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Martedì 22 MAGGIO 2012
Metodo Zamboni. L'allerta Fda non mi convince



Gentile direttore,
ho letto l'articolo "Metodo Zamboni. Allerta Fda: Dite ai pazienti che i benefici non sono provati”. Essendo soggetto affetto da SM e essendomi personalmente sottoposto alla cosiddetta liberazione con metodo Zamboni, noto incredibili inesattezze e superficialitá che, a mio modesto avviso, soprattutto data l'estrema delicatezza dell'argomento, sarebbe opportuno che la vostra redazione provvedesse a esporre, con l'intento di fornire la giusta informazione al pubblico spesso molto attento in questo particolare argomento.

Ad onor di cronaca, nell'articolo, la Fda, si pronuncia piú volte associando il metodo Zamboni con l'utilizzo di "stent" e, partendo proprio da questo punto, terrei enormemente fosse fatto notare che il metodo Zamboni non prevede assolutamente l'utilizzo di stent e addirittura ne sconsiglia fortemente l'utilizzo quindi, se nella procedura di liberazione venisse usato alcuno stent, questa giá NON potrebbe chiamarsi "metodo Zamboni".
Altresí,venuto Zamboni a conoscenza di un evento di morte (se non sbaglio in Centramerica) dovuto all'utilizzo di stent con conseguente migrazione dello stesso causando decesso del paziente, il Prof. Zamboni si é celermente pronunciato formalmente per dissociarsi immediatamente da tale pratica (che nella fattispecie sembra si fosse trattato di pratica particolarmente cruenta e assolutamente dissimile dalla pratica Zamboni). Il Prof. Zamboni ha inoltre ribadito che la pericolositá dell'utilizzo di stent nelle vene.
 
Vorrei inoltre rimarcare il fatto che io sia un cittadino italiano assolutamente non associato né al Prof. Zamboni né ad altri enti o associazioni di alcun genere ma come detto all'inizio, avendo giovato grandemente da tale pratica che mi ha restituito una vita meritevole di essere chiamata tale e vissuta, tengo particolarmente a cuore che queste inesattezze espresse dalla FDA in piú articoli venissero doverosamente rettificate.
Il fatto stesso che un ente tanto prestigioso potesse esprimersi con tanta ignoranza mi lascia assolutamente esterrefatto ed increduloe  fa sorgere in me la legittima domanda se possa non esserci un qualche interesse in cotanta ignoranza.
Prima di congedarmi vorrei chiedere la Vostra gentile collaborazione e portare le dovute correzioni come riterrete piú opportuno, giusto per onorare cronaca e veritá.
Rispettosamente.

Nicola Porcu

Gentile signor Porcu,
la Food and Drug Administration ha posto l’attenzione su tutte le tecniche per il trattamento della CCSVI, di cui il metodo Zamboni è il primo e più importante esempio: non è dunque un caso che quando si pensa al legame tra insufficienza venosa cronica cerebrospinale e sclerosi multipla, il primo medico che si nomini sia proprio il nostro connazionale.
Tuttavia, chiaramente, quella della Fda non è una “bocciatura” per Zamboni, ma un avvertimento posto in generale sui metodi di liberazione delle vene di collo e testa.

Quando parla di stent nelle vene giugulari l’ente statunitense non si riferisce dunque nello specifico al metodo di origini italiane, poiché – come giustamente dice il lettore – Zamboni stesso sconsiglia l’uso di questa tecnica per riallargare questi vasi sanguigni: le vene giugulari cambiano infatti di volume nel corso della giornata (ad esempio a seconda che si dorma o che si sia svegli), dunque non è indicato inserire in esse una struttura rigida come uno stent; questo tipo di intervento, inoltre, può avere complicazioni anche molto gravi anche quando gli strumenti sono tarati esattamente per il vaso sanguigno in cui si vogliono usare, ma come spiegato precedentemente non esistono stent fatti su misura per le vene del collo o della base della testa.
 
Del resto, l’avvertimento dell’Fda rimane, anche per la procedura italiana. Come spiegato dall’ente, la diagnosi della CCSVI non è purtroppo ancora univoca, né è stato dimostrato definitivamente il suo legame con la sclerosi multipla. Inoltre, colpa forse anche della mancanza di ricerche prive di elementi contraddittori o controversi, l’efficacia di metodi come quello di Zamboni contro la sclerosi multipla non è stata provata – nonostante anche in Italia ci siano pazienti, come il lettore, che ne hanno tratto giovamento.
La speranza delle associazioni di pazienti e di una parte della comunità accademica è che possano presto essere iniziati degli studi che ne verifichino finalmente efficacia e sicurezza. O se serve, che la smentiscano una volta per tutte, in modo che nessun paziente si sottoponga a procedure per le quali i rischi sono più alti che i benefici. Nel frattempo, però, è giusto che ogni paziente abbia tutti gli elementi per decidere se sottoporsi o meno a interventi come questi.

Laura Berardi


 

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