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Lunedì 19 OTTOBRE 2020
No a compromessi sulla professione di Osteopata



Gentile Direttore,
la recente sentenza della Corte costituzionale sul ruolo degli osteopati nel contesto sanitario dovrebbe leggersi in controluce con la Bozza di accordo per il nuovo profilo professionale, considerata solo pochi giorni prima irricevibile dalla Conferenza delle Regioni: due circostanze tra esse non collegate nonostante la loro contemporaneità, tuttavia descrittive di un attuale paradosso su cui occorre a nostro avviso fare luce.
 
La prima, riconoscendo che la legittima integrazione degli osteopati in sede ospedaliera non si configuri come anticipazione del loro statuto professionale, chiarisce che “la figura dell’osteopata ancor prima del suo riconoscimento (legge 3/2018) sia da considerarsi un lavoro professionale tutelato” ai sensi della legge (e con buona pace di chi continua ad affermare il contrario-ndr).
 
La seconda, realizzata presso il Ministero della Salute e fortunatamente rifiutata dalle Regioni, limitava le competenze e le attività degli osteopati a una formazione triennale e all’intervento esclusivo in ambito preventivo, mediante azione non riconducibile ad alcuna patologia (!), ovvero limitando funzioni e autonomia dei neo-professionisti rispetto a quanto vige nel resto del mondo civile.
 
A questo punto è lecito chiedersi come sia possibile sperimentare “progetti finalizzati all’inserimento dei trattamenti osteopatici nell’ambito delle discipline ospedaliere” per aggiornare in ottica di gradualità l’offerta sanitaria nazionale, come sancito dalla Corte, mentre si sostiene contestualmente che il ruolo degli osteopati non sia compatibile con le attività di prevenzione, cura e riabilitazione interdisciplinare nel contesto patologico, quindi sanitario e ospedaliero. Il conflitto tra Corte costituzionale e Ministero della Salute al riguardo sembrerebbe all’apogeo.
 
Tale grave contraddizione istituzionale potrebbe ricondursi al proverbiale corporativismo delle professioni che non hanno mai fatto mistero della loro contrarietà verso osteopati e chiropratici. Se così fosse, tuttavia, si potrebbe dubitare del ruolo “super partes” che le istituzioni nazionali responsabili della presentazione della nota Bozza sul profilo professionale degli osteopati avrebbero dovuto garantire nei procedimenti istruttori realizzati con alcune rappresentanze degli stessi. Inspiegabile apparirebbe alla stessa stregua il senso dell’apporto delle rappresentanze di osteopati che votarono a favore della norma europea CEN 16686 nel merito della loro professione, salvo poi fare harakiri durante le riunioni presso il Ministero della salute.
 
La nostra Associazione che non è mai stata invitata a questi tavoli, pur avendone fatto richiesta formale, dichiara da sempre contrarietà verso scorciatoie penalizzanti o compromessi poco trasparenti. Il sostegno pubblico ai requisiti legali della formazione e dell’esercizio degli osteopati è infatti parte dei propri obiettivi statutari. Tutto ciò premesso, è nostra attuale intenzione interessare lo stesso Governo circa la non fattibilità tecnica e deontologica di ogni eventuale tentativo di baratto della dignità e dell’utilità di una nuova categoria professionale con la sanatoria di un maggior numero di operatori sedicenti. Ogni tentativo in tal senso sarebbe destinato a fallire, con conseguente procrastinarsi delle condizioni di insicurezza dei pazienti che si affidano alle mani di operatori non controllati e della precarietà degli osteopati qualificati che vivono in condizioni di contestabilità e senza tutele.
 
Auspichiamo che si pervenga a tale consapevolezza ancor prima di nuovi pronunciamenti degli Organi nazionali e internazionali di garanzia.
 
Luigi Ciullo
Presidente Adoe

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