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Giovedì 04 MARZO 2021
Al pronto soccorso... ma non per il Covid: voto 10. Ecco com’è andata



Gentile Direttore,
come viene gestita l’entrata in pronto soccorso di un paziente in codice giallo, no COVID, in questo momento di emergenza sanitaria? Me lo sono sempre chiesta e, purtroppo ho vissuto in prima persona l’esperienza nel weekend di San Valentino. Con mio marito portiamo i bambini a giocare sulla neve, vicino Roma, evitiamo luoghi affollati, cerchiamo solo un posto per passeggiare, ma dopo appena 10 minuti eccomi per terra con una gamba decisamente rotta.

L’ambulanza riesce ad arrivare dopo un’ora, non ce la fa prima per via delle condizioni meteo, ma finalmente mi recupera. Entro al Sant’Andrea, pronto soccorso, alle 20.23. In quel momento, il mio pensiero fisso era di uscire dall’ospedale positiva al coronavirus, poi dopo una settimana di ricovero quel dubbio è svanito, l’ospedale ha messo in piedi mille accortezze per evitare i contagi, sarebbe stato davvero difficile positivizzarsi.

Appena accedo all’aerea gialla una infermiera mi fa due tamponi, uno rapido ed uno molecolare, solo se quest’ultimo è negativo potrò salire in reparto. Nonostante la presenza di molte emergenze, l’aria che si respira è serena, c’è molta attenzione all’igienizzazione, alle mascherine, a distanziare per quanto possibile i letti. Tutto è monouso, anche le padelle. Tutto è dettato da un frenetico e continuo cambio di guanti (facendo un calcolo più o meno ogni 3 minuti) …tutto parla di COVID, di paura, di gestione di una bomba che se dovesse esplodere in un pronto soccorso sarebbe pari a ciò che purtroppo è accaduto nelle RSA.

Il tampone è negativo, via in Ortopedia. Il reparto non è solo Ortopedia; lo era in passato, ora accoglie cardiologia vascolare e neurologia, perché? Perché quei posti li ha presi lui…sempre il COVID.

I reparti li ha presi il COVID; i letti, gli infermieri, il personale Oss sono rimasti a disposizione di chi è contagiato. Il coronavirus prende tutto, non solo il malato diretto ma anche chi non lo è ma soffre di altre patologie o ha emergenze di altra natura.

Mi trovo di fronte un gruppo infermieristico ridotto che lavora senza sosta, sempre con quel frenetico cambio di guanti ogni 3 minuti, coprendo tre reparti accorpati in uno dove gli interventi chirurgici sono all’ordine del giorno e gli allettati l’80% dei pazienti. Tutte, o quasi tutte le stanze, sono occupate; sopra le mascherine dei degenti spiccano gli occhi che ti guardano in cerca di un aiuto per prendere una bottiglietta d’acqua, accendere la luce, cose che di solito si chiedono ai parenti che ti affiancano quando sei ricoverato ma che ora il COVID ha bloccato fuori dalle porte dei reparti. Nessuno può accedere oltre al malato ed ai sanitari, l’area deve rimanere protetta.

Sono Valerio, Luciano, Graziella, Davide, Martina, Silvia i tuoi parenti, i tuoi angeli custodi, gli infermieri e gli Oss che tra un tampone e l’altro (ogni 5 giorni e prima della dimissione devi farlo), tra un prelievo ed un cambio di pigiama ti fanno sentire che sei comunque al sicuro, che la pandemia c’è ma loro hanno regole precise che rispettano e dunque il virus non si avvicina al tuo letto. Gli infermieri italiani non sono più quelli di un anno fa, hanno dovuto rafforzare le capacità, il loro essere multitasking, hanno dovuto adattarsi, armarsi di coraggio, rischiare di essere contagiati e contagiare.

Ho realizzato dopo questa esperienza che decidere di fare una semplice e banale passeggiata sulla neve nel 2021 significa decidere anche di potersi trovare faccia a faccia con il coronavirus e non sapere come andrà a finire, perché io quel giorno sono entrata nel pronto soccorso del Sant’Andrea, una eccellenza di ospedale, dove i medici, il prof. Ferretti ed il dott. Mazza, che mi ha operata, il dott. Lozzi che mi ha messo in piedi, hanno le spalle larghe, hanno una equipe numerosa, lavorano in emergenza COVID, ma riescono a fronteggiarla.

Se mi fossi trovata in un altro ospedale, uno di quelli in cui purtroppo già prima della pandemia a causa di tagli al personale o di altri motivi non si riusciva a gestire al meglio il pronto soccorso ed i reparti, avrei trovato una lotta al COVID più difficile ed una gestione dei pazienti meno serena. È vero che oggi come oggi i veri eroi sono proprio i sanitari che con quel cambio frenetico di guanti ogni 3 minuti salvano dal contagio.

Micaela Ancora
Giornalista
Lazio

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