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Martedì 22 DICEMBRE 2020
Covid. Inail: “Superate le 100mila infezioni sul lavoro”. Seconda ondata peggio della prima. Nella sanità il 68,7% delle denunce e il 23,7% dei casi mortali. Gli infermieri i più colpiti

La “seconda ondata” dei contagi ha avuto un impatto più significativo della prima anche in ambito lavorativo. La categoria professionale più colpita è quella dei tecnici della salute, con il 38,6% delle infezioni denunciate, circa l’82% delle quali relative a infermieri, seguita dagli operatori socio-sanitari (18,6%), dai medici (9,5%), dagli operatori socio-assistenziali (7,6%) e dal personale non qualificato nei servizi sanitari, come ausiliari, portantini e barellieri (4,7%). I casi mortali tra i sanitari sono il 23,7%, al primo posto infermieri con il 9,3% dei morti e poi i medici con il 6,5%. IL RAPPORTO.

Le infezioni da Covid-19 di origine professionale denunciate all’Inail alla data del 30 novembre sono 104.328, pari al 20,9% del complesso delle denunce di infortunio sul lavoro pervenute dall’inizio dell’anno e al 13% dei contagiati nazionali comunicati dall’Istituto superiore di sanità (Iss) alla stessa data.
 
Rispetto alle 66.781 denunce rilevate alla data del 31 ottobre i casi in più sono 37.547, di cui 27.788 riferiti a novembre e 9.399 a ottobre, per un totale al 30 novembre di 104.328 denunce.
 
Lo rileva oggi l'Inail che sottolinea come la “seconda ondata” dei contagi abbia avuto un impatto più significativo della prima anche in ambito lavorativo. Nel bimestre ottobre-novembre, infatti, si rileva il picco dei contagi con quasi 49mila denunce di infortunio (pari al 47% del totale) rispetto alle circa 46.500 registrate nel bimestre marzo-aprile. Il divario, peraltro, è destinato ad aumentare nella prossima rilevazione per effetto del consolidamento particolarmente influente sull’ultimo mese della serie.
 
Ricordiamo che l'Inail non registra i casi di contagio e i decessi dei sanitari non assicurati con Inail (mmg, liberi professionisti, farmacisti, ecc.)
 
I casi mortali dall'inizio della pandemia sono 366, pari a circa un terzo del totale dei decessi denunciati all’Inail dall’inizio dell’anno, con un’incidenza dello 0,7% rispetto ai deceduti nazionali da Covid-19 comunicati dall’Iss alla stessa data. Rispetto ai 332 decessi rilevati dal monitoraggio al 31 ottobre, i casi mortali segnalati all’Istituto sono 34 in più, di cui 20 nel solo mese di novembre. La metà dei decessi (50,3%) è avvenuta ad aprile, il 33,1% a marzo, il 6,0% a maggio, il 5,5% a novembre, l’1,6% a luglio e a ottobre, l’1,4% a giugno e lo 0,3% ad agosto e settembre.
 
Sul totale dei 366 decessi, il settore della sanità e assistenza sociale (ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili…) registra il 23,7% dei decessi codificati (pari a 87 decessi); seguito dalle attività del manifatturiero (addetti alla lavorazione di prodotti chimici, farmaceutici, stampa, industria alimentare) con il 13,7%; dal trasporto e magazzinaggio con l’11,5%; dall’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl - e amministratori regionali, provinciali e comunali) con il 10,3%; dal commercio all’ingrosso e al dettaglio con il 9,9%, dalle costruzioni con il 7,6%; dalle attività professionali, scientifiche e tecniche (dei consulenti del lavoro, della logistica aziendale, di direzione aziendale) con il 4,6%; dalle attività finanziarie e assicurative con il 3,8%; da quelle dei servizi di alloggio e ristorazione, dalle altre attività dei servizi (pompe funebri, lavanderia, riparazione di computer e di beni alla persona, parrucchieri, centri benessere…) e dalle attività inerenti il noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (servizi di vigilanza, attività di pulizia, fornitura di personale, call center…), tutte con il 3,4% ciascuna.
 
Nel dettaglio, le categorie più colpite dai decessi sono quelle dei tecnici della salute (il 58% sono infermieri, di cui circa la metà donne) con il 9,3% dei casi codificati e dei medici con il 6,5% (un decesso su dieci è femminile).
A seguire gli operatori socio-sanitari con il 5,1% (oltre la metà sono donne), il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliari, portantini, barellieri, tra questi il 27% sono donne) con il 3,1% e gli operatori socio-assistenziali (due su tre sono donne) con il 2,8%, gli specialisti nelle scienze della vita (tossicologi e farmacologi) con il 2,0%.
 
Le restanti categorie professionali coinvolte riguardano gli impiegati amministrativi con l’11,8% (nove su dieci sono uomini), gli addetti all’autotrasporto con il 5,9% (tutti uomini), gli addetti alle vendite e i direttori e dirigenti amministrativi e sanitari con il 2,5% ciascuno, gli artigiani meccanici con il 2,2%, gli addetti ai servizi di sicurezza, vigilanza e custodia e gli artigiani e operai specializzati nelle rifiniture e mantenimento delle strutture edili, tutti con il 2,0% ciascuno.
 
L’analisi territoriale conferma che le denunce di infezione ricadono soprattutto nel Nord del Paese: il 50,3% nel Nord-Ovest (il 30,5% in Lombardia), il 21% nel Nord-Est, il 13,7% al Centro, l’11,1% al Sud e il 3,9% nelle Isole. Le province con il maggior numero di contagi sono Milano (11,9%), Torino (7,6%), Roma (4,2%), Napoli (3,9%), Brescia (3,2%), Genova (2,8%), Varese (2,7%) e Bergamo (2,6%). In termini relativi, però, sono le province meridionali a registrare i maggiori incrementi: Reggio Calabria, Caltanissetta, Caserta e Salerno vedono più che triplicare i casi denunciati rispetto alla rilevazione di fine ottobre.
 
Concentrando l’analisi esclusivamente sui decessi, la percentuale del Nord-Ovest sale al 53,8% (il 39,3% in Lombardia), ma rispetto al totale delle denunce si osserva una quota più elevata al Sud, che con il 16,9% dei casi mortali precede il Centro (13,7%), il Nord-Est (12,8%) e le Isole (2,8%). Le province che contano più decessi si confermano essere quelle di Bergamo (11,2%), Milano (8,5%), Brescia (6,8%), Napoli (6,3%), Roma (5,5%) e Cremona (4,9%).
 
Rispetto alle attività produttive coinvolte dalla pandemia, il settore della sanità e assistenza sociale – che comprende ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili – con il 68,7% delle denunce (pari a 71.673 casi) precede l’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl – e amministratori regionali, provinciali e comunali), in cui ricadono il 9,2% delle infezioni denunciate e il 10,3% dei decessi.
 
Gli altri settori più colpiti sono i servizi di supporto alle imprese (vigilanza, pulizia e call center), il manifatturiero (tra cui gli addetti alla lavorazione di prodotti chimici e farmaceutici, stampa, industria alimentare), le attività dei servizi di alloggio e ristorazione e il commercio.
 
Ripartendo l’intero periodo di osservazione in tre intervalli – fase di “lockdown” (fino a maggio compreso), fase “post lockdown” (da giugno ad agosto) e fase di “seconda ondata” di contagi (settembre-novembre) – per l’insieme dei settori della sanità, assistenza sociale e amministrazione pubblica (Asl) si osserva una progressiva riduzione dell’incidenza delle denunce tra le prime due fasi e una risalita nella terza (si è passati dall’80,5% dei casi codificati nel primo periodo al 49,2% del trimestre giugno-agosto, per poi risalire al 76,3% nel trimestre settembre-novembre). Viceversa altri settori, con la graduale ripresa delle attività, in particolare nel periodo estivo, hanno visto aumentare l’incidenza dei casi di contagio tra le prime due fasi e una riduzione nella terza.
 
È il caso, per esempio, dei servizi di alloggio e ristorazione (passati dal 2,5% del primo periodo, al 6,3% del trimestre successivo e al 2,4% nel trimestre settembre-novembre) e dei trasporti (passati dall’1,2%, al 5,8% e al 2,4%). Il decremento osservato in questi settori nell’ultimo trimestre analizzato non deve però trarre in inganno. In ottobre e, in particolare, a novembre il numero dei contagi sul lavoro da Covid-19 denunciati all’Inail è tornato ad aumentare vigorosamente in tutti i settori di attività. A diminuire è la quota di questi casi sul totale, a fronte del più consistente aumento che caratterizza nuovamente la sanità, sia in valore assoluto che relativo.
 
La categoria professionale più colpita continua a essere quella dei tecnici della salute, con il 38,6% delle infezioni denunciate, circa l’82% delle quali relative a infermieri, e il 9,3% dei casi mortali, seguita dagli operatori socio-sanitari (18,6%), dai medici (9,5%), dagli operatori socio-assistenziali (7,6%) e dal personale non qualificato nei servizi sanitari, come ausiliari, portantini e barellieri (4,7%). Le altre categorie più coinvolte sono quelle degli impiegati amministrativi (4,3%), degli addetti ai servizi di pulizia (2,2%), dei conduttori di veicoli (1,2%) e dei dirigenti amministrativi e sanitari (1,0%).
 
Dall’analisi dei dati per mese di accadimento emerge una progressiva riduzione dell’incidenza dei casi di contagio per le professioni sanitarie nelle prime due fasi e una risalita nella terza. La categoria dei tecnici della salute, in particolare, è passata dal 39,3% del primo periodo, fino a maggio compreso, al 21,4% del trimestre giugno-agosto, per poi risalire al 38,6% nell’ultimo trimestre. I medici, scesi dal 10,2% della fase di “lockdown” al 3,7% in quella “post lockdown”, hanno fatto registrare il 9,0% nella “seconda ondata” dei contagi.
 
Con la ripresa delle attività, altre professioni hanno invece visto aumentare l’incidenza dei casi di contagio tra le prime due fasi e registrato una riduzione nella terza. Gli esercenti e addetti nelle attività di ristorazione, per esempio, sono passati dallo 0,6% del primo periodo al 4,2% di giugno-agosto e allo 0,8% tra settembre e novembre. Gli addetti ai servizi di sicurezza, vigilanza e custodia, tra la prima e la seconda fase hanno raddoppiato la percentuale dei contagi rispetto al totale (dallo 0,6% all’1,2%), per poi attestarsi allo 0,9% nell’ultimo trimestre. Le infezioni relative agli artigiani e operai specializzati delle lavorazioni alimentari, invece, sono aumentate dallo 0,2% al 7,1%, per poi tornare allo 0,2% dei contagi denunciati tra settembre e novembre.
 
La maggioranza dei lavoratori contagiati sono donne (69,4%), con un’età media dall’inizio dell’epidemia di 46 anni per entrambi i sessi. Il 42,5% delle denunce riguarda la classe 50-64 anni, seguita dalle fasce 35-49 anni (36,8%), 18-34 anni (18,8%) e over 64 anni (1,9%). I decessi, invece, sono concentrati soprattutto tra gli uomini (84,2%) e nella fascia 50-64 anni, con il 71,6% del totale dei casi. Seguono le fasce over 64 anni (18,6%) e 35-49 anni (8,7%), con un’età media dei deceduti di 59 anni.
 
L’85,6% dei contagi denunciati riguarda lavoratori italiani. Il restante 14,4% sono stranieri (otto su 10 donne), concentrati soprattutto tra i lavoratori rumeni (pari al 20,2% dei contagiati stranieri), peruviani (15,0%), albanesi (7,8%) ed ecuadoregni (5,1%).   

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