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Lunedì 15 FEBBRAIO 2021
Forum QS/6. La sanità e il Governo Draghi. Cosa aspettarsi? Intervista a Papotto (Cisl Medici) e Mandelli (Fofi)

Per Papotto le priorità sono “più medici e professionisti, più borse di specializzazione, più borse per la medicina generale, dignità della professione, sicurezza nei posti di lavoro, depenalizzazione dell’atto medico”. Per Mandelli “il primo punto in agenda è realizzare la rete territoriale, che metta a sistema il farmacista, e la farmacia dei servizi, il medico curante e l’infermiere, come la Federazione sostiene da anni”.

Il Governo di Mario Draghi dopo il giuramento dello scorso sabato ed il primo Consiglio dei Ministri è ormai pronto a raccogliere la fiducia del Parlamento.
 
Roberto Speranza è stato confermato alla guida della Salute ma per il resto tutto, al di là dei nomi, è cambiato, con un nuovo Governo e una maggioranza inedita che abbraccia quasi l'80% delle forze presenti in Parlamento.
 
Ma pensiamo si possa però dare per certo che la Sanità resterà uno dei temi forti anche del nuovo Esecutivo, a causa del perdurare dell’epidemia, della necessità di accelerare il piano vaccini e poi di attuare quelle riforme di sistema delle quali il nostro SSN ha certamente bisogno come già rilevato in questi mesi da moltissimi osservatori. 
 
In attesa di conoscere il programma del nuovo governo, Quotidiano Sanità prosegue il suo Forum con alcuni stakeholder della sanità per definire quale dovrebbe essere l'agenda ideale nel campo della salute.
 
Dopo la prima puntata, la seconda puntata, la terza puntata, la quarta puntata e la quinta puntata a intervenire sono Biagio Papotto, segretario nazionale della Cisl Medici e Andrea Mandelli, presidente della Fofi.
 
Quali dovrebbero essere a suo avviso le priorità dell’agenda sanità del futuro Governo?
Papotto. Non sono polemico, ma siamo felici di apprendere che ci sia una “Agenda sanità”. In molti dei precedenti governi abbiamo potuto constatare che non vi fosse, e che la sanità fosse invece un fastidioso orpello. Priorità? Più medici e professionisti, più borse di specializzazione, più borse per la medicina generale, dignità della professione, sicurezza nei posti di lavoro, depenalizzazione dell’atto medico. Le bastano? Queste sono le premesse essenziali per avere poi una buona sanità.

Mandelli. E’ ormai chiaro a chiunque che il, Servizio sanitario, sotto la spinta dell’emergenza pandemica, ha visto gli effetti negativi di debolezze e criticità preesistenti, a cominciare dallo stato dell’assistenza territoriale. E’ mancata una prima linea di intervento dotata di mezzi e organizzazione e solo grazie all’abnegazione dei professionisti, in primo luogo i farmacisti, si è riusciti a non interrompere l’assistenza, che comunque è stata intaccata, come provano le centinaia di migliaia di prestazioni legate alle malattie oncologiche e cardiovascolari che sono state rimandate nei mesi del lockdown. Se ci fosse stata una rete territoriale capace di farsi realmente carico dei pazienti cronici, per esempio, avremmo avuto una situazione ben differente. Se molti pazienti non fossero stati costretti dal sistema della distribuzione diretta a recarsi in ospedali non più accessibili per ricevere i farmaci, ma li avessero trovati nella farmacia sotto casa, tanti trattamenti non sarebbero stati interrotti.  Quindi il primo punto in agenda è realizzare questa rete, che metta a sistema il farmacista, e la farmacia dei servizi, il medico curante e l’infermiere, come la Federazione sostiene da anni. Ma il primissimo punto è condurre una campagna vaccinale contro la COVID che copra la popolazione nel minor tempo possibile, per proteggere le persone e la struttura stessa della nostra società. Anche per questo aspetto i farmacisti sono pronti a fare la loro parte, come previsto dall’ultima Legge di Bilancio.
 
Pensa che i progetti attualmente inseriti nella Mission 6 del Recovery Plan con un finanziamento complessivo di circa 20 miliardi siano quelli giusti o servirebbe altro? E pensa che le risorse siano sufficienti?
Papotto. In parte ne accennavo in risposta alla domanda precedente. No, le risorse non sono sufficienti, ma – mi consenta l’apparente gioco di parole – sono sufficienti a partire, a dimostrare soprattutto la volontà del governo a porre rimedio ad una situazione di prostrazione del SSN che era quasi irreversibile. Bisogna investire di più in sanità che non è un costo, ma è un investimento in salute, una risorsa.

Mandelli. Veniamo da un lungo periodo di sottofinanziamento del Fondo sanitario, con stanziamenti che sistematicamente crescevano meno del fabbisogno reale, con misure di contenimento della spesa che si sono tradotte in aumento dell’impegno economico dei cittadini e nella rinuncia alle cure. Con questi precedenti 20 miliardi sono un inizio e vorrei ancora una volta ribadire che questi fondi non sono “spesa” ma un investimento. Quanto agli obiettivi del Recovery Plan, nella recente audizione alla Camera abbiamo ribadito la necessità di implementare rapidamente il modello della farmacia dei servizi come perno della rete territoriale e porta di acceso al Servizio sanitario nazionale. Questo significa puntare sulla sanità digitale, sull’ampliamento delle funzionalità del FSE anche attraverso il Dossier farmaceutico. E a proposito dell’assistenza farmaceutica bisogna riportare sul territorio tutti i medicinali non di uso ospedaliero, in seno a una riforma complessiva della governance della distribuzione. C’è poi il capitolo del personale: gli organici vanno ampliati e per così dire ringiovaniti, e in questo ampliamento devono essere compresi anche i farmacisti ospedalieri, il cui valore per il buon funzionamento delle strutture di ricovero e cura è emerso molto chiaramente durante la pandemia.
 
Tra le riforme auspicate c’è in primis quella della medicina e dell’assistenza del territorio di cui si parla da anni ma senza molto costrutto. Perché a suo avviso finora non si è riusciti a cambiare e innovare questo settore? Quali sono gli ostacoli che ne hanno impedito la riforma?
Papotto. Veniamo da anni di spot pubblicitari, di “spolveratine di cipria” per nascondere le rughe di un sistema di servizi travolto da una società profondamente diversa, con una popolazione invecchiata e con una mutata domanda di salute, centrata sulla gestione della cronicità e della fragilità,
Il taglio ventennale di risorse, un malinteso federalismo, la mancanza di un respiro riformatore come avvenne nel 1978 con la legge 833 e con la legge 180, sono gli ingredienti di iniziative legislative giocate sullo slogan “più territorio, meno ospedale” che però si sono tradotti in tagli di posti letto e personale ospedaliero e in un insufficiente strutturazione e riorganizzazione dei servizi sul territorio. A titolo esemplificativo, una legge Balduzzi purtroppo rimasta sulla carta in molte regioni, l’inadeguato potenziamento tecnologico e di personale amministrativo e infermieristico negli studi di medicina di famiglia, l’abbandono della continuità assistenziale, anche in termini di sicurezza (e tutele), lo smantellamento della medicina dei servizi, il mancato passaggio a dipendenza dei medici del 118, una pessima programmazione del fabbisogno formativo (per tutte queste aree a partire dall’emergenza-urgenza) e la creazione di una sacca costante di precariato, il cosiddetto imbuto formativo.

Infine, dal punto di vista normativo, la mancata creazione di un percorso virtuoso per superare i limiti dell’attualità convenzione,  che si basi sul ruolo e accesso unico e tempo pieno, tutele per tutti (maternità, malattia...ecc), partendo sin da ora dall’instaurazione del ruolo unico con il tempo pieno per chi entra nell’attualità convenzione (di medicina generale) con rapporto a 38 ore con il doppio canale di stipendio monte orario e quota capitaria e una estensione delle tutele proprie della dipendenza. Risorse per ambulatori moderni e attrezzati: telemedicina e diagnostica di primo livello, ma da non sovrapporre al ruolo degli specialisti. Quindi adeguato personale infermieristico e di segreteria.

Non si sono implementate le medicine di gruppo esistenti, UCCP, AFT, Case della Salute. Non servono nuovi modelli, si parta dal potenziamento di ciò che esiste e funziona (prassi positive).

Non si sono applicati, e in modo omogeneo, su tutto il territorio: il Fascicolo elettronico, la Cartella digitale, e la dematerializzazione di ricette, certificati.
Non si sono messi in rete tutti i servizi, dalla continuità assistenziale (h24 e in sicurezza), specialistica ambulatoriale, agli ospedali, fino all’emergenza-urgenza.
Nell’emergenza-urgenza non si è data una netta cornice organizzativa e gestionale nazionale (vedi i ddl già all’esame del parlamento). In questo ultimo settore è urgente approvare una norma che preveda tra le altre così il passaggio a dipendenza di tutto il personale medico del 118.

Mandelli. E’ vero, finora non si è riusciti a operare in questa direzione. Molte le ragioni: ne isolo alcune a mio avviso fondamentali. Si è trascurato l’impatto dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento della cronicità, che oggi riguarda almeno 14 milioni di italiani: una parte enorme della popolazione che non si può pensare di assistere basandosi esclusivamente sulla rete ospedaliera. Poi c’è un aspetto culturale: l’assistenza territoriale vive dell’integrazione e della sinergia tra le diverse figure professionali: medici, infermieri, farmacisti e gli altri operatori. E sono ancora troppi gli steccati e le barriere culturali che ostacolano una stretta collaborazione interprofessionale.
 
Un tema al centro di molte polemiche in quest’anno di pandemia ma anche prima, è senz’altro quello dell’autonomia regionale in materia sanitaria, Pensa che l’occasione di un Governo con una potenziale maggioranza parlamentare attorno all’80% possa prendere in mano la questione e riscrivere il Titolo V della Costituzione rivedendo l’attuale equilibrio dei poteri in materia di tutela della Salute? O, al contrario, ritiene che la “differenza” regionale nelle modalità di organizzazione e gestione della sanità vada salvaguardata?
Papotto. Lei mi pone questa domanda perché era stata scritta prima dell’attuale pandemia o perché vuole davvero che i lettori si prendano la briga di leggere le MILLE pagine che dovrei scrivere? C’è qualcuno in Italia che oggi crederebbe ancora seriamente alla follia dei 20 sistemi sanitari differenziati? Ci sono persone sane di mente che possano voler correre il rischio di un’autarchia della medicina? Dopo quel che abbiamo visto e ancora vediamo ogni giorno? Il progetto delle autonomie gestionali è miseramente naufragato. Prima nelle regioni più deboli, che avrebbero dovuto essere quelle maggiormente soccorse, anziché essere brutalmente sottoposte a drastici interventi di tagli che spesso hanno solo peggiorato la situazione; poi in quelle apparentemente più virtuose, in molte delle quali c’era una condizione di relativo benessere ma la gestione non era certo migliore- E’ proprio sbagliato concettualmente il senso della “divisione”, una concezione medievale di tanti piccoli stati ini competizione tra loro. Noi vogliamo una grande ed unica nazione con un SSN degno della sua tradizione. Qualsiasi spreco va combattuto, ma non si può tagliare fingendo di voler risparmiare. Non si risparmia sulla pelle delle persone.
 
Mandelli. Credo che il punto non sia la riduzione dell’autonomia organizzativa regionale, visto che le esigenze dei territori sono differenti, per le caratteristiche epidemiologiche, demografiche persino geografiche. Occorre però fare in modo che gli obiettivi, diciamo i LEA per semplicità, siano rispettati ovunque. Si deve fare in modo che se un’amministrazione è in difficoltà venga messa in condizione di rispettare gli standard e non, come fatto finora, obbligata a piani di rientro che funzionano soltanto sul piano contabile, ma non migliorano  di certo l’assistenza ai cittadini. E nel predisporre i diversi piani nazionali in materia sanitaria, dalla cronicità alla prevenzione, bisogna elaborare obiettivi e percorsi condivisi e chiari. Non sempre è successo.
 
Tra le prime questioni sul tavolo del nuovo Governo ci sarà certamente il Piano vaccini anti Covid. Cosa servirebbe secondo lei per accelerare le vaccinazioni?
Papotto. Se le rispondo che servono più medici non dico un’ovvietà. La CISL Medici e la confederazione CISL hanno prodotto in questi anni molti documenti. Anche nel corso delle audizioni parlamentari, che dimostrano come il problema ci fosse chiaro e che altrettanto chiare fossero le ns. proposte. Qualcuno parla ancora della “siringa” che ha costi diversi da una parte all’altra dello stivale, ma sono storielle con cui si è distrutta pezzo per pezzo la sanità italiana, senza apportare migliorie. Anzi. E poi mancano manager degni di questo nome. Persone che siano staccate dalla politica e che garantiscano risultati, che raggiungano il traguardo senza che qualcuno tracci loro il percorso. Poi, ovviamente, ciascuno risponderà del proprio operato. I medici lo fanno ogni momento. Quindi, bisogna vaccinare quanti più cittadini possibile, coinvolgendo tutti i medici e sanitari, in particolar modo i medici di medicina generale che potrebbero avere un ruolo centrale in questo particolare momento.
 
Mandelli. Vaccinare 50 milioni di persone richiede innanzitutto di poter disporre dei vaccini in quantità adeguata, arruolare il maggior numero possibile di operatori e predisporre strutture diffuse e facilmente accessibili. Per questo ritengo che sia indispensabile coinvolgere farmacisti e farmacie non appena possibile, come ha fatto il Regno Unito e si accinge a fare la Francia.
 
Altra questione, riguarda l’azione di contrasto all’epidemia. Secondo lei funziona il sistema a zone colorate funziona o va cambiato?
Papotto. Qui dovrei citarmi, perché non molti giorni or sono, scrissi, nauseato dalla continua e meschina lotta tra i presidenti di regione per cambiar colore, anziché essere tutti costoro rossi per la vergogna, come si diceva un tempo… assistiamo invece alla vergogna dell’invidia, che per antica consuetudine pare faccia diventare gialli… Si gongola per un cambio di tonalità e poi ci si scaglia contro il governo centrale o si trovano facili scusanti, mentre si sbaglia di continuo in una lotta disumana che vede i medici e i cittadini essere vittime incolpevoli di tanta tracotante ignoranza.
Non giova sperare che le cose potranno andar meglio, giacché queste persone sembrano soffrire, curiosamente tutte assieme, di una sindrome imitativo/competitiva che ci fa venire a mente la lugubre previsione di Platone “…Quando un popolo, divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano a sazietà…”. Con questa gente, per i camici bianchi… il futuro è nero. L’unico contrasto vero all’epidemia è quello di mantenere delle consuetudini elementari quali distanziamento, mascherine, evitare sovraffollamenti e vaccinare quanti più cittadini possibile. Come CISL Medici siamo fiduciosi che ci sia “l’uomo giusto al momento giusto”, il contraltare ideale ai meschini interessi cui purtroppo siamo quasi assuefatti ad assistere. Uno statista che faccia dimenticare i piccoli politici che si assiepano rumorosamente nei talk show, frettolosi solo di “salire sul carro” o tracciare fumosi “distinguo”.
 
Mandelli. Se concordiamo sul fatto che le Regioni hanno caratteristiche differenti questo si riflette anche sulle misure di contenimento del contagio. Finora il sistema ha ottenuto dei risultati e non mi pare che, almeno in Europa, ci siano esempi di sistemi differenti che hanno funzionato meglio. Certamente tutto si può migliorare, si potrebbe differenziare all’interno delle Regioni stesse le aree a più forte diffusione del contagio. Ma non si può trascurare che un altro lockdown generalizzato potrebbe avere conseguenze pesantissime sulla popolazione, sull’economia, sul Paese nel suo complesso. E conciliare tutti questi aspetti non è semplice.

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