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Venerdì 19 FEBBRAIO 2021
La ricetta Draghi per la medicina territoriale non convince



Gentile Direttore,
come tanti altri ho seguito con attenzione e con molta aspettativa  l’intervento del presidente Draghi e vorrei qui soffermarmi su due punti del suo discorso che rivestono interesse per me in quanto donna e medico: Parità di genere e Riforma della sanità.
 
Il primo punto  è stato toccato in ben due momenti del suo discorso durante i quali ha  sottolineando  che il nostro Paese non ha ancora realizzato una effettiva parità di genere al punto che l’Italia presenta:
- un forte divario di genere nei tassi di occupazione, uno dei più alti in Europa
- uno dei peggiori gap salariali tra generi in Europa
- una cronica scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo
 
Non può ovviamente che far piacere sapere che il Presidente del consiglio mette fra gli impegni che si assume il superamento di questi gap. Dice Draghi che “Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto delle quote rosa”. Come non condividere!
 
C’è molto in quell’aggettivo “farisaico”, c’è tutta l’ipocrisia di un mondo politico che da una parte offre soluzioni e dall’altra trova il modo di disattenderle pur nel rispetto appunto “farisaico” della norma. Lo abbiamo visto molte volte durante le elezioni in cui le donne sono state messe nelle liste in posizioni tali da non poter mai essere elette. Lo abbiamo visto anche nella composizione di questo governo.
 
Le quote rosa da sole non risolveranno il problema ma nei settori come la sanità dove il divario tra la base ( 70% dei sanitari sono donne) e la rappresentanza quasi esclusivamente maschile, immobile e sorda a ogni richiamo, non si può far altro che usare la dinamite.
 
Sono convinta che l’avvento delle quote rosa obbligatorie per legge per esempio nelle elezioni ordinistiche sarebbe un forte detonatore capace di  mettere un bel po' di ansia agli attuali reggenti che controllano il mondo della sanità con il manuale Cencelli delle rappresentanze sindacali. Solo con  il loro avvento si potrà sperare di “garantire parità di condizioni competitive tra generi”.
Ovvio che da sole sono insufficienti e che serve un vero cambio di passo che permetta alle “donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie  dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro”.
 
Ci auguriamo che quanto detto diventi veramente programma di governo e che vengano stanziate le opportune risorse anche per favorire un’opera di sensibilizzazione culturale e sociale capace di scardinare la divisone di ruoli tra generi ancora molto presente in molti ambiti ma soprattutto in quello sanitario dove si continua ad affidare al maschio l’avanzamento professionale e alle donne la gestione della sofferenza, della emotività, della cura.
 
Il secondo punto di mio diretto interesse è ovviamente la riforma sanitaria con l’accento alla necessità di  “rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale”.
 
Da medico di famiglia non posso che essere interessata a questo, ma gli accenni fatti a questa riforma direi che sono poco convincenti e mi trovo in perfetta sintonia con il prof. Cavicchi (QS 18 febbraio). Se la riforma  a cui pensa il governo è fare le case della comunità, gli ospedali di comunità, i consultori, i centri di salute mentale  mi pare che poco di nuovo ci sia sotto il sole. Si tratta come ben dice Cavicchi di poco più di una riorganizzazione di cose già sperimentat , già viste e provate.
 
Condivido pertanto  il pensiero di Pina Onotri (SMI), “Non si pensi di risolvere i problemi della sanità sul territorio con le case della salute che si sono già dimostrate inefficaci".
 
Davvero  basterà quanto annunciato da Draghi   per rendere il territorio capace di gestire meglio la pandemia  e rendere davvero esigibili i Livelli essenziali di assistenza? E la forza lavoro? Mancano medici e infermieri e quelli che si sono in forte sofferenza, come pensiamo di fare? E gli ospedali? Stanno bene, sono in buona salute, non hanno bisogno di nulla? E il coordinamento ospedale territorio non serve?
 
E’ abbastanza ovvio pensare come dice Cavicchi che questo programma sulla sanità sia stato suggerito dal ministro  Speranza il quale a sua volta ha finora dimostrato di non avere una sua idea di riforma e di conoscere poco l’organizzazione del territorio (chi lo ha convinto della necessità di impiegare i medici di famiglia a fare i test sierologici  o a fare i tamponi e tracciamenti? Perché non occuparsi invece di rafforzare i dipartimenti d’igiene indispensabili per il coordinamento  in corso di pandemia?).
 
E se è vero come ha detto  il presidente Fnomceo Anelli  che Draghi ha colto nel segno affermando che  “la pandemia ha acuito le disuguaglianze che già esistevano nel nostro Paese… di salute, economiche, geografiche, sociali”, spiace che non sia stato fatto alcun cenno ad una eventuale revisione del  Titolo V che tante disparità di servizi e assistenza  sta creando tra gli assistiti anche durante questa pandemia.
 
Se il buon giorno si vede dal mattino non sembra prospettarsi una bella giornata per la medicina territoriale e la sanità in generale.
 
Ornella Mancin
Medico di famiglia

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