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Venerdì 09 LUGLIO 2021
Covid. Istat: “Con la pandemia cancellata 1 prestazione sanitaria su 5. Crollo nascite e picco decessi”

Pubblicato dall’Istituto di statistica il report annuale che ovviamente ha come protagonista l’impatto della pandemia sull’Italia. Raggiunto il record negativo di nuovi nati poco superiore ai 400 mila. Primato negativo anche per quanto riguarda i decessi che sono stati 746.146, il valore più alto registrato nel nostro Paese dal secondo dopoguerra. Giù anche la speranza di vita scesa ai livelli del 2012. IL REPORT

“La crisi pandemica ha esercitato un forte impatto sui comportamenti demografici e causato un diffuso stress alle strutture sanitarie che si è riflesso sulla capacità di prevenzione e cura delle malattie. Il quadro demografico nel 2020 è contraddistinto dal nuovo minimo storico di nascite dall'Unità d'Italia e da un massimo di decessi dal secondo dopoguerra”. È quanto evidenzia l’Istat nel suo Rapporto Annuale 2021.
 
Per l’Istituto “l’emergenza sanitaria ha imposto restrizioni che hanno dettato nuovi stili di vita e limitato la mobilità, riducendo sia i trasferimenti interni sia i flussi da e per l’estero. La pandemia ha avuto un effetto drammatico sulla mortalità, non solo per i decessi causati direttamente, ma anche per quelli dovuti all’acuirsi delle condizioni di fragilità della popolazione, soprattutto anziana. Nei primi due mesi della crisi sanitaria sono aumentati i decessi legati a patologie per le quali la tempestività e la regolarità delle cure è spesso decisiva. I ritardi e le rinunce a prestazioni sanitarie - finalizzate alla cura di patologie in fase acuta o ad attività di prevenzione - avranno delle conseguenze sulla salute della popolazione. I dati più recenti sull’attività di assistenza sanitaria territoriale, visite specialistiche e accertamenti diagnostici misurano una diminuzione generale delle prestazioni, anche di quelle indifferibili”.
 
La sintesi
Nascite a picco
Il record negativo del numero di nascite toccato nel 2019 è stato di nuovo superato nel 2020. I nati della popolazione residente sono stati 404.104, in diminuzione del 3,8% rispetto al 2019 e di quasi il 30% a confronto col 2008, anno di massimo relativo più recente delle nascite. n Nei primi dieci mesi del 2020 le nascite mostrano una diminuzione del 2,7%, in linea con il ritmo che ha caratterizzato il periodo dal 2009 al 2019 (-2,8% in media annua).
 
La discesa accelera nei mesi di novembre (-8,2% rispetto allo stesso mese dell’anno prima) e soprattutto di dicembre (-10,3%), corrispondenti ai concepimenti dei primi mesi dell’ondata epidemica 2020. Nel Nord-ovest il calo tocca il 15,6% a dicembre.
 
Il calo delle nascite corrispondente alla diminuzione dei concepimenti innescato dalla pandemia persiste nei primi mesi del 2021, soprattutto nel mese di gennaio (-14%). A febbraio risulta più contenuto mentre a marzo si osserva una prima inversione di tendenza: rispetto allo stesso mese del 2020 i nati aumentano del 3,7%.
 
Il calo dei nati che si è verificato in corrispondenza degli effetti del primo periodo della pandemia aggrava, dunque, la tendenza negativa già in atto nonostante il leggero recupero osservato a marzo 2021. n Il calo delle nascite concepite all’inizio della pandemia ha toccato prevalentemente i nati all’interno del matrimonio: -17,3% nel periodo novembre-dicembre 2020 e -17,5% a gennaio 2021.
 
Nello stesso periodo sono diminuiti anche i nati fuori dal matrimonio, ma in misura decisamente meno marcata (-4,7% e -7,1% rispettivamente). Il leggero recupero nelle nascite osservato a marzo dipende esclusivamente dai nati fuori del matrimonio, che aumentano del 14,2% mentre i nati da genitori coniugati continuano a diminuire (-0,5%). n I nati di cittadinanza straniera sono i più toccati dalla contrazione legata alla pandemia: a novembre e dicembre 2020 sono diminuiti poco più dei nati da genitori italiani (-11,4% rispetto a -8,8%) ma il differenziale si è allargato a gennaio 2021 (-23,6% contro -12,2%) e ancora nel mese di febbraio (-18,5 contro -6,1%). Il leggero aumento della natalità registrato a marzo 2021 riguarda esclusivamente i nati italiani (+5,9%) mentre quelli stranieri continuano a diminuire (-8,3%). n Il leggero recupero del numero dei nati osservato a marzo 2021 ha riguardato prevalentemente le donne più istruite: a livello nazionale i nati da madri con almeno la laurea sono cresciuti dell’8,6%, contribuendo per i due terzi all’aumento complessivo.
 
L’eccesso di mortalità
Nel 2020 il totale dei decessi per il complesso delle cause è stato pari a 746.146, il valore più alto registrato nel nostro Paese dal secondo dopoguerra. Rispetto alla media 2015-2019 si sono avuti 100.526 decessi in più (15,6% di eccesso).
 
La speranza di vita alla nascita, per il complesso della popolazione (maschi e femmine insieme), scende a 82 anni nel 2020, ben 1,2 anni sotto il livello del 2019. Per osservare un valore analogo occorre risalire al 2012. Gli uomini sono più penalizzati: la loro speranza di vita alla nascita si abbassa di 1,4 anni, a 79,7 anni, mentre per le donne scende di un anno, a 84,4 anni, ampliando così il differenziale di genere. Prendendo in considerazione le classi di età, il contributo più rilevante all’aumento dei decessi del 2020 rispetto alla media degli anni 2015-2019 è dovuto all’incremento dei morti ultraottantenni, che spiega il 76,3% dell’eccesso di mortalità complessivo. In totale sono decedute 486.255 persone oltre gli 80 anni (76.708 in più rispetto al quinquennio di riferimento). All’inizio del 2021 l’eccesso di mortalità totale, confrontato alla media 2015-2019, è più contenuto nel primo bimestre (+6,6% a gennaio, +0,9% a febbraio) ma si accentua nel secondo (+13,6% a marzo, +20,9% ad aprile).
 
A marzo 2021 si riscontra un netto calo dei decessi rispetto allo stesso mese del 2020 (-23,5%), in particolare nel Nord del paese (-40.0%). Il calo persiste ad aprile 2021, con una diminuzione del 14,0% rispetto all’anno precedente, imputabile esclusivamente alle regioni del Nord (-29,9%). Centro Italia e Mezzogiorno, poco toccati dalla prima ondata pandemica, registrano infatti un aumento della mortalità rispettivamente del 4,4% e del 9,8% nel confronto con aprile dello scorso anno.
 
Le cause di morte e il ruolo del Covid
L’aumento della frequenza di morti nei mesi di marzo e aprile 2020, rispetto alla media degli stessi mesi nel periodo 2015-2019, è stata di circa 49mila unità, delle quali poco più di 29mila dovute al Covid-19 e il resto ad altre cause. n Quasi tutte le principali cause di morte presentano un aumento dei casi e, tra queste, polmoniti e influenza contribuiscono con un incremento di oltre 5mila casi (pari al 10% dell’aumento totale).
 
Tra le malattie croniche, i contributi più rilevanti si osservano per demenze e malattia di Alzheimer (+2.708 decessi), cardiopatie ipertensive (+2.477) e diabete (+1.557). I risultati sembrano indicare come il Covid-19 abbia avuto un effetto non solo sulla mortalità provocata direttamente dal virus, ma anche sulle restanti cause di morte. Nei due mesi di inizio della pandemia il Covid-19 è la seconda causa di morte fino a 79 anni dopo i tumori, sia negli uomini che nelle donne. Tra gli ultraottantenni, invece, rappresenta la prima causa di decesso, con 8.482 casi tra i maschi e 8.737 tra le femmine.
 
 Il picco di mortalità osservato a marzo e aprile 2020 si è verificato con intensità differente nei vari luoghi di decesso e in modo diverso per sesso. In tal senso, il confronto con quanto osservato nel bimestre precedente rispetto alla media del quinquennio 2015-2019 mostra che nelle strutture residenziali e socio-assistenziali si ha l’aumento in proporzione più elevato (+153%), leggermente più marcato tra gli uomini, e solo una quota dell’incremento è direttamente collegata al Covid-19. Diseguaglianze sociali nella mortalità durante la pandemia in Italia
 
Tradizionalmente, in Italia, il livello di istruzione incide molto sulla mortalità. Nella prima e nella seconda ondata della pandemia il rapporto tra i tassi di mortalità dei meno istruiti rispetto ai più istruiti, che misura l’eccesso di morte dei primi, rimane mediamente di 1,3 per gli uomini e di 1,2 per le donne, come nel periodo pre-pandemico.
 
Tuttavia, nelle aree geografiche in cui l’incremento della mortalità è stato maggiore si osserva un aumento dei differenziali in base al livello di istruzione, più marcato nel Nord-ovest, dove i valori del rapporto di mortalità per livello di istruzione (basso rispetto ad alto), salgono rispettivamente a 1,5 e 1,4 in corrispondenza del primo picco pandemico (mediamente il rapporto era pari a 1,3 negli uomini e a 1,2 nelle donne prima della pandemia).
 
 Nei mesi più critici della pandemia i divari di genere sono aumentati, indipendentemente dal livello di istruzione, in quanto gli incrementi maggiori di mortalità hanno riguardato soprattutto gli uomini: il rapporto di genere del tasso di mortalità (M/F), in media pari a 1,5, supera 1,7 nei mesi di marzo e novembre 2020.
 
Le diseguaglianze di genere aumentano di più nelle aree che hanno registrato i maggiori incrementi di mortalità. Nel Nord-ovest il rapporto di genere del tasso tocca quota 2 nel mese di marzo 2020, per poi scendere nei mesi immediatamente successivi a 1,5 e risalire a 1,8 a novembre.
 
Effetto della pandemia sulle prestazioni sanitarie ambulatoriali
Nel 2020 le prestazioni ambulatoriali e specialistiche erogate diminuiscono del 20,3% rispetto all’anno precedente. Si tratta di una caduta molto più ampia di quella già osservata nel 2019, quando la diminuzione è stata dell’1%.
 
Lungo la Penisola la diminuzione delle prestazioni ambulatoriali è stata particolarmente forte in Basilicata (-50%) e nella provincia autonoma di Bolzano (-42%). Cali nell’ordine del 30% si sono registrati in Valle d’Aosta, Calabria, Sardegna e Liguria. All’opposto, la flessione è risultata inferiore a quella media nazionale, e compresa tra l’11 e il 15%, in Campania, Sicilia e Toscana.
 
La diminuzione delle prestazioni ha riguardato in eguale misura uomini e donne mentre ci sono differenze per fasce di età: quella pediatrica è la più coinvolta, con un calo del 33%, seguita dagli adulti tra i 35 e i 54 anni (-22%). Per le altre età la riduzione è compresa tra il 18 e il 22%. L’intensità del fenomeno varia anche in funzione del tipo di prestazione. I cali maggiori riguardano le componenti della riabilitazione e delle visite. Nell’ambito riabilitativo (riabilitazione fisica, diagnostica, funzionale) le prestazioni, già diminuite del 5% nel 2019, si sono ridotte del 31% nel 2020.
 
Nel 2020 le visite specialistiche (di controllo o prime visite, finalizzate a impostare un eventuale piano diagnostico terapeutico) si sono ridotte di quasi un terzo. Anche in questo caso alcune regioni hanno subito una contrazione maggiore (-65% la Basilicata, -53% la Valle d’Aosta e -50% le Marche) ma per nessuna è stata inferiore al 20%.
 
Le prestazioni indifferibili erogate (TAC, risonanze magnetiche, biopsie, dialisi e radioterapia) sono state complessivamente circa 2 milioni in meno, con un calo del 7%. La riduzione ha interessato tutte le ripartizioni ma è stata maggiore nel Nord, dove ha toccato il 9,4%, e più contenuta nel Centro e nel Mezzogiorno (in entrambi i casi del 4,9%).

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