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Lunedì 20 SETTEMBRE 2021
Quale riforma per la salute mentale?

La salute mentale è un campo nel quale per forza l’uso delle verità deve essere fatto in modo pragmatico. Ci serve quindi un genere di scienza adatta alla sua complessità. Per questo abbiamo bisogno di una riforma e se davvero si vuole riformare per quel che mi riguarda sono disponibile a dare una mano

Premessa: un aneddoto e un manifesto
Nel 2017 fui invitato dalla Siep (società italiana di epidemiologia psichiatrica) ad un confronto informale per discutere dei problemi della salute mentale.
 
Dissi che il settore versava in una crisi profonda, parlai di regressività, di abbandono, di sottofinanziamento e spiegai quello che avevo scritto nella “quarta riforma” e cioè che:
• anche la legge 180 esattamente come altre leggi a partire dalla 833 e dalle successive controriforme non era immune dalle contraddizioni in cui versava l’intero sistema sanitario nazionale
• secondo me c’era bisogno di un lavoro di riforma perché le varie iniziative legislative intraprese fino ad allora erano alla fine poco coraggiose nel cambiamento che serviva.
 
Alla fine proposi di definire rispetto ad una “prospettiva” di crescente involuzione una “contro prospettiva” e di aprire a questo proposito una pubblica discussione.
 
Tutti si trovarono d’accordo con me per cui decidemmo che io avrei aperto le danze con degli articoli (pubblicati puntualmente su questo giornale) ai quali sarebbero dovuti seguire altri articoli del direttivo della Siep ma a parte qualche “ovvia” eccezione la discussione auspicata non ci fu.
 
Degli auto-divieti scattarono informalmente nel timore di pestare i calli a qualcuno. Appoggiare una proposta di riforma per tutti loro che stavano nel giro dei primari non era semplice e soprattutto rischioso. Restai deluso ma nello stesso tempo ebbi la conferma che anche nella salute mentale esistono i “mammasantissima” e toccai con mano quel fenomeno che di solito si definisce “subalternità culturale”. Tutti erano preoccupati per Trieste. Di riformare la salute mentale, cosa avrebbe detto Trieste?
 
La settimana scorsa, su questo giornale, leggo di un manifesto “La cura nella Salute Mentale come valorizzazione della persona e difesa della democrazia” (QS 15 settembre 2021) che praticamente parla di “promuovere un vasto movimento di riforma” e tra i promotori scopro il presidente Siep al tempo dell’incontro e che nonostante il flop di allora non ho mai smesso di stimare. Tra me e me dissi “meglio tardi che mai. Evidentemente questa volta Trieste non è un problema”.
 
Un quadro di riferimento
Non ho cambiato idea sulla necessità di una riforma anzi al contrario ne sono sempre più convinto per cui intendo accogliere l’invito del manifesto ma prima vorrei assicurare al mio contributo un “quadro di riferimento” senza il quale le mie osservazioni potrebbero risultare a loro volta eccentriche e scarsamente ricevibili.
 
Elencherò di seguito, usando un criterio cronologico, quelli che a mio parere sono da considerarsi i fatti salienti recenti riconducibili alla salute mentale e mettendo il manifesto alla fine dell’elenco considerandolo come l’ultima novità
1. Lettera appello della Siep (2016)
La Siep (società italiana di epidemiologia psichiatrica) pubblica una “lettera appello” nella quale si descrive dati alla mano lo stato grave di crisi in cui versano i servizi di salute mentale, le gravi diseguaglianze nel paese, i problemi legati ad una sempre più crescente privatizzazione quindi neo-manicomializzazione
 
2. Disegno di legge “Disposizioni in materia di tutela della salute mentale volte all'attuazione e allo sviluppo dei princìpi di cui alla legge 13 maggio 1978, n. 180” (2017)
È un testo che in realtà oltre a configurarsi banalmente pari pari come una 180 bis tenta di tradurre in legge il progetto obiettivo "Tutela salute mentale 1998-2000" che a sua volta era stato tradotto in un DPR ( 10 novembre 1999) anche questo preceduto, più o meno a contenuti invarianti, da un altro progetto obiettivo (1994/1996) a sua volta tradotto in un altro dpr (aprile 1994)
 
3. Seconda Conferenza nazionale per la Salute Mentale (2021)
Arriva a vent’anni di distanza dalla prima ed è la conclusione di un lavoro di approfondimento del tavolo tecnico istituito presso il Ministero della Salute. Approvata da alcuni (CNDSM)e fortemente criticata da altri (Ordine degli psicologi, Aupi-Form ecc ) ribadisce nella più perfetta logica della ricursione in tutto e per tutto la 180 bis.
 
4. Il manifesto (2021)
• denuncia una cosa che se fosse vera sarebbe gravissima vale a dire l’esistenza nei confronti del settore salute mentale di una “controriforma in atto”
• sostiene che questa presunta controriforma sta creando un terreno favorevole al “totalitarismo” quello che è tale perché si legge, “equipara la persona a biologia”
• ci invita esplicitamente ad una “ribellione” cioè a rifiutare l’equiparazione incriminata e a costruire, quindi a dare vita, in nome della democrazia, prima di tutto ad una opposizione politica.
 
Chiedo il permesso ai miei vecchi amici della salute mentale di essere franco leale e se mi è concesso appassionato…come sempre
Il manifesto proposto si chiude con una postilla “con la diffusione del Manifesto si intende promuovere un vasto movimento di riforma la cui realizzazione è un’esigenza non più rinviabile”.
 
In tutta franchezza leggendo il manifesto e soprattutto collocandolo dentro il quadro di riferimento posto in premessa, non credo che esso esprima veramente una volontà riformatrice quello che in realtà esprime è un tentativo apologetico peraltro, secondo me, drammatizzato a sproposito, di difendere con il “contrasto” una certa idea storica di salute mentale proponendo di richiamare in servizio l’ideologia come strumento di lotta quella tanto per intenderci delle nostre origini (rimando per le analogie al documento programmatico di psichiatria democratica dell’ottobre del 1973).
 
In questo tentativo, mutatis mutandis, il “movimento di liberazione del malato dalla segregazione manicomiale” di quasi mezzo secolo fa, viene di fatto sostituito, nel terzo millennio, con “il movimento per la liberazione del cittadino dal totalitarismo costituito dalla “equiparazione tra la persona e la sua biologia”.
 
Davanti a questo approccio, in tutta franchezza, con Fratelli d’Italia che di giorno in giorno cresce di consensi, cioè con una destra che si nutre delle debolezze della sinistra, non so se ridere o piangere Ma non mi interessa entrare nel merito di questo eccentrico repechage. Mi limito a dire solo una cosa: fare la guerra e fare una riforma sono due cose epistemicamente diverse. Se volete fare una guerra chiamatela “guerra” ma non “riforma” e arruolate delle spade se volete fare una “riforma” arruolate delle idee e ripassatevi Wittgenstein per cambiare quantomeno il linguaggio.
 
Il manifesto fa una affermazione perentoria, quanto temeraria, e sostiene che oggi, nel settore della salute mentale, esiste una “controriforma”. La cosa che mi colpisce è che questo importante concetto non compare mai nel dibattito implicito nel quadro delineato in premessa, neanche, ma spero di non sbagliare, nella recente conferenza nazionale.
 
Ma cosa si intende per controriforma? Per me, riflettendo soprattutto sulle esperienze legislative della sanità, essa è una norma approvata contro un’altra norma (il titolo V, l’aziendalizzazione, le mutue della Bindi, ecc.) Quindi la manifestazione di una precisa volontà politica. Certamente si può comprendere nel concetto anche gli esiti di certi processi ma controriforma in genere per la salute mentale richiama iniziative legislative contro la 180.
 
La mia sensazione è che nel manifesto vi sia confusione tra il concetto di “crisi” e il concetto di “controriforma”:
• una crisi non è una controriforma anche se può avere effetti contro-riformatori,
• una controriforma e una precisa volontà politica ma che oggi nel caso della salute mentale non mi pare che esista.
 
Per questo sono portato a ritenere che la confusione tra “controriforma” e “crisi” nel manifesto non sia un refuso ma abbia la funzione come in tutte le logiche ideologiche prima di ogni cosa di individuare un nemico e quindi un avversario:
• in una crisi della salute mentale intesa come sistema di contraddizioni e di problemi non possiamo escludere nostre possibili responsabilità,
• in una controriforma invece tutte le responsabilità sono dell’avversario da combattere.
 
La Siep nel 2016 descrive, con puntualità, la crisi della salute mentale come una crisi di organizzazione di finanziamenti quindi di servizi, individuando correttamente le responsabilità nelle istituzioni e nella politica.
 
Il manifesto descrive una controriforma ma non descrive i suoi avversari e le sue controparti? Chi è la controparte “dell’equiparazione della persona alla sua biologia”? Chi è l’avversario “della standardizzazione, dell’omologazione dei comportamenti e della sottomissione della nostra concezione della vita al tecnicismo dilagante,”.
 
Suggerisco quindi di:
• eliminare dal manifesto la parola “controriforma” perché inappropriata e fuorviante
• parlare di “crisi” perché il quadro descritto dalla Siep 4 anni fa è vistosamente peggiorato ma con l’obbligo di individuare con precisione le controparti riconducibili prima di tutto alle sue contraddizioni
 
La strada obbligata della riforma
Se io dovessi trovare delle controparti a tutti i problemi elencati dal manifesto me la dovrei prendere con certi paradigmi e certe dottrine. Le prassi non nascono dal niente ma nascono da precise teoresi che vanno riformate quando le prassi non funzionano più.
 
Per esempio la controparte del problema “equiparazione della persona alla biologia” che, a ben vedere, riguarda non solo la salute mentale ma tutta la medicina scientifica, non c’ è dubbio che dovrebbe essere quel tipico riduzionismo positivista che riduce negandola la complessità, ad una certa idea di realtà, di natura, di fattualità, ecc.
 
In questo caso all’equiparazione dovremmo rispondere con una altra idea di scienza quindi di medicina per cui dovremmo partire, almeno da Feyerabend in poi, nel tentativo di ridefinire quale idea di scienza sia più adeguata alla medicina e alla salute mentale. Ma il manifesto neanche se lo pone questo problema. La sua controparte non epistemologica ma solo politica.
 
Il punto è che scegliendo la teoria della “controriforma” il problema delle controparti che potremmo definire epistemiche o di merito o competenti non si pone. Ma anche perché è difficile fare delle riforme epistemiche.
 
Meglio cioè è più facile dare luogo ad una battaglia politica quindi ridurre la super complessità di una crisi ad una generica quanto incompetente questione politica e per giunta mi par di capire confidando soprattutto su una sinistra che non ha più neanche mezzo neurone pensante. Compresa quella che ha curato la seconda conferenza nazionale.
 
Ridurre la nostra crisi ad una generica lotta politica da un punto di vista epistemico non è meno indecente che ridurre una persona a biologia. Sempre di riduzione si tratta quindi sempre un tradimento alla complessità resta.
 
Al contrario scegliendo la teoria della “crisi” la strada della riforma è obbligata.
Nel manifesto, ogni concetto usato richiamerebbe una riforma, purtroppo ogni concetto (scusatemi di nuovo la franchezza)nel manifesto è affrontato con una tale superficialità da scoraggiare anche un riformatore incallito come me. Si danno per scontate troppe cose: salute mentale, cura, equipe integrazione psicologi…ma siamo proprio sicuri che sono concetti scontati? Per esempio l’espressione “salute mentale” secondo me, se penso al dibattito sui rapporti tra mente e coscienza tra mente e mondo ecc quanto meno andrebbe ricontestualizzata E poi a parte i concetti dati per scontati nel manifesto ci sono dei repechage inaccettabili come quello dell’umanizzazione, concetto che ho sempre combattuto fin da quella bufala definita medical humanities e che per quanto mi riguarda non ha alcuna dignità epistemica.
 
E ancora nel manifesto troppa roba vecchia troppo dejavu: ancora la questione dei farmaci da una parte e le relazioni dall’altra, ancora parliamo degli psicologi come dei “non psichiatri” , ancora giochiamo con i prefissoidi “biopsicosociale” come se la complessità fosse un puzzle ancora discutiamo della contenzione
 
Se tutta questa roba ce la portiamo dietro ormai da quasi 50 anni mi viene da chiedermi e da chiedervi, ma cosa abbiamo affatto in tutti questi anni?
 
Riformare è difficile
Per me la strada della riforma anche per la salute mentale come avrete capito era ed è una necessità per cui come tutte le cose necessarie non si può non fare.
 
A questo proposito per non ripetermi rimando ai due articoli che metto in link che scrissi dopo l’incontro con la Siep e che però vi prego di leggere (QS 2 ottobre 2017 e QS 16 ottobre 2017).
 
Lavoro ad un pensiero riformatore per la sanità e per la medicina praticamente da sempre (ho in programma per il prossimo anno una pubblicazione sul ripensamento della medicina scientifica che spiega tra le altre cose come si fa a superare la riduzione persona a biologia) ma per mia esperienza so che:
• inventare un pensiero riformatore non è per niente facile,
• in sanità quindi anche nel campo della salute mentale riformare qualcosa è, per tante ragioni, difficile,
• per la maggior parte spesso è più facile contro-riformare che riformare (titolo V, aziende, mutue, ecc.),
• il vero nemico quindi la peggior controriforma è l’apologia dell’invarianza,
• i peggiori contro-riformatori in sanità sono questi apologeti cioè coloro che con i loro bravi plafond cognitivi e culturali di cui essi normalmente non hanno alcuna consapevolezza considerano i loro modelli praticamente perfetti. Quindi irriformabili.
 
Apologia dell’invarianza
Se valuto in particolare la 180 bis e le proposte avanzate nella seconda conferenza nazionale e lo stesso manifesto mi viene il dubbio che, anche per la salute mentale, esista un grosso problema di apologia dell’invarianza.
 
Se dobbiamo fare una riforma della salute mentale la prima cosa che auspicherei è liberarci di ogni forma di subalternità culturale.
Ognuno deve pensare con la sua testa e ognuno soprattutto deve essere libero di pensare
Il punto non è come ci propone il manifesto di ripartire lancia in resta da dove siamo partiti quindi da zero ma di andare avanti capitalizzando i nostri successi i nostri errori e anche le nostre incapacità quindi mettendo in campo un intelligente processo di auto-correzione, di ripensamento di ridefinizione.
 
Oggi secondo la teoria della “meaning variance” tutti i significati di base più importanti della salute mentale andrebbero tutti ricontestualizzati perché i loro significati contestuali in quasi 50 anni sono di fatto cambiati.
 
La questione della scienza
L’ultima questione che mi preme richiamare è quella della medicina e della scienza.
Nel leggere il manifesto, in alcuni passaggi, ho avuto due sensazioni che:
• si riproponesse la vecchia questione basagliana di dove collocare la salute mentale se dentro o fuori la medicina (socioiatria contro biomedicina)
• si criticasse lo scientismo in particolare le sue evidenze scientifiche quindi le sue verità ma rinunciando a definire una scienza non scientista quindi alla fine quasi una scienza senza evidenze quindi una non scienza.
 
Io sono convinto come il mio vecchio amico Carlo Manuali che la salute mentale deve rientrare a pieno titolo nella medicina e che proprio per questo essa deve fare i conti con i suoi problemi:
• non si può ragionare di crisi della salute mentale fuori da una crisi della medicina perché esiste una crisi della medicina che ricade anche sulla salute mentale,
• non si possono trovare soluzioni riformatrici alla prima senza riformare la seconda.
 
Avendo scritto lo scorso anno un lavoro che si intitola “Le evidenze scientifiche in medicina l’uso pragmatico delle verità” (Nexus) definisco le evidenze scientifiche come verità paraconsistenti che in quanto tali devono essere usate, come direbbe il nostro caro e vecchio James, per forza in modo pragmatico. La salute mentale è un campo nel quale per forza l’uso delle verità deve essere fatto in modo pragmatico. Ci serve quindi un genere di scienza adatta alla sua complessità. Per questo abbiamo bisogno di una riforma e se davvero si vuole riformare per quel che mi riguarda sono disponibile a dare una mano.
 
Ivan Cavicchi
  

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