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Martedì 20 OTTOBRE 2020
Covid e il diritto dei detenuti di usufruire di cure mediche appropriate



Gentile Direttore,
l’emergenza Covid-19 e l’alto rischio dovuto alla coesistenza di patologie croniche gravi hanno reso attuali le problematiche riguardanti i criteri di redazione del certificato medico di compatibilità o meno del regime carcerario per i reclusi con gravi patologie nell’organizzazione penitenziaria ( http://www.antoniocasella.eu/salute/Marin_ott18.pdf ).

Il certificato medico di compatibilità o meno tra detenzione in carcere e condizioni di salute del recluso con patologie gravi, consente al giudice di disporre il rinvio della pena ex-art.47 CP o la concessione di misure alternative alla detenzione, come gli arresti domiciliari ex-art.47-ter CP o il trasferimento in altro istituto idoneo a garantire le cure necessarie oppure di confermare il mantenimento dello stato di detenzione dove sono garantite le cure necessarie. L’art. 11 della legge 354/1975 dispone: "Ove siano necessari cura o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti, con provvedimento del magistrato di sorveglianza, in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura".

La valutazione medica deve essere condotta attraverso un esame comparativo della gravità delle condizioni cliniche e delle modalità di esecuzione della pena detentiva ed implica un fondato giudizio clinico, motivato e documentato, di idoneità delle cure necessarie e accessibili nel caso concreto nell’istituto penitenziario di detenzione, dell’effettiva somministrazione delle cure praticabili e della loro adeguatezza alle condizioni cliniche del recluso (Cassazione sez. I° Penale, n. 19594/2020).

Il medico penitenziario non è il medico curante di libera scelta del detenuto e già per questo deve costruire e mantenere con l’assistito recluso un più difficile rapporto fiduciario funzionale all’adesione alle cure che invece potrebbe venir compromesso da una sua certificazione affermante la compatibilità tra detenzione e stato di salute, in disaccordo con l’aspettativa di scarcerazione del recluso. Il Codice di deontologia medica all’art. 13 afferma che il medico curante non acconsente a richieste dell’assistito allo scopo di compiacerlo, agli artt. 3 e 4 che ne tutela la salute senza condizionamenti, con autonomia e responsabilità e all’art. 62 che non può svolgere attività medico legali quale consulente d’ufficio o di controparte nei casi in cui sia intervenuto personalmente per ragioni di assistenza e cura.

Il Comitato Nazione di Bioetica raccomanda ai medici curanti dei detenuti di non esprimere giudizi di incompatibilità o meno col regime di detenzione per evitare di ledere il rapporto fiduciario, come pure la direttiva europea di settore, art. 73, punto H. Pertanto a seguito di domanda di verifica della compatibilità o meno del regime carcerario con lo stato di salute, il medico curante può redigere una relazione attestante la gravità delle patologie del recluso, il grado di stabilità clinica, le cure in atto e l’idoneità della struttura a garantire la loro somministrazione, lasciando la certificazione di compatibilità dello stato di salute col regime di detenzione ad altro medico estraneo alla funzione di curante quale il medico legale o il direttore di sanità penitenziaria dell’azienda sanitaria a cui il DPCM 1 aprile 2008 ha affidato la gestione del servizio.Il medico deve tutelare la salute dei detenuti da rischi prevedibili ed evitabili e allo stesso tempo vigilare su eventuali simulazioni di patologie o di aggravamenti finalizzati ad ottenere benefici non dovuti (Circolare D.A.P. n.3258/5708 del 28 dicembre 1988).

Il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (DAP) con parere del 5 dicembre 2013 (Palmisano R) ha affermato la distinzione tra certificato medico di valutazione della compatibilità delle condizioni di salute del detenuto col regime carcerario (art. 299 comma 4-ter CPP), secondo la procedura che richiede la nomina di un perito ex-art.220 CPP e  il certificato medico per il differimento della pena (art. 684 CC) secondo la procedura di cui agli artt. 146 e 147 del codice penale.

La Cassazione sezione 1° Penale con sentenza n.54448/2016 ha affermato l’obbligo per il magistrato di sorveglianza, a fronte di documentazione clinica con divergenti conclusioni sulla compatibilità tra condizioni patologiche e il regime restrittivo di un detenuto, di ricorrere all’ausilio della perizia di cui all’art.220 CPP.

La possibilità per il detenuto di fruire di cure mediche appropriate in condizione di recluso costituisce il presupposto fondante la linea di demarcazione tra la compatibilità e l’incompatibilità delle condizioni psico-fisiche della persona con il regime carcerario (Cass. Pen. Sez.IV n.53150/2017 e Sez. 1, n.3262/2015 e n. 16681/2011). A ciò si aggiunge poi la verifica della pericolosità del recluso da parte del giudice che effettua un bilanciamento tra le istanze sociali di tutela della collettività e le condizioni di salute certificate con i rischi del mantenimento del regime carcerario in termini di aggravamento del quadro clinico (Cass, sez. 1, n. 37062/2018 e n. 53166/2018).Comunque, nei casi di assoluta urgenza il trasferimento del detenuto può avvenire  direttamente su provvedimento del direttore del carcere, secondo l’art.17 del DPR n.230/2000.

Mauro Marin
Direttore Distretto e Responsabile Sanità Penitenziaria ASFO - Pordenone

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