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Lunedì 22 FEBBRAIO 2021
Le riforme della sanità che la “sinistra” non riesce proprio a fare

La nostra sanità al tempo della pandemia cioè “la questione delle questioni”, è in mano a un piccolo partito di sinistra, una costola del PD reso ancor più piccolo dalla recente scissione con “sinistra italiana” e a un ministro della salute ostaggio di un pugno di persone che proprio sulla sanità, (ex segretari del PD, ex presidenti di regione, ex assessori, ex direttori generali, ex deputati, ecc.) in questi anni ha fatto più danni della grandine

Premessa
Le dichiarazioni che ho letto, di molti illustri rappresentanti della sanità (QS del 17 febbraio 2021), che hanno commentato favorevolmente, quasi unanimi, le proposte di riforma che Speranza ha suggerito a Draghi, mostrano una sanità, poveretta, oppressa, non solo dalla pandemia ma anche da un evidente problema di servilismo e di miopia.
 
Se, chi in sanità, ha le conoscenze e le esperienze ma non dice lealmente come stanno le cose, come possiamo fare le cose giuste?
Essere in sintonia con le incapacità della politica oggi vale come essere complici del misfatto.
 
Quelle di Speranza, per chi sa anche solo un po’ di sanità, in questa situazione, è difficile considerarle delle proposte serie come è difficile non vedere cosa c’è dietro cioè i limiti che esse rivelano e che, (perdonate la solita franchezza), tutti voi, cari amici della sanità, fate finta di non vedere.
Non ho nulla di personale contro Speranza e politicamente sono più vicino a Leu di molti di voi, ma per me, come sapete bene, prima di tutto viene la sanità e gli sconti sul mio lavoro critico non li ho mai fatti a nessuno.
Vorrei provarmi a spiegare in cosa consistono le mie riserve e le mie preoccupazioni
 
Cancellare la memoria scomoda
Nella relazione programmatica di Draghi si afferma: “sulla base dell’esperienza dei mesi scorsi dobbiamo aprire un confronto a tutto campo sulla riforma della nostra sanità”.
 
Cosa vuol dire “sulla base dei mesi scorsi”? Speranza, vuole usare la pandemia come una linea di demarcazione e quindi azzerare la nostra lunga storia di sanità pubblica in modo da partire da una sorta di anno zero.
Quindi delimitare tout court la riforma ai problemi creati direttamente dalla pandemia a criticità storiche invarianti. Ecco perché le sue proposte, al confronto con l’enormità della situazione, appaiono tanto ridicole quanto inadeguate.
 
La pandemia, per noi della sanità, è l’ennesima criticità non l’unica criticità, quella più grossa di tutte, sapendo noi bene che, i molti problemi che ci ha creato, si spiegano con le vecchie criticità mai risolte e che il sistema si porta dietro perché nessuno ha mai voluto affrontare.
 
Faccio solo un esempio: chi di voi può negare che nella pandemia a suon di morti abbiamo pagato le disfunzioni istituzionali tra stato centrale regioni aziende e comuni? Cioè chi di voi può negare che la pandemia ha riproposto con drammaticità il problema della “governance”, delle diseguaglianze, degli squilibri territoriali?
Ma su questi problemi Draghi non ha detto una parola perché, per Speranza la pandemia andrebbe isolata dalla storia e delimitata allo stretto necessario: un po’ di ambulatori, qualche casa della salute, un po’ di assistenza domiciliare. Del resto chi se ne frega.
 
Proposte fuori tempo
Le proposte di Speranza sono state formulate nella prima fase della pandemia, cioè quando non c’erano i vaccini, ma oggi ci sono i vaccini, gli ospedali stanno tornando alla normalità, i medici e tutti gli altri operatori riescono a fare il loro lavoro senza rischiare la pelle e nel giro, speriamo di alcuni mesi, saremo tutti vaccinati.
 
Alla luce dei vaccini il problema dei servizi cambia perché si tratta di ristabilire la normalità perduta ma come sistema, rimettendo al centro non solo e non tanto il territorio (il sottosistema) ma il sistema sanitario in quanto tale.
Il territorio nella prima fase è venuto fuori con drammaticità in ragione degli ospedali in tilt invocandolo, tanto per cambiare, come un filtro cioè in chiave anti-ospedaliera.
 
Ma ora la situazione è cambiata ora si tratta di imparare la lezione e puntare, non a riproporre la solita contrapposizione territorio/ospedale, ma a superare inutili dualità, dannose dicotomie, pericolose separazioni quindi puntando sempre più su 1 (uno) sistema integrato e non più come ripropone Speranza ancora una somma di tanti sottosistemi separati. Cioè il territorio + il resto. Questa è roba vecchia.
 
Una minestra riscaldata
La riproposizione del territorio oggi, come asse centrale della pseudo riforma di Speranza, è nulla più che una minestra riscaldata cioè la riproposizione della logica della legge 229 che 22 anni fa gli stessi che oggi sono in Leu, ci proposero sottoforma di distretti, di dipartimenti di prevenzione ribadisco al fine di compensare in nome della sostenibilità le aperture al privato della Bindi (mutue fondi, ecc.).
 
Ma oggi la pandemia prima di tutto ha dimostrato che:
• la contrapposizione territorio/ospedale che Speranza oggi ci ripropone con un po di ambulatori è una stupidaggine,
• il distretto oggi non coincide più con la nozione di territorio e in ogni caso andrebbe ridefinito o riformato,
• la nozione di territorio soprattutto dopo gli accorpamenti delle aziende si è come dissolta.
 
Come si fa a riformare qualcosa che non c’è più? Il tentativo di Speranza è appiccicare a nuovi servizi territoriali il termine “comunità” ma senza rendersi conto che una sanità territoriale è una cosa, una sanità di comunità è un’altra cosa.
 
Sono due concezioni antitetiche che implicano organizzazioni diverse, idee diverse di prossimità, modi diversi di governo, prassi professionali organizzate anche contrattualmente in modo diverso. Speranza ci propone, nonostante la pandemia, una idea di territorio vecchia e logora come antagonista dell’ospedale, chiamandolo “comunità” e senza essere in nessun modo di comunità.
 
Ipocrisie e codardie
Tutti sanno che dietro alle proposte sul territorio di Speranza sulla assistenza di prossimità, sull’assistenza domiciliare c’è il vecchio sogno della sinistra di governo di fare la festa ai medici di medicina generale cioè di superare le convenzioni e di generalizzare il rapporto di pubblica dipendenza.
L’ipocrisia del progetto di Speranza è nel “non detto” e nel tentare di circuire i medici con servizi inutili. Speranza non ha il coraggio di dire ciò che la sua parte politica pensa da anni e cioè che il problema vero del territorio è la convenzione per i medici di medicina generale.
 
A parte il fatto che non sono per nulla d’accordo, con tutto quello che il territorio ha dovuto sopportare in questi anni, a dare la croce ai medici di medicina generale, pur sapendo io bene che essi hanno le loro arretratezze e non sono privi di responsabilità, ma mi rifiuto di usare i problemi della pandemia per avere un surrettizio capro espiatorio, con il quale nascondere le incapacità riformatrici di chi fino ad ora ha governato la sanità.
Trovo inaccettabile riesumare dalle mutue i vecchi poliambulatori Inam chiamarli case della salute o case di comunità solo per fare la festa ai medici di famiglia.
 
Se non si scioglie per davvero il nodo dei medici generali e specialisti è meglio evitare di parlare di territorio.
 
La prevenzione dimenticata e le nuove diseguaglianze
La pandemia, a parte i dipartimenti di prevenzione, ha fatto saltare il sistema dei lea. Milioni di cittadini malati rispetto al Covid 19 sono passati in secondo piano e si sono trovati violentemente tagliati fuori e improvvisamente privi di assistenza.
 
Mi sarei aspettato da Speranza non la minestra riscaldata del “territorio”, ma:
• la ridefinizione di un nuovo sistema e di una nuova cultura della prevenzione per non essere costretti sempre al lockdown,
• un nuovo progetto di accesso equo alle cure e quindi una nuova definizione dei lea per non essere costretto a discriminare malati da malati,
• una proposta di ri-spedalizzazione come io l’ho chiamata in questi anni di contro l’insulsa idea di de-ospedalizzazione che gli uomini di Leu hanno inseguito in questi decenni regalandoci il dm 70 i cui postulati sono fermi alla riforma ospedaliera del 1968.
 
Ma niente di tutto questo. Neanche una parola.
 
Per me è grave in una pandemia abbandonare l’idea di prevenzione anche se ridefinire la prevenzione oggi significa andare ben oltre le vecchie concezioni della salute di Leu. Come è grave non fare il punto sui livelli di assistenza come anche recentemente ci hanno proposto con un e-book edito da Quotidiano Sanità, che vi invito a leggere, Filippo Palumbo e M.G. La Falce. Come è grave dimenticarci i problemi pesanti degli ospedali.
 
Una lettura politica
La nostra sanità al tempo della pandemia cioè “la questione delle questioni”, è in mano a:
• Leu, un piccolo partito di sinistra, una costola del PD reso ancor più piccolo dalla recente scissione con “sinistra italiana”,
• un ministro della salute ostaggio di un pugno di persone che proprio sulla sanità,(ex segretari del PD, ex presidenti di regione, ex assessori, ex direttori generali, ex deputati, ecc.) in questi anni ha fatto più danni della grandine.
 
Questo pugno di persone oggi davanti a una drammatica pandemia prova a rifilarci acqua minerale bollita e minestre riscaldate mille volte. Perché non sa fare altro.
 
Fino a quando la sanità sarà in mano a costoro nessuna vera riforma della sanità sarà possibile perché il ministro della salute deve rendere conto a loro non al paese cioè a chi non è disponibile ad ammettere i propri errori storici, ad essere confutati da un vero pensiero riformatore, e a perdere le sedie sulle quali sono seduti in un modo o nell’altro da anni.
 
Per uscire dalla pandemia e rilanciare e riorganizzare la sanità per il futuro ci serve una riforma come il pane. Ma il nostro ministro della salute non è in grado di abbozzare uno straccio di proposta.
 
Qualcuno di noi, che non posso citare, una volta mi ha confidenzialmente detto di aver rimproverato a Speranza di essersi alleato con i conservatori della sanità. Credo che sia vero e da quello che so non è l’unico a pensarla così, ma Speranza è il segretario di un partito che sui problemi di sostenibilità della sanità non sapendo dove sbattere la testa non ha esitato a fare pesanti scelte contro-riformatrici.
 
Perseguendo politiche fallimentari, come il titolo V, l’aziendalismo, gli accorpamenti territoriali, la quota capitaria ponderata, il regionalismo differenziato, la mobilità sanitaria, la deospedalizzazione selvaggia, la de-capitalizzazione del lavoro, il definanziamento progressivo, la privatizzazione, il welfare aziendale, ecc.
 
Conclusione
Pusillanimità politica a parte, che la sanità, che il paese tutto, che questo nuovo governo, che lo stesso Draghi, debbano pagare in piena pandemia il prezzo per l’ennesimo ministro anodino che non riesce a farci una proposta politica credibile, lo considero, da intellettuale di sinistra quale io sono, semplicemente immorale. Pensateci.
 
Ivan Cavicchi
 

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