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Mercoledì 20 GENNAIO 2021
Distretto e riabilitazione su base comunitaria. L’esperienza della Bassa Friulana

Potenziamento dei percorsi di riabilitazione, contrasto all’inattività fisica negli anziani per favorire autosufficienza e limitare depressione e declino cognitivo, e un nuovo ruolo per il Fisioterapista che entra nel team di comunità insieme a Mmg, infermiere di comunità e assistente sociale. Queste le atout del Progetto di Riabilitazione su base comunitaria realizzato nel Distretto Est del Fvg che conferma l’idea del Distretto quale “casa comune di tutte le professionalità del territorio”


 


Percorsi di riabilitazione potenziati e contrasto all’inattività fisica, fattore di rischio fondamentale per le malattie non trasmissibili (patologie croniche cardiovascolari e metaboliche in primis), grazie ad attività di riabilitazione su base comunitaria, attuate nei Distretti, e condotte da un team di comunità dove il fisioterapista opera insieme al Medico di medicina generale, all’infermiere di comunità e all’assistente sociale del Comune.
È quanto realizzato nella Bassa Friulana, in uno dei Distretti fiori all’occhiello della Card, la Confederazione Associazioni Regionali di Distretto, Società Scientifica che raccoglie gli operatori di tutte le professioni sanitarie e sociosanitarie che operano nella sanità territoriale.
 
“Moltissimi oggi affermano l’importanza del territorio, ma molti meno forse sono a conoscenza di quanti tasselli compongono il vasto mosaico dei servizi e strutture del territorio – ha affermato Gennaro Volpe, il Presidente di Card – per questo, uno dei nostri obiettivi in Card è farli conoscere per come sono oggi interpretati nei tanti Distretti italiani delle diverse Regioni. Sono best practices che possono essere replicate in altri contesti del nostro Paese. Oggi vediamo come è stato realizzato il Progetto sperimentale di Riabilitazione su base comunitaria, attuato in un Distretto del Friuli Venezia Giulia. Un’esperienza di grande valore che risponde alla necessità di sostenere la promozione della salute e dell’autosufficienza attraverso l’attività fisica, in particolare nella popolazione anziana”.
 
La prima attività di Riabilitazione Distrettuale su base comunitaria nasce nel Distretto Est “Bassa Friulana” nel 2013 con il Progetto sperimentale Erica (Educazione Riabilitazione Integrata Comunitaria Adattata). Due i target di popolazione sui quali si è concentrata: le persone con patologie accertate di tipo neuromuscolare od ortopedico che attraverso attività di riabilitazione estensiva e di prossimità (per evitare disagevoli o a volte impossibili spostamenti dei pazienti) dovevano raggiungere una migliore autonomia; e le persone tendenzialmente sedentarie o con bassa attività fisica. Per quest’ultimo target di popolazione il progetto, sul solco delle linee guida Oms, prevedeva un’attività di gruppo (Afa - attività fisica adattata), ossia un’attività aerobica settimanale regolare di moderata intensità. Si sostanziava in programmi educativi di rieducazione al movimento e all’esercizio fisico svolti in gruppo, ma personalizzati e quindi adeguati alle capacità funzionali delle singole persone. Gli obiettivi? Ridurre il rischio di cadute a terra attraverso maggiore forza muscolare e capacità di equilibrio; migliorare le condizioni cardiorespiratorie e muscolari, scheletriche e funzionali; limitare il rischio di depressione e di declino cognitivo.

“Dare risposte ai bisogni della popolazione – ha affermato Luciano Pletti, Direttore del Distretto Est dell’Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale (Asufc) – richiede un impegno attivo delle Amministrazioni locali (che concedono la disponibilità di palestre o locali pubblici) e della Comunità (molte le Associazioni di volontariato coinvolte), quindi forme organizzate di solidarietà e socializzazione, guidate dall’indispensabile azione del Distretto per la regia operativa. In questo modo si ampliano le possibilità di partecipazione ai percorsi di riabilitazione post-evento, portandoli vicino a casa, in ambienti ed orari consoni ai pazienti e si estendono anche le occasioni di contrastare l’inattività fisica, fattore di rischio fondamentale per la caduta a terra degli anziani instabili e, più in generale, per tutti i soggetti a rischio di contrarre o veder progredire malattie non trasmissibili, quali le patologie cardiovascolari, i tumori e il diabete”.
 
Da queste premesse, nel 2014 ha preso avvio il Progetto sperimentale di Riabilitazione su base comunitaria che ha delineato un nuovo ruolo dei professionisti della riabilitazione: “Ai fisioterapisti – spiega Pletti – è stato affidato, da un lato, il compito tecnico di individuare le attività compatibili con i problemi di ogni singolo soggetto avviato ai corsi di rieducazione attiva al movimento e alla sua pratica regolare, dall’altro quello di organizzare i diversi livelli di intensità dei programmi, anche offrendo supporto formativo agli educatori e allenatori ‘laici’ da coinvolgere nella realizzazione dei programmi, ad esempio i laureati in scienze motorie che poi seguono i corsi di attività fisica adatta (Afa). Questo – prosegue – consente di soddisfare il crescente numero di persone che richiedono una ‘riabilitazione di primo livello’, e di ampliare la rete dei protagonisti della salute (formati dal Distretto). Ed anche di rispondere meglio ai Lea valorizzando nel contempo partecipazione e coesione sociale”.
 
Insomma, ha aggiunto il Direttore del Distretto “si è venuto a delineare il profilo del Fisioterapista di Distretto-Comunità, che opera, appunto, inserito e in stretto collegamento con la Comunità locale, agendo su ampi strati di popolazione e contribuendo a realizzare una sanità proattiva nella riabilitazione e nella prevenzione-promozione della salute. Il Fisioterapista entra così come componente paritario nel team di comunità, costituito dal medico di medicina generale, l’infermiere di comunità e l’assistente sociale del comune”.

“Queste attività – ha spiegato Monica Colpi, Referente delle professioni della riabilitazione del Distretto Bassa Friulana di Asufc – vogliono attuare un modello di ‘riabilitazione partecipata’ che coinvolgendo e integrando sia le famiglie che la Comunità, promuove modelli di autocura, facilitando e potenziando le connessioni con l’ambiente. L’intervento del fisioterapista diventa così fondamentale per supportare, educare, sostenere e facilitare il sistema familiare/assistenziale, per sostenere nel lungo termine la persona fragile e limitare il rischio di suoi nuovi ricoveri o di istituzionalizzazione. I modelli tradizionali di assistenza sanitaria territoriale seguono generalmente il paradigma ospedaliero/ambulatoriale – aggiunge Monica Colpi – in cui la cura viene affidata alle mani del professionista e poco si persegue lo sviluppo delle capacità di autocura in tutte le attività non strettamente specialistiche. Il fisioterapista del territorio nel nuovo ruolo di operatore di comunità diventa promotore di salute, attraverso l’educazione ai corretti stili di vita ed i corsi di rieducazione attiva al movimento”.
 
Tra i Comuni che hanno aderito a queste iniziative merita citare il Comune di Gonars, Villa Vicentina/Fiumicello (Prov. Udine) in cui sono nate le prime sedi del Fisioterapista di Comunità. In ogni sede in questi Comuni, il Distretto aveva inviato un proprio fisioterapista, formato per il lavoro di Comunità, con competenze specifiche in grado di seguire i bisogni della popolazione nel territorio di riferimento, ed assumere le funzioni di primo contatto del team riabilitativo. Il bacino d’utenza è circa 6mila abitanti e l’attività è rivolta prevalentemente alla fascia anziana: nel 2019 a Gonars, sono stati presi in carico di 111 utenti, con età media di 78 anni e eseguiti 419 accessi a domicilio, 247 prestazioni ambulatoriali, 122 valutazioni per la prescrizione di ausili, oltre all’attività di raccordo con Medici di medicina generale, infermieri, servizi sociali. I fisioterapisti sono diventati anche i formatori dei conduttori “laici” dei gruppi Afa.
 
“In sintesi – ha concluso Pletti – il Progetto di riabilitazione su base comunitaria, con l’istituzione dei Fisioterapisti di comunità, risponde meglio e prima ai bisogni ‘riabilitativi’ della comunità locale, si inserisce nei team dei sanitari già presenti in questi contesti (Mmg, infermiere, assistenti sociali) e si rende parte attiva di promozione dell’attività fisica, elemento cardine della tutela della salute. E ancora, consente il potenziamento dell’integrazione con le amministrazioni, i Servizi sociali, il volontariato e l’associazionismo locale. Insomma, concretizza la funzione distrettuale di integrazione tra sanità e servizi sociali, con un impatto positivo sull’inclusione sociale. E il Distretto così rende tangibile l’idea di casa comune di tutte le professionalità del territorio”.

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