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Lunedì 20 SETTEMBRE 2021
Quale futuro per il dirigente sociologo del Ssn

La domanda di salute è cresciuta e si è diversificata in maniera esponenziale e a maggior ragione per il mutato quadro epidemiologico e demografico acuito dall’attuale crisi pandemica e il contributo della sociologia della salute non può che essere una risorsa, un valore aggiunto, per elaborare soluzioni e nuove chiavi di lettura dello stesso Ssn, della sua organizzazione del lavoro, del rapporto tra le professioni, del rapporto con i cittadini e le loro forme di partecipazione

Ho già scritto della validità e dell’innovazione contenuti nell’istituzione del ruolo sociosanitario nello stato giuridico, il  DPR 761/1979, del personale del SSN istituito con l’art. 34, comma 9-ter della legge 106/2021; se nel personale dei livelli il rinnovo contrattuale dovrà tener conto del nuovo ruolo sociosanitario e delle conseguenti modifiche da introdurre nell’impianto contrattuale per l’area dirigenziale la questione è necessariamente da sviluppare sia se la dirigenza PTA, ora inserita nel CCNL dell’area dirigenziale degli enti locali e regionali, come prevede l’attuale normativa rientrerà nell’area dirigenziale del personale del SSN o se rimarrà distinta.
 
Nel ruolo sociosanitario attualmente esistono due fattispecie di dirigenti e cioè il dirigente sociologo, inserito sinora contrattualmente nella dirigenza PTA, prima dell’istituzione del ruolo sociosanitario e il dirigente del servizio sociale professionale ex articolo 7 della legge 251/00, cioè il dirigente assistente sociale, assunto sinora con incarico a tempo determinato con l’eccezione di poche regioni, di certo il Lazio, a tempo indeterminato, che, su parere dell’ARAN è stato già ricompreso nel CCNL dell’area dirigenziale medico e sanitaria.
 
Se per quest’ultimo pare improbabile un ripensamento, cosa differente è per il dirigente sociologo per il quale è da prevedere, indipendente dall’ingegneria contrattuale delle varie aggregazioni di comparto, cioè se la PTA rientrerà o meno nel CCNL dell’area dirigenziale del personale del SSN, quale sarà la sua “attrazione contrattuale” se negli istituti normoeconomici propri della PTA oppure in quelli della dirigenza sanitaria oppure se una propria specifica sezione contrattuale, anche se le dimensioni numeriche del profilo renderebbero improponibile, a mio giudizio, questa proposta essendo, se non sbaglio, la presenza di dirigenti sociologi nel SSN inferiore alle quattrocento unità.
 
I dirigenti sociologi a parte alcune presenze nei dipartimenti sanitari (salute mentale, dipendenze, materno-infantile ad esempio) hanno svolto e svolgono ruoli dirigenziali di staff nelle Direzioni aziendali, talora, anzi quasi sempre, avendo come riferimento il direttore sanitario, nelle attività della comunicazione, della qualità, dell’URP, della formazione, del controllo di gestione, integrazione sociosanitaria, ecc., attività che in altre aziende svolgono per lo più dirigenti sanitari o medici ma talora anche dirigenti amministrativi.
 
In effetti i sociologi in alcuni casi hanno avuto e hanno storicamente problemi reali di identità di ruolo, io lo chiamo il complesso di Balto, dal famoso cartone animato “né cane né lupo” e altri alla fine hanno preferito i lidi certi della dirigenza amministrativa avvalendosi dell’applicazione dell’ ancora vigente art. 63, comma 4 del Ccnl dell’8.6.2000  che consente “la mobilità del dirigente tra i ruoli amministrativo, professionale e tecnico purché il richiedente sia in possesso del requisito di laurea richiesto per l’accesso dall’esterno” e la laurea in sociologia è per legge equipollente a quelle previste per i concorsi a dirigente amministrativo nel SSN.
 
D’altro canto invece, nel campo della Sociologia della Salute sono, invece, presenti un articolato e ricco sviluppo di ricerca, studi, società scientifiche master  e scuole universitarie di specializzazione sino alla Sociologia Clinica di derivazione americana, quindi il tutto pienamente aderenti ai contenuti e alle finalità del concetto di salute definito dall’OMS e ripreso dall’articolo 5 della legge 3/18 che ha novellato l’area delle professioni sociosanitarie e proprio per questa motivazione di piena aderenza al ricordato concetto di salute il legislatore ha normato la presenza ope legis del sociologo in tale area e di conseguenza liberandolo dalla presenza del suo profilo professionale  dal ruolo tecnico nel nuovo ruolo sociosanitario.
 
Del resto dalla costituzione del Servizio Sanitario Nazionale, in questi  ultimi anni la domanda di salute è cresciuta e si è diversificata in maniera esponenziale e a maggior ragione per il mutato quadro epidemiologico e demografico acuito dall’attuale crisi pandemica e, in tale contesto, il contributo della sociologia della salute non può che essere  una risorsa, un valore aggiunto, per elaborare soluzioni e  nuove chiavi di lettura dello stesso SSN, della sua organizzazione del lavoro, del rapporto tra le professioni, del rapporto con i cittadini e le loro forme di partecipazione…
 
Pertanto, il sociologo in sanità è in grado di svolgere una funzione innovativa sia nelle sue proposte ed analisi che nella sua capacità professionale di interpretare e decodificare l'evoluzione del rapporto tra società, salute e sistema sanitario è, quindi, una professione, appunto “sociosanitaria” che è quanto mai spendibile per far fronte alla pluralità di problematiche che oggi la sanità si trova ad affrontare.
 
Fatte considerazioni, sarà compito delle parti pubblica e sindacali in sede di negoziazione all’ARAN stabilire quale sia la collocazione opportuna del dirigente sociologo dipendente da Aziende Sanitarie ed Enti del SSN e confermare quella dell’assistente sociale dirigente del servizio sociale professionale in sanità.
 
Infine, va tenuto conto che, anche se poco attivata, è possibile assumere nell’attuale categoria del CCNL del comparto sanità un sociologo nel profilo di “collaboratore amministrativo–professionale, settore sociologico” ed anche questa è una questione da affrontare e risolvere in sede di negoziazione tra le parti all’ARAN.
 
Saverio Proia

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