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Lunedì 14 DICEMBRE 2020
Impariamo a rispettarci l’un l’altro, a prescindere dalle competenze



Gentile Direttore,
in queste settimane, con le mie colleghe psicologhe, abbiamo valutato come offrire nel modo migliore un servizio di ascolto psicologico agli operatori sanitari del nostro ospedale. La nostra disponibilità per tale attività non è mai mancata e ovviamente continuerà a esserci. Tra le molte questioni poste in primo piano, la pandemia Covid ha messo in rilievo anche la necessità dell’assistenza psicologica agli operatori sanitari. A giusta ragione, in quanto è noto quanto gli operatori sanitari siano tra le categorie professionali con un maggiore carico emotivo.
 
Forti quote di stress sono legate al contatto con la sofferenza e la morte, al rischio concreto di contagio, al superlavoro in situazioni di criticità organizzativa. E’ quindi senz’altro meritorio e importante il fatto che in molti ospedali siano nati servizi di consulenza psicologica dedicati agli operatori sanitari.

Tuttavia, credo anche che tali iniziative possano rischiare di essere una risposta abbastanza inadeguata a un bisogno reale. Potrebbero, paradossalmente, divenire perfino dannose laddove favorissero una lettura del disagio dell’operatore in relazione esclusivamente alle sue caratteristiche individuali.

Il punto di partenza è dunque: di cosa hanno bisogno i miei colleghi? Di cosa abbiamo bisogno noi?

Premetto che sono convinto che la psicologia possa essere di validissimo aiuto in quanto disciplina che studia temi quali il benessere, la motivazione, le dinamiche relazionali. E proprio a partire dalle mie competenze avverto come inadeguata la risposta in termini solo di aiuto individuale. Da un lato, occorre una visione sistemica che tenga conto della complessità inter e intra-istituzionale. Dall’altro, andrebbe riconosciuta, come anche in medicina, l’importanza sempre più decisiva della prevenzione anche in psicologia.

Il discorso ovviamente diviene molto ramificato. Entrare nel merito delle dinamiche organizzative comporta affrontare questioni politiche, sindacali, economiche che non sembrerebbero di pertinenza della psicologia. Inoltre, ciò comporta un quesito a monte: da quale vertice osservativo, da che parte sta lo specialista psicologo nelle dinamiche tra azienda e operatore che inevitabilmente e in parte necessariamente sono anche confliggenti? Io credo che sia possibile “limitarsi” a lavorare per quelli che sono i vantaggi comuni (tutti abbiamo interesse che l’ospedale funzioni meglio possibile) ma ovviamente sono consapevole delle difficoltà insite in un percorso tortuoso.

Comunque, per provare a dare una prima risposta parziale, noi operatori sanitari abbiamo bisogno in primo luogo di essere rispettati. Certamente, il rispetto altrui va di pari passo con il proprio rispetto verso gli altri. L’Oss rispetta il primario che stima l’Oss, il collega rispetta il collega corretto, l’infermiere stima il medico che rispetta l’infermiere e cosi via.

Rispetto comporta anche valorizzazione. Non parlo solo di maggiori assunzioni e di riconoscimenti premiali. Valorizzazione significa favorire la partecipazione, accrescere la motivazione, dare importanza alle competenze, aiutare laddove vi sia una difficoltà. Poi necessitiamo di chiarezza e d’informazioni condivise. Non sono di sicuro un fautore dell’assemblearismo, ma è evidente quanto sia importante evitare la percezione che le decisioni che ci riguardino, siano prese troppo lontano da noi. A più livelli, abbiamo bisogno di essere ascoltati e di ascoltare le ragioni di chi decide. Altrimenti, diventa reale il rischio di sentirci abbandonati in trincea.

In questi mesi, tutti gli operatori sanitari hanno giustamente rifiutato una narrazione che li ha descritti come “eroi”, asserendo di fare unicamente il proprio dovere. Tuttavia, è certo che il riconoscimento unanime verso il nostro impegno abbia fatto bene e sia stato utile a darci motivazioni giuste.  Al contrario, gli attacchi generalizzati e aspecifici (provenienti perfino da chi dovrebbe difenderci) fanno male. Il sostegno dei vertici è fondamentale.

Certo, il gioco di squadra e il senso di appartenenza non si creano dal nulla e per incanto. Occorre perciò rafforzare relazioni curanti tra gli operatori, dando rilievo al benessere e al clima organizzativo. Occorre favorire momenti di condivisione anche informali, perfino utilizzando gli strumenti virtuali. Anche in questo modo si cura il benessere degli operatori sanitari.

In conclusione, avverto di aver descritto i bisogni degli operatori sanitari facendo riferimento in realtà a categoria cui ogni persona ha diritto. Rispetto, stima, chiarezza, lealtà, onestà, riconoscimento delle competenze, servono, infatti, a tutti.

Alberto Vito
Resp. UOSD Psicologia Clinica A. Ospedali dei Colli (Na)

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