è ridurre di un ulteriore 14-15% il tasso di mortalità nei pazienti trattati in ospedale, già all’11-12% (obiettivo globale auspicato - 25%, ndr). A confronto sono due tecniche di trombolisi (rottura del coagulo cerebrale che ha determinato l’evento), l’una con farmaco endovena e l’altra “meccanica” con cateteri introdotti in arteria e risalenti fino al cervello. Il trial è stato finanziato con 550 mila euro per la ricerca indipendente, attribuito dall’Agenzia italiana per il farmaco (Aifa)".
Lo studio, unico al mondo nel suo genere, è condotto in 25 centri ospedalieri italiani ed ha appena concluso l’arruolamento di 362 pazienti. A settembre 2012 i risultati.
 

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