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Venerdì 05 MARZO 2021
L’importanza dell’educazione civica contro il Covid



Gentile Direttore,
in un contesto clinico la consapevolezza della situazione si esprime su tre livelli: percezione del rischio (il paziente non sente odori e sapori), comprensione (il tampone è positivo per Covid), previsione (devo iniziare a trattarlo per evitare complicanze) (1). Ci siamo quindi chiesti facendo un esercizio di logica come mai molti, in particolare giovani, non hanno sviluppato alcuna consapevolezza della situazione e continuano ad avere comportamenti non appropriati.
 
Le piazze e vie di Firenze o Milano e di altre città sono un esempio evidente a tutti di quanto accade in questi giorni in Italia. L’unica modalità di gestire il rischio sembra, direi è, il lockdown totale. A poco servono le distinzioni in zone arancioni o gialle. Dopo poco che si entra in zona gialla si diventa di nuovo arancioni e poi rossi.
 
Diciamo subito che i giovani hanno per svariate ragioni una percezione del rischio in genere bassa anche se la quota di ipocondriaci negli ultimi anni è aumentata, favorita anche da internet (cyberchondria) (2). La stragrande maggioranza di loro ha visto coetanei affrontare il Covid senza grandi problemi, del resto la malattia nella maggioranza di casi decorre, fortunatamente, in modo asintomatico o subclinico.
 
Riguardo alla comprensione che la malattia possa avere effetti più gravi in persone anziane, c’è ma presuppone conoscenze già un po’ più approfondite che non so quanti giovani hanno. I media, le interviste contraddittorie rilasciate dagli “esperti” non aiutano, c’è chi minimizza e chi esagera e generalmente si è più propensi ad accettare l’ipotesi a noi più favorevole.
 
Da queste due condizioni non può che derivare nei più giovani, nonostante tutto, una previsione ottimistica di quello che potrebbe accadere. Di conseguenza i comportamenti si dimostrano piuttosto lassi nonostante gli appelli e i dati sui morti giornalieri. Notizie che ormai, assuefatti come siamo dai media a immagini di catastrofi e bambini che muoiono di fame, passano inascoltate.
 
Se a questi stati individuali associamo la “pandemic fatigue” (la fatica pandemica) (3) che OMS definisce come una reazione naturale e attesa alle avversità sostenute e irrisolte nella vita delle persone, ecco che la demotivazione a impegnarsi in comportamenti protettivi e a cercare informazioni, diventa una condizione diffusa influenzata dall'ambiente culturale, sociale, strutturale e legislativo.
 
Sicuramente il livello culturale di un paese serve a mitigare i nostri comportamenti nei confronti della pandemia, se ci confrontiamo con uno dei paesi più virtuosi nella gestione del Covid possiamo capirlo meglio. La Corea del Sud nella fascia di età 25-34 anni ha il 69,8% di laureati, l’Italia il 27,7% (4). La Corea che ha appena 9 milioni di abitanti in meno dell’Italia, con una popolazione di anziani non molto diversa, ha avuto 1.500 morti per COVID rispetto agli oltre 95mila del nostro paese.
 
Quest’anno è venuta meno inoltre la funzione educativa/informativa della scuola che sicuramente un suo effetto sui giovani anche in queste situazioni l’avrebbe avuto.
A queste dinamiche per così dire giovanili se ne aggiungono altre di tipo lavorativo sociale. Chi deve portare a casa uno stipendio e si trova di fronte alla scelta se rischiare il contagio o vedere fallire la propria impresa credo che sia istintivamente spinto alla disobbedienza.
 
Dobbiamo certamente lavorare e guadagnare, ma anche essere in salute e avere una vita sociale attiva: chi si occupa di sanità e di politica deve ridisegnare la società e le esperienze di servizio in modo che i diversi ambiti possano convergere (5).
 
Per raggiungere questo scopo non è sufficiente adottare soluzioni basate su controlli e sanzioni e non basta diffondere notizie allarmistiche per suscitare paura o per far percepire i rischi: occorre comunicare con le persone in modo capillare, dialogare, spiegare, ascoltare i loro bisogni e aiutarli ad identificare le priorità; occorre promuovere i comportamenti virtuosi e soprattutto occorre disegnare nuove forme di socialità e di business, che siano più attrattive di quelle basate sui tradizionali comportamenti a rischio (es. feste, assembramenti nelle piazze, assembramenti nelle vie dello shopping e nei centri commerciali, affollamento sui mezzi pubblici, affollamento nei negozi...).
 
Occorre quindi lavorare sul "sistema di valori", sulla "volontà" e sulle "propensioni" delle persone a seguire certe indicazioni di comportamento.
 
Ciò richiede una educazione civica (già prevista nel futuro delle scuole) e una "rieducazione sociale" sulle priorità (7,8), sui rischi e sulla prevenzione e una riprogettazione delle esperienze di vita, di lavoro e di servizio legate a commercio, intrattenimento, trasporti, tempo libero, scuola e apprendimento, sanità, industria e terziario, che tenga conto sia dei bisogni di business sia dei bisogni sociali e che ingaggi le persone in un percorso di cambiamento del loro stile di vita.
 
Chi si sta occupando di queste cose nel nostro paese? Nel recovery plan si prevede qualcosa sulla rivoluzione sociale post-covid?
 
Riccardo Tartaglia
Professore straordinario risk management Università G. Marconi
 
Maurizio Mesenzani
AD BSDesign
 
Riferimenti bibliografici
1. Stavros Prineas, Kathleen Mosier, Claus Mirko, and Stefano Guicciardi. Non-technical skills in Healthcare. In Textbook of Patient Safety and Clinical Risk Management eds L. Donaldson, W. Ricciardi, S. Sheridan and R. Tartaglia. Springer, 2021
2. Peter Tyrer , Sylvia Cooper , Helen Tyrer , Duolao Wang , Paul Bassett Increase in the prevalence of health anxiety in medical clinics: Possible cyberchondria Int J Soc Psychiatry 2019 Nov;65(7-8):566-569. doi: 10.1177/0020764019866231. Epub 2019 Aug 3.
3. WHO_Europe _ Behavioural and cultural insights for health - How to counter pandemic fatigue and refresh public commitment to COVID-19 prevention measures
4. OECD iLibrary. Population with terziary education. https://www.oecd-ilibrary.org/education/population-with-tertiary-education/indicator/english_0b8f90e9-en
5. McKinsey Global Institute “The future of work after COVID‑19”, February 2021
6. World Economic Forum “The Future of Jobs Report 2020”, October 2020
7. Emma Dorn, Nina Probst, Jimmy Sarakatsannis, and Frédéric Panier “Back to school: Lessons for effective remote and hybrid learning”, McKinsey & Company, August 2020
8. Luciano Benadusi e Orazio Giancola, Equità e merito nella scuola, Teorie, indagini empiriche, politiche, “Collana IES Innovazione, Educazione, Società”, Editore Franco Angeli, 2021

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