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Martedì 27 OTTOBRE 2020
Covid. Cosa si sta facendo per la sicurezza di chi lavora in sanità?



 
Gentile Direttore,
ed eccoci alla temuta, annunciata ma trascurata, seconda ondata dell'epidemia da Covid-19, con ovvio seguito di dpcm governativi, tanto repentini nel susseguirsi quanto distanti dal fornire soluzioni credibili, tanto ricchi di divieti quanto poveri di risorse effettive da destinare al cuore del problema: recuperare, in tempi record, decenni di disinvestimenti in sanità procurando mezzi e personale specializzato per affrontare il problema con serietà.
Invece, nulla di tutto questo.
 
Mentre, al contrario, su tutto il territorio nazionale, si registrano quotidiane disposizioni di servizio delle Aziende territoriali ed Ospedaliere rivolte ai dirigenti medici del SSN perchè prestino la loro opera in reparti destinati al trattamento dei “malati Covid” per i quali, spesso e volentieri, non sono in possesso delle necessarie competenze per fornire adeguata assistenza. La tal cosa – che, a futura memoria costituirà una prova inconfutabile dell'altruismo e dell'abnegazione delle donne e degli uomini del SSN - pure abusata dalla parte datoriale che sa perfettamente come, in condizioni di emergenza, un eventuale rifiuto sarebbe passibile di azioni disciplinari e gravi ripercussioni e responsabilità, non è scevra di rischi professionali significativi e concreti per i destinatari di simili provvedimenti.
 
Non ci si vuole riferire tanto ai pericoli per la salute del personale che venisse inviato in reparti ad alto rischio infettivo dove, magari non sono state adottate le misure opportune a tutela dei lavoratori (non è questa la sede, ma ricordiamo ai gentili lettori che l'assenza di documenti di valutazione del rischio aggiornati e/o di protocolli specifici costituirebbe una violazione del Dlgs 81/2008), quanto, invece il richiamo riguarda l'attenzione che sarebbe bene il medico al caso interessato ponesse in ordine all'art. 1) della Legge 24/2017 (Legge Gelli-Bianco), ahinoi, sempre troppo poco attenzionato, ma di grande centralità nel corso di un'emergenza come questa.
 
L'Art. 1 - rubricato “Sicurezza delle cure in sanita'”- ai commi 2 e 3 prevede: “2. La sicurezza delle cure si realizza anche mediante l'insieme di tutte le attivita' finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all'erogazione di prestazioni sanitarie e l'utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative.3. Alle attivita' di prevenzione del rischio messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, e' tenuto a concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti chevi operano in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale.”
 
Ora, non è questa la sede per fare una compiuta esegesi dei due commi, ma, è abbastanza chiaro essi coinvolgono, interamente, nel perseguimento dell'obiettivo di fornire cure in “sicurezza”, “tutto il personale”, il quale, ovviamente e stando al verbo “concorrere” che la norma cita, sarà chiamato a rispondere verso i pazienti, sia pure nei limiti del proprio grado di responsabilità e della posizione ricoperta, che dovessero lamentare di aver subito danni a causa di deficit di organizzazione che non gli abbiano consentito di ricevere prestazioni sanitarie/cure in “sicurezza”.
 
Trattasi, con tutta evidenza, di una previsione capestro, sopratutto, in ragione delle deficienze strutturali che abbiamo denunciato come la conseguenza di decenni di disinvestimenti nel Servizio Sanitario e, a maggior ragione, nel contesto dell'epidemia in corso per la quale le Autorità politiche e dell'amministrazione sanitaria visibilmente stentano ad individuare orientamenti efficaci cui fare riferimento, per giunta, in mancanza“ endemica” delle risorse umane e materiali per approntare le risposte del caso.
 
Ecco allora che volendo dare a questo breve scritto un taglio concreto e prettamente di servizio per non limitarsi semplicisticamente a polemiche, giuste ma del tutto inutili, si ritiene di indicare qualche suggerimento che possa aiutare chi, suo malgrado, si troverà gioco forza ad affrontare le situazioni accennate:
1) notiziare, formalmente per iscritto, le figure preposte dalle Aziende di appartenenza in ordine ad eventuali gap di sicurezza o violazioni di protocolli riscontrati presso le strutture alle quali si venga assegnati in ragione dell'emergenza sanitaria. Anche se inascoltata la comunicazione sarà testimonianza, a futura memoria, del comportamento pro-attivo assunto dal personale che non avrà accettato in maniera acquiescente di tollerare lo stato di cose riscontrato a scapito dei pazienti;
 
2) sincerarsi presso l'Azienda di riferimento che esistano coperture assicurative adeguate a coprire il personale per eventuali sinistri dovuti a deficit di organizzazione. In ogni caso, appurare presso il proprio broker di fiducia quale sia l'estensione delle coperture della propria polizza professionale curandosi di ampliarla ove ritenuto utile;
 
3) attraverso le proprie OO.SS insistere presso le Aziende di riferimento perchè si adottino protocolli integrativi dei contratti di lavoro che garantiscano, al personale adibito a “reparti covid” ma non munito di specifica specializzazione professionale, la manleva da responsabilità per il caso di chiamate in giudizio da parte di pazienti che abbiano subito danni a causa di deficit di organizzazione.
 
 
Non è molto ma è qualcosa!
 
Dott. Biagio Papotto
Segretario Generale CISL Medici

 
Avv. Domenico Francesco Donato
Esperto diritto sanitario e consulente CISL Medici

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