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Mercoledì 21 LUGLIO 2010
Inchiesta esclusiva: "Tornando a L'Aquila". La sanità abruzzese a 15 mesi dal terremoto

L’emergenza si sta superando, ma restano molti problemi aperti. L'ospedale cittadino riaperto e funzionante ma non certo al 100%. Attivi 315 posti letto contro i 460 del pre terremoto. Medici di famiglia e specialisti con sedi vacanti e le farmacie restano nei container. Il loro destino agganciato a quello del recupero del "centro storico".

Sono passati 15 mesi dalla notte del 6 aprile 2009 che ha cancellato il cuore de L’Aquila dalla mappa dell’Abruzzo. A 450 giorni dal sisma abbiamo cercato di capire come stiano effettivamente le cose sul fronte dell’assistenza sanitaria. L’ospedale San Salvatore, ricorderete, fu infatti uno dei simboli negativi della tragedia. Inaugurato nel 2000, ma senza aver mai ricevuto il certificato di agibilità, ha una storia molto lunga (ha aperto i battenti ben 28 anni dopo la posa della prima pietra) e ad ogni anno passato è cresciuta esponenzialmente la spesa per la sua costruzione (da 11 a 200 miliardi di finanziamenti erogati dalla Cassa del Mezzogiorno). Ma in questo caso non si trattò solo di soldi spesi in più e mancanza di carte bollate: l’aspetto più inquietante è che il cemento con cui è stato realizzato era “disarmato”.
Una falla che il terremoto ha messo a nudo, facendo letteralmente crollare gran parte della struttura.

La nostra inchiesta non può quindi che partire da qui.
Come da crono-programma, messo nero su bianco e presentato alla stampa dall’assessore alla Sanità Lanfranco Venturoni e dal Direttore generale Giancarlo Silveri il 16 novembre del 2009, il San Salvatore avrebbe dovuto recuperare la sua operatività con piena funzionalità delle camere operatorie già agli inizi di febbraio 2010. Mentre dal 20 dicembre 2009 il numero posti letto sarebbe dovuto tornare ad essere quello ante terremoto. Rispetto a questi obiettivi la situazione attuale mostra invece una riapertura parziale dei letti (315 contro i 460 ante terremoto). Sempre da crono-programma, la farmacia e l’anatomia patologica avrebbero dovuto riaprire i battenti il 28 febbraio ma sono ancora nei container. La dialisi, che avrebbe dovuto essere trasferita in un nuovo reparto, alla stessa data, continua a curare i dializzati nei prefabbricati. Medesima sorte per il centro trasfusionale. Ma soprattutto, non sono iniziati i lavori di recupero dell’ala del San Salvatore, conosciuta agli addetti ai lavori come “Delta 8”, dove era prevista già dal 30 marzo 2010 la riapertura del dipartimento chirurgico.
Un vuoto importante che sta creando gravi disagi all’attività: l’ortopedia non si sa ancora dove andrà a finire e “vaga” nell’ospedale. I reparti di otorino e maxillo facciale sono ancora ospitati nella struttura prefabbricata del G8, mentre le chirurgie generali e l’oculistica si barcamenano in spazi angusti.

È vero che, come promesso, sono state aperte 11 camere operatorie, di cui 9 di ultima generazione. Ma sono attive solo la mattina (e non sempre dal momento che scarseggia il personale), mentre il pomeriggio funzionano due volte alla settimana per tre unità operative: urologia, neurochirurgia, chirurgia generale ospedaliera per patologie oncologiche. Un’attività a regime ridotto che ha provocato un aumento delle liste d’attesa. Le patologie oncologiche aspettano 40 giorni, mentre le altre possono arrivare fino a 8 mesi di attesa.
Non solo, l’ospedale deve fare i conti anche con una non ottimale distribuzione del personale che si sta riverberando negativamente sulla organizzazione dell’assistenza. Medici a tempo determinato che svolgono un ruolo importante in alcuni reparti dell’ospedale, come ad esempio l’oncologia, potrebbero non vedere rinnovato il proprio contratto; la banca degli occhi stenta ad andare avanti per carenza di personale.

In questo quadro ha quindi lasciato perplessi sindacati e operatori la scelta della Regione di dirottare nel fondo indistinto della Asl de L’Aquila i 47 milioni di euro incassati dal San Salvatore, come indennizzo previsto dalla polizza assicurativa stipulata sull’ospedale aquilano prima del sisma. Un atto dovuto che si sposa perfettamente con le regole di bilancio, risponde il nuovo Direttore generale, Giancarlo Silveri, nominato subito dopo il 6 aprile, il quale fa affidamento per la ristrutturazione del San Salvatore su 35 milioni di euro del fondo nazionale per l’edilizia sanitaria. Soldi sui quali l’Abruzzo ha una priorità, ha confermato l’assessore regionale alla Sanità Lanfranco Venturoni. La soluzione non ha convinto i più, che gridano all’ennesima spoliazione ai danni de L’Aquila temendo un rallentamento nell’ultimazione dei lavori per il recupero dell’ospedale.
“È inaccettabile che queste risorse, alla luce dello stato di precarietà in cui versa il San Salvatore finiscano nel calderone del bilancio regionale per colmare i buchi della sanità” hanno tuonato i sindacati di categoria. “È fuor di dubbio che ci troviamo di fronte alla pianificazione dell’eutanasia del Capoluogo della Regione Abruzzo – spiega Alessandro Grimaldi segretario aziendale dell’Anaao Assomed – e con essa anche del sistema sanitario cittadino.
In questo scenario si inseriscono anche il rallentamento dei lavori di ristrutturazione e le incertezze sui fondi da destinare alla ricostruzione dell’ospedale. Senza contare il piano di tagli selvaggi, non concertati con le forze sindacali, che a breve si abbatterà su tutto il Sistema sanitario abruzzese come conseguenza di un dissesto finanziario figlio di una cattiva gestione politica e dei ripetuti scandali che hanno colpito la nostra Regione degli ultimi 20 anni”.

Medici “fai da te”
“Stiamo riconquistando lentamente i nostri spazi – incalza Grimaldi – ma il personale è stanco e demotivato, anche perché di energie ne sono state spese tantissime. Abbiamo lavorato duramente per poter lavorare, e ora regna la disillusione. Nonostante si sia fatto molto, la normalità è sicuramente ancora lontana”.
Ma, come sempre, nelle tragedia si scoprono anche oasi di efficienza da far invidia ad ospedali d’eccellenza. E dietro c’è sempre un volto, un nome e cognome di qualcuno che non ha mai mollato. È il caso della nefrologia e dialisi guidata da Stefano Stuard. Grazie alla sua caparbietà è riuscito a offrire un tetto ai suoi 78 pazienti dializzati, frutto anche di donazioni private. Al posto delle tende dove era stato collocata la dialisi subito dopo il sisma, ora ci sono due container perfettamente attrezzati, macchinari di ultima generazione e persino televisori dotati di decoder per poter vedere Sky, medici e infermieri hanno maglie personalizzate con il logo della dialisi per sentirsi “squadra”. Nell’emergenza è riuscito a non far rimpiangere il vecchio reparto in cemento “disarmato”. E da febbraio stringe i denti nell’attesa di ottenere una collocazione definitiva, come promesso pubblicamente dal Direttore generale.
E poi c’è anche lo psichiatra Renato Cerbo, responsabile del Centro di riferimento del Centro-Sud per bambini autistici. “Subito dopo il terremoto – ha raccontato – le famiglie non sapevano a chi rivolgersi: il servizio non esisteva più. Il mio cellulare è diventato una linea pubblica, unico appiglio a cui attaccarsi per risolvere problemi di pazienti particolarmente fragili. Il nostro è stato un fai da te totale, da un lato giustificato ma per alcuni aspetti eccessivo soprattutto per quei colleghi che avevano subito gravi perdite personali”. Comunque a Cerbo è andata meglio del collega nefrologo: da qualche settimana è potuto rientrare nel suo reparto.
Ma per molti la ripresa è ancora lontana. “La nostra grande preoccupazione – ha detto la radiologa Maria Gabriella Casilio – è che il San Salvatore perda le sue eccellenze, temiamo che molti professionisti non potendo esercitare al meglio e in sicurezza la propria professionalità preferiscano migrare in altre strutture. L’Aquila non può perdere il suo patrimonio: dobbiamo ripartire dalle eccellenze, le uniche che possano servire da traino per il rilancio dell’ospedale”.

L’assistenza territoriale
Ma a soffrire la carenza di strutture “fisse” sono anche i medici di famiglia e gli specialisti ambulatoriali aquilani. La popolazione de L’Aquila può contare su 92 medici di famiglia (a questi, dal 1° gennaio 2010 con l’unificazione alle Asl di Avezzano e Sulmona se ne sono aggiunti 172 per un totale di 264Mmg). Le maggiori difficoltà si vivono nel capoluogo, dove la popolazione è ancora sparsa tra i nuovi insediamenti, gli alberghi sulla costa e le case in affitto.
“La situazione va migliorando ma è legata, per quanto riguarda l’assistenza primaria, alla distribuzione della popolazione, che oggi è notevolmente diversa rispetto a quello che era prima del terremoto”, afferma Giuseppe Rossetti, segretario provinciale Fimmg de L’Aquila. “Tuttavia i dati forniti dalla Asl e aggiornati allo scorso 31 dicembre indicano che l’esodo dei cittadini aquilani non è così imponente come ci si poteva aspettare. Ci sono solo 3.000-3.500 persone che hanno cambiato medico e riteniamo che questi numeri siano abbastanza definitivi, considerando che ad ottobre si sono riaperte le scuole”.
Se nei piccoli centri la situazione è più vicina alla normalità, in città le cose sono però più difficili, con molti ambulatori ancora ospitati nei container. Elemento positivo si sono rivelate le forme associative della medicina generale, che a L’Aquila erano già piuttosto sviluppate. “La presenza di medici in associazione – spiega Rossetti – è un vantaggio, perché non è necessario andare da una parte all’altra della città per raggiungere il proprio medico e dunque si riesce a garantire un servizio migliore tra la maggiore disponibilità e la più facile raggiungibilità”. Certo non si possono tirare conclusione semplicistiche, come sottolinea il segretario Fimmg de L’Aquila: “La normalità è ancora molto lontana nel tempo, perché tutto è legato alla ricostruzione della città e del suo centro storico, che rappresentano il vissuto dei suoi 60mila abitanti”.
A distanza di oltre un anno, anche i medici specialisti lavorano ancora in una situazione precaria: dopo il terremoto gli ambulatori sono stati sistemati nell’area parcheggio del campo Acquasanta, in container e in casette di legno. Sicuramente una situazione disagevole sia per i pazienti che per gli addetti ai lavori, ma occorre ricordare che nella fase di emergenza, questa sistemazione, grazie anche a numerose donazioni e al gran darsi da fare degli operatori, ha consentito in ogni caso la prosecuzione delle attività. Ora è passato più di un anno e il campo dell’Acquasanta dovrà tornare a ospitare le partite di rugby della storica squadra locale. E gli ambulatori dove andranno? “La Asl – spiega il segretario Sumai-Assoprof della provincia de L’Aquila, Giuliana Troiani – ci ha comunicato che entro luglio saremo spostati a Paganica, che dista all’incirca 5 km dalla città”. Il punto, però, è che nel nuovo sito, vicino a uno dei nuovi quartieri costruiti dopo il 6 aprile, gli ambulatoriali saranno costretti ad esercitare la professione sempre all’interno di prefabbricati a causa di una mancanza di strutture disponibili. “Non ho capito questa scelta, nonostante abbia ben presente le difficoltà che ci sono nel reperire strutture. Mi hanno detto che non avrò nemmeno il bagno all’interno dello studio – prosegue la Troiani – e ci hanno riferito che per almeno due anni dovremo rimanere nelle casette in legno, dopo sarà pronta una struttura in muratura. Il punto, però, è che il trasferimento a Paganica, sarà definitivo perché per ricostruire la città ci vorrà molto tempo”. “Non è una bella situazione – continua – perché lavorare in queste strutture con il clima che c’è a L’Aquila è molto difficile (la città più calda d’estate e più fredda in inverno si dice), sicuramente cercheremo di offrire un servizio il più efficiente possibile ma, ripeto, non è una situazione facile. Non dimentichiamo poi, che anche per i pazienti non è comodo aspettare il proprio turno di visita nei container, senza tralasciare che gli effetti sulla salute causati dal terremoto si stanno facendo sentire molto più oggi che subito dopo il sisma”.

Le farmacie del centro restano nei container
E in container sono destinate a restare ancora a lungo le sette farmacie del centro storico, distrutte o rese inagibili dal sisma. Il loro destino è agganciato a quello della città e al momento nessuno si sbilancia in previsioni. “I farmacisti stanno nella situazione dei primi giorni di emergenza – spiega Giuseppe Maria Battibocca, titolare di una farmacia andata distrutta – Federfarma e Fofi ci hanno dato un aiuto, è stata emanata un’ordinanza per andare in deroga alla pianta organica (5 mesi dopo il sisma), ma l’emergenza non è finita, anzi, direi che ci stiamo proprio nel bel mezzo”. “I disagi sono anche avvertiti dai cittadini per cui è cresciuta la vendita di antidepressivi”, spiega il farmacista.
Secondo il bollettino della Società italiana di farmacia ospedaliera, le prescrizioni di farmaci antidepressivi da parte dell’azienda sanitaria aquilana, infatti, sono aumentate del 37% e del 129% quelle di antipsicotici, a sei mesi dal sisma. “Purtroppo le farmacie che erano al centro della città – spiega il presidente degli Ordini dei farmacisti de L’Aquila, Angela Pellacchy – resteranno nei container fino a quando il centro storico non sarà ricostruito. Siamo riusciti a far approvare la temporanea ricollocazione delle farmacie ma i disagi non sono finiti, basti pensare che prima del sisma i turni venivano decisi una volta l’anno, oggi a più di un anno vengono fatti una volta al mese”. Il problema, però, sono sempre i container. “Certo, si potrebbero trovare dei luoghi in muratura ma c’è una enorme difficoltà nell’individuarli soprattutto per l’aumento dei prezzi degli affitti che si è registrato dopo il terremoto. Noi non ci lamentiamo – spiega la Pellacchy – abbiamo ricevuto molti aiuti per cui dobbiamo ringraziare molte persone, il fatto è che dopo più di un anno chiediamo una maggiore collaborazione da parte delle istituzioni”.
 
a cura di Luciano Fassari e Ester Maragò

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