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Lunedì 09 LUGLIO 2012
Insinna. Riflessioni sull’identità perduta di una infermiera “stronza”



Gentile Direttore,
ciò che nelle ultime settimane si è scritto e letto in questa rubrica e nei vari forum di discussione, dovrebbe rappresentare il sentimento comune di una categoria professionale, quella degli infermieri, nell’osservare la propria immagine attraverso lo specchio deformate dell’esperienza umana del sig. Flavio Insinna. Ho scritto “dovrebbe”, poiché questo “sentimento comune” non si è svelato. Probabilmente è un fiume carsico che non ha ancora trovato la strada per emergere o forse, molto più semplicemente, non esiste. Si badi bene che per sentimento comune non intendo nulla di emozionale, piuttosto mi riferisco a quella “comprensione di sé” che qualsiasi corpo sociale sviluppa come entità riconoscibile e separata. Insomma quel modello culturale e comportamentale che dovrebbe rappresentarci rispetto all’ambiente, ovvero l’identità professionale degli infermieri.

Privi di questo prezioso “strumento” ed ancor più d’autorevoli riferimenti culturali e politici, come infermieri mostriamo tutta la nostra “debolezza”, anche quando tentiamo di comprendere le ragioni di una ferocia, quale quella espressa nell’oramai arcinoto scritto del signor Insinna.
Coinvolti istintivamente dall’epiteto rivolto alla collega, protagonista dell’infelice capitolo, ci schieriamo su posizioni estreme, solo apparentemente riflessive e ragionevoli. Esprimiamo reazioni che vanno dal pessimismo consapevole all’ottimismo volontaristico, dal paradigma ideologico, alla comprensione umana. Per carità, tutte legittime espressioni di visioni personali, ma quanto della nostra comunicazione individuale arriva dall’altra parte, superando stereotipi e pregiudizi?
 
L’infermieristica è definita da molteplici osservatori, ciascuno disposto alla propria latitudine culturale. È difficile fare un ritratto aggiornato della nostra professione, rappresentarla oltre le contraddizioni, i modelli incompiuti, e le diversità d’opinione intercorrenti tra gli stessi infermieri sulla natura nostra professione. Eppure, non c’è dubbio che l’assistenza infermieristica è una professione complessa, con caratteristiche di autonomia e responsabilità e con competenze in ambito scientifico, forense, educativo e manageriale impensabili, anche solo nel recente passato, quando il principio regolatore era quello di fornire assistenza e conforto.

La formazione degli infermieri è oggi progredita sino al livello universitario, la specializzazione professionale si è evoluta verso forme coerenti con una nuova domanda di salute, ma la percezione del pubblico sembra non aver tenuto il passo con questi sviluppi.
È ovvio che nessun uomo comune pensa o elabora analisi sulla professione infermieristica sino a che non è in una situazione in cui è costretto ad interagire con un infermiere per bisogno o per ricovero ospedaliero. È questo il caso in cui l’esperienza diretta contribuisce alla creazione di una opinione più o meno positiv,  per il resto il pre-concetto mediatico costituisce il primo vero approccio del pubblico con l’universo infermieristico.
Se poniamo la domanda: “Chi è un infermiere?” sui mezzi d’informazione di massa non troviamo risposta, né tantomeno il ruolo infermieristico è presentato come uno dei pilastri portanti dell’edificio “sanità”. Il “caso Insinna”, o meglio le pagine dell’infelice capitolo, restituiscono questo “vuoto”, che non è tanto del personaggio in se stesso o nella qualità dei suoi giudizi, ma nell’assenza di una forte identità professionale con cui confrontarsi.
 
La cultura della professione infermieristica, storicamente segnata dalla dominanza medica, e dalla mancanza di volontà collettiva per promuovere se stessa, asseconda, quasi naturalmente, lo status quo nelle relazioni intercorrenti tra i protagonisti dell’agire sanitario, in palese contraddizione con il ruolo e le funzioni che la legislazione assegna alla professione infermieristica.
Le divisioni tra istruzione e pratica, tra laureati e diplomati infermieri, tra infermieri e organizzazioni e tra coloro in possesso di specialità considerate di livello superiore rispetto ad altri con specializzazioni inferiori, rafforzano i centri di potere esterni alla professione stessa, indebolendone l’immagine e la capacità “contrattuale”. Ne è esempio recente il Decreto 12 giugno 2012 del Miur che, con la soppressione del settore concorsuale e scientifico di Scienze infermieristiche (ex Med45, ex 06/M3), fa regredire la formazione universitaria a livelli ottocenteschi, la relega nell’asfittico ambito di una facoltà d’igiene, ostaggio d’inossidabili baronie mediche.
 
La perdita dell’autonomia universitaria, la caduta delle attività di ricerca infermieristica, l’assenza di studenti d’infermieristica impegnati in studi di dottorato, l’indebolimento del corpo docente infermieristico, sono effetti dello stesso vuoto culturale che alimenta i vari “Insinna”, indici di una categoria professionale disinteressata a lottare per lo sviluppo di una propria base di conoscenze teoriche, e in tal modo marcare la differenza tra conoscenze infermieristiche e conoscenze mediche.
 
Il non governo dei processi scientifici, sociali e culturali che investono la professione finisce per agevolarne il declino nell’immagine pubblica. I media che, con poche eccezioni, rappresentano gli infermieri come una indistinta massa di mani al lavoro, oggetti di fantasia sessuale, complementi affettivi del personale medico, o peggio, portatori di una cattiva pratica sanitaria, riproducono stereotipi verso cui l’intera corpo infermieristico, in tutte le sue articolazioni, è incapace di significative reazioni.
 
Questa sostanziale sottovalutazione della nostra immagine è un fattore paradigmatico della crisi infermieristica poiché, tra l’altro, limita il reclutamento, disincentivando giovani di talento dall’avvicinarsi alla professione, e contribuisce al sottofinanziamento della pratica infermieristica, ricerca e istruzione. I decisori sanitari, molti dei quali purtroppo disinformati su ciò che è veramente l’infermieristica, sono sempre meno propensi a destinare risorse scarse ad una professione che è diventata così degradata nella coscienza pubblica.
 
Maria Francesca Tiraterra
Coordinatore infermieristico
 
 

 

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