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Mercoledì 03 NOVEMBRE 2021
Rapporto pubblico-privato in sanità. Le proposte dell’Anaao

“L’obiettivo è quello di indicare la possibilità di un rapporto tra i due sistemi, disegnare i confini lasciati finora liberi e senza una vera governance, ma soprattutto definire un punto di partenza in direzione di quella sinergia convintamente indicata e sottolineata dal Ministro della Salute”. Il documento della Commissione Nazionale Sanità privata accreditata Anaao Assomed.

Pubblichiamo di seguito il Documento elaborato dalla Commissione Nazionale Sanità privata accreditata Anaao Assomed a cura di
Fabio Florianello, Luca Barutta, Simona Bonaccorso, Pasquale Decata, Luca Indovina, Ester Pasetti, Fabio Pilato, Filippo Larussa, Ivana Spiga.
 
INTRODUZIONE
“Siamo ad uno snodo cruciale della storia del nostro SSN e bisogna avere il coraggio delle riforme. Unica strada per rendere più forte il Servizio Sanitario è quella della collaborazione pubblico/privato essenziale per la sinergia positiva che ne deriva. Investimenti pubblici e investimenti privati sono la vera modalità per rendere più forte il sistema Paese”.
 
Sono le parole recentemente pronunciate dal Ministro Speranza che riprendono il contenuto delLibro bianco sui principi fondamentali del Servizio sanitario nazionale pubblicato già nel 2008.
 
In particolare: “Il Servizio sanitario nazionale, sin dalla propria istituzione, è organizzato in modo da favorire, a condizione del rispetto di determinati standard, l’integrazione tra soggetti erogatori pubblici, privati e privati senza scopo di lucro. In tale contesto, i soggetti erogatori privati sono considerati a tutti gli effetti attori essenziali del S.S.N. in quanto le regioni assicurano i livelli essenziali e uniformi di assistenza avvalendosi non solo dei presìdi direttamente gestiti dalle aziende unità sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, delle aziende universitarie e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, ma anche dei soggetti accreditati (strutture autorizzate, pubbliche ed equiparate, strutture private lucrative e non lucrative e professionisti che ne facciano richiesta), nel rispetto degli accordi contrattuali. Tale scelta è stata confermata dal legislatore del 1998-99 che, superando il modello convenzionale, ha introdotto un articolato meccanismo di relazione tra soggetti erogatori privati e S.S.N che individua i propri elementi costitutivi nelle autorizzazioni (alla realizzazione della struttura e all’esercizio dell’attività), nell’accreditamento istituzionale e negli accordi contrattuali” – (Libro bianco sui principi fondamentali del SSN - Principio IX Soggetti erogatori e le prestazioni-2008.)
 
Queste parole suggeriscono una serie di considerazioni che la Commissione Nazionale Anaao Sanità Privata Accreditata vuole illustrarecon grande realismo a partire dall’attuale suddivisione del cosiddetto “mercato” delle prestazioni sanitarie tra sistema sanitario pubblico e privato accreditato. Il quale attualmente eroga, in modo ormai consolidato, circa il 70% delle prestazioni di lungodegenza e riabilitazione (le cosiddette prestazioni post-acute), il 65% di quelle ambulatoriali, il 25 % di quelle per acuti con alcune Regioni al 50% (Lazio), altre al 40% (Lombardia) e altre ancora tra il 30 ed il 40% (Campania e Puglia). Gestisce l’84% delle strutture RSA e si sta proponendo per gli ospedali di comunità.
 
Di fronte a questo scenario si può dire che è avvenuto un vero e proprio riposizionamento tra pubblico e privato accreditato. Riposizionamento che, al di là di come si è sviluppato, rende consapevoli che tornare al passato attraverso una riduzione della partecipazione del privato danneggerebbe sia il settore “Pubblico”,che dovrebbe affrontare un insopportabile carico di prestazioni in termini di ricoveri, specialistiche ambulatoriali e provvederne ad altre (post acuti) che ha tralasciato, ma anche il settore “Privato”, che senza gli introiti del SSN entrerebbe in grave crisi, dato che da questo ne trae oltre l’80%.
 
Dunque è necessario prendere atto che i due sistemi, erogando entrambi legittimamente prestazioni pubbliche, devono trovare un’integrazione governata dalle istituzioni, nazionale e regionali, in applicazione delle normative nazionali e regionali.In breve la strada da percorrere, nell’interesse prioritario dei cittadini, è quella di una costante e leale collaborazione istituzionale tra i due settori.
In questo agire legittimo si viene a realizzare quella sinergia cui accennava il Ministro della Salute, ma che deve necessariamente trovare un perimetro nel quale concretizzarsi e consolidarsi, in assenza del quale non rimane che una deriva incontrollata, quale è avvenuta finora, fortemente nociva per il SSN.
 
QUALI LE SOLUZIONI?
Preliminarmente va osservato che tre sono gli aspetti fondamentali che caratterizzano questo perimetro: accreditamento, prestazioni e personale, la cui governance, codificata e normata, spetta a Governo, per i criteri e le norme generali, e Regioni per l’organizzazione e il relativo controllo.[1]
In relazione a questi tre aspetti la Commissione Anaao Assomedpropone alcune idee prodromiche con l’intento di contribuire a dare avvio ad una soluzione equilibrata del rapporto tra i due sistemi.
 
ACCREDITAMENTO.
L’Accreditamento istituzionale costituisce il presupposto per l’esercizio di attività sanitarie per conto del Servizio sanitario nazionale (art. 8bis c.3 d.lgs. 502/1992); è rilasciato dalla Regione alle strutture autorizzate pubbliche o private ed ai professionisti che ne facciano richiesta, nonché alle organizzazioni pubbliche e private autorizzate per l'erogazione di cure domiciliari, subordinatamente alla loro rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale e alla verifica positiva dell'attività svolta e dei risultati raggiunti (art. 8quater, d.lgs. 502/1992)
Peraltro l’Accreditamento istituzionale garantisce che le prestazioni sanitarie eseguite in nome e per conto del SSN dalle strutture pubbliche e private siano garantite sotto il profilo di:
1. Qualità
2. Appropriatezza[2]
3. Sicurezza[3]
4. Remunerazione[4]
5. Dotazione quantitativa e qualitativa del personale impiegato[5]
6. Gestione delle risorse umane [6]
 
Il possesso di requisiti comuni alle strutture pubbliche e private è stato fin qui affrontato con una modalità che si può definire “timida” se non di completo “laissez-faire”, sorvolando troppo spesso sul possesso dei requisiti richiesti.
 
A solo titolo di esempio, proviamo ad esaminare il problema dei posti letto accreditati per acuti, ma senza servizi per E/U, quale un DEA/PS. Sono complessivamente 22.000 e praticamente tutti nelle strutture private. La mancanza del requisito aprirebbe la strada alla sospensione dell’accreditamento. Non bisogna tuttavia dimenticare che questi letti concorrono al rapporto posti letto per mille abitanti fissato dalla legge a 3.0 (tra gli ultimi della UE) che in realtà raggiunge attualmente solo il 2,89 ‰.
 
La rinuncia a questi letti ci farebbe scivolare ad un rapporto di 2,53 ‰ ponendo il SSN in una situazione ancora più grave di quella evidenziata dalla pandemia, durante la quale la carenza di posti letto per acuti si è rivelata in tutta la sua complessità.
 
Gli accordi contrattuali consentono alle strutture che risultano previamente autorizzate ed oggetto di accreditamento istituzionale, l’esercizio di attività sanitaria a carico del Servizio sanitario nazionale (art. 8bis, comma 3, d.lgs. 502/1992).
 
La soluzione che si propone prevede accordi di convenzione da attuarsi in sede regionale tra strutture pubbliche e private limitrofe, in modo da creare una rete territoriale con posti letto privati che, accreditati per acuti ma privi di pronto soccorso, vengono messi a disposizione dei servizi di DEA/PS della rete dando un contributo ad alleviare le drammatiche attese dei pazienti e le estenuanti ricerche di letti da parte dei medici urgentisti. Il tutto tenendo conto del livello di risposta che ogni singola struttura è in grado di offrire per l’appropriatezza e la sicurezza delle cure.
 
Accordi del genere sono già operativi con buoni risultati, ma purtroppo ancora molto limitati.
È infatti la stipulazione di tali accordi ad attribuire ai soggetti potenziali erogatori per conto del SSN la qualifica di erogatori di pubblico servizio sanitario. La relativa disciplina, come già accennato, è rimessa alla competenza legislativa regionale.
Pertanto la messa a disposizione di posti letto per i ricoveri provenienti dalla rete non rappresenterebbe altro che una modalità di sostituzione degli stessi requisiti di accreditamento.
 
PRESTAZIONI.
Tutte le prestazioni erogate da parte del SSN sono prestazioni di tipo pubblico e pertanto sottoposte al controllo istituzionale, prevalentemente regionale.
L’attuale constatazione è la possibilità, implicitamente conferita, che il privato accreditato operi una selezione delle prestazioni. Infatti, per strutture fuori dai circuiti dell’emergenza/urgenza e alleggerite dai carichi che ne derivano risulta agevole scegliere quelle più adatte alla struttura stessa, spesso quelle più remunerative.
 
La soluzione proposta anche in questo caso sono gli accordi e i contratti regionali a dover esercitare un’azione modulatrice e di riequilibrio per la cui realizzazione sarebbe sufficiente l’istituzione di un’agenda digitale unica territoriale delle prestazioni di elezione (di ricovero e ambulatoriali) tra strutture pubbliche e private che compongono la rete territoriale, sempre tenuto conto della complessità delle patologie che le strutture sono in grado di affrontare e nel rispetto della eventuale scelta da parte del paziente.
 
L’articolo 8 -quinquies del d.lgs. 502/1992 attribuisce alle regioni il compito di definire l’ambito di applicazione degli accordi contrattuali e di individuare i soggetti con specifico riferimento: a) all’individuazione delle responsabilità riservate alla regione e di quelle attribuite alle unità sanitarie locali nella definizione degli accordi contrattuali e nella verifica del loro rispetto; b) all’emanazione di indirizzi per la formulazione dei programmi di attività delle strutture interessate, con l'indicazione delle funzioni e delle attività da potenziare e da depotenziare, secondo le linee della programmazione regionale e nel rispetto delle priorità indicate dal Piano sanitario nazionale; c) alla determinazione del piano delle attività relative alle alte specialità ed alla rete dei servizi di emergenza; d) ai criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di attività e del concorso allo stesso da parte di ciascuna struttura.
 
In questo ambito è responsabilità delle Regioni l’istituzione dell’Agenda digitale per le prestazioni di elezione di ricovero e ambulatoriali che agevolerebbe non solo le funzioni di programmazione e controllo da parte delle ASL, ma andrebbe soprattutto a determinare una migliore distribuzione delle liste di attesa a tutto vantaggio dei cittadini.
 
Peraltro questo strumento potrebbe essere utilizzato anche per rispondere a quanto disposto dallo stesso articolo 8 quinquies del d.lgs. 502/1992, per l’erogazione di cure domiciliari, tema molto attuale tanto da indurre lo stesso legislatore ad inserire con la legge 30 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio 2021), tra i soggetti destinatari dell’accreditamento istituzionale anche le organizzazioni pubbliche e private autorizzate per l'erogazione di cure domiciliari.
 
PERSONALE
Senza alcun dubbio costituisce la risorsa fondamentale del SSN, ilvero patrimonio ai fini della qualità ed efficacia del servizio erogato. Ed essendo la risorsa fondamentale la proposta è quella di un completo rispetto, sia nel pubblico che nel privato, di analoghi requisiti:
a) qualitativi, ovvero il titolo di studio che per i medici è il possesso della specialità;
b) quantitativi, ossia le dotazioni organiche da porre in rapporto alla complessità della Struttura e delle prestazioni;
c) di sicurezza degli ambienti di lavoro con programmi di risk management;
d) dei piani retributivi.
 
Questi ultimi sono da individuarsi nella specifica contrattazione nazionale ed aziendale, pubblica e privata, nel rispetto tuttavia di una omogeneità per quanto riguarda le voci retributive fondamentali o di base, lasciando le voci accessorie alla trattativa decentrata. Nessuna limitazione dunque alla libertà del datore di lavoro privato, ma limitata alle voci accessorie al fine di evitare gli attuali fenomeni di “dumping salariale”. Da ricordare infatti che tutto il personale, anche quello del sistema privato, eroga prestazioni pubbliche e pagate dal sistema pubblico.
 
Non può infatti essere ignorata la disparità dei contratti nella sanità privata accreditata. Non può essere ignorato il fatto che il trattamento retributivo di chi opera in nome e per conto del Servizio sanitario nazionale debba trovare un riferimento comune, essendo compreso tra i requisiti minimi di accreditamento; peraltro se una prestazione è remunerata dal Servizio sanitario nazionale in egual modo nel sistema pubblico e in quello privato, non si può pensare di retribuire chi esegue la stessa prestazione in termini estremamente diversi dal punto di vista del valore economico, configurando retribuzioni “low -cost” contrarie al dettato dell’articolo 36 della Costituzione.
 
A questo si aggiunge un ulteriore elemento da prendere in considerazione: nelle strutture accreditate vengono applicati contratti diversi non solo all’interno delle medesime, ma addirittura in seno alle varie Unità Operative, realizzando in tal modo una disparità contrattuale tra professionisti che, nell’ambito delle unità specialistiche, esercitano le medesime mansioni e prestazioni.
 
Una situazione ai limiti della legittimità, che si concretizza in disparità giuridiche, non solo retributive ma anche relative a status, orario di lavoro, tutela della maternità solo per accennare a qualche esempio. Situazione difficilmente sostenibile per chi, come le organizzazioni sanitarie private, si pongono all’interno del Servizio sanitario nazionale con requisiti di accreditamento per così dire “personalizzati”.
 
 
Doppio “danno”, uno rispetto al Servizio Sanitario, l’altro all’interno del sistema. Ma il bene da perseguire è il medesimo “la tutela della salute”.[7]
 
Sotto questo profilo va tutelata la dignità degli operatori sanitari del privato accreditato, dignità che non può essere assoggettata ad un arbitrio signorile di parte datoriale in relazione all’applicazione di contratti diversi per analoghe mansioni, ma al contrario deve coniugarsi con il principio di commisurazione del trattamento al contenuto della prestazione sancito dall’art.3 della Costituzione stessa. Trattamento di ordine generale e non soltanto retributivo.
 
E come può essere tutelata la dignità personale di un medico o di un sanitario trattato differentemente rispetto ad un collega che esegue le stesse prestazioni e per di più nell’ambito di una stessa struttura o unità operativa dove operano medici e sanitari specialisti a cui sono richiesti stessi requisiti di specializzazione, comuni orari di lavoro, di turni, di guardie notturne, di pronte disponibilità, di doveri nei confronti della struttura, l’effettuazione di medesime prestazioni? Il principio di “parità di trattamento” è una regola di buona amministrazione, il suo contrario, ovvero la “disparità di trattamento”, rappresenta un vizio di legittimità del buon andamento di un pubblico servizio, ma soprattutto reca gravi perturbazioni del clima aziendale, con significative conseguenze sulla sicurezza nei luoghi di lavoro ed in tema di risk management, soprattutto nel campo sanitario dove il bene da perseguire è innanzitutto la tutela della salute dei cittadini.
 
Il Personale è un “bene” prezioso ed in quanto tale va tutelato.
A supporto di quanto sopra si è già espresso il giudice amministrativo e, al momento in cui si scrive, si attende un pronunciamento della Corte Costituzionale sul ricorso promosso dalla Regione Lazio per difendere la norma della legge regionale 13/2018, in particolare l’articolo 9, in cui si esplicita che “A tutela della qualità delle prestazioni erogate e del corretto rapporto tra costo del lavoro e quantificazione delle tariffe, il personale sanitario dedicato ai servizi alla persona (ndr delle strutture private accreditate) necessario a soddisfare gli standard organizzativi, dovrà avere con la struttura un rapporto di lavoro di dipendenza regolato dal Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) sottoscritto dalle associazioni maggiormente rappresentative nel settore sanitario”.
 
È lo stesso Consiglio di Stato [8] ad affermare che nel rapporto pubblico privato, soprattutto quando da tutelare sono tre beni costituzionalmente rilevanti quali il diritto alla salute, la tutela del lavoro e la libertà di iniziativa economica, non si pone un problema di concorrenza tra operatori, stante la natura di mercato “regolato” in cui ‘l’attività del privato è conseguenza della pianificazione pubblica e della sequenza autorizzazione-accreditamento-convenzione determinata dalle esigenze della distribuzione del servizio sanitario sul territorio nazionale e regionale. Piuttosto, tali principi devono essere bilanciati alla luce del generale precetto dell’eguaglianza di cui all’art. 3 della Carta costituzionale e dei criteri dell’adeguatezza e della proporzionalità di derivazione comunitaria, quali regole generali valide anche per il legislatore nazionale”.
 
CONCLUSIONI
Il perimetro indicato in queste proposte non vuole certo essere esauriente di fronte alla complessità dei problemi in campo.
L’obiettivo è quello di indicare la possibilità di un rapporto tra i due sistemi, disegnare i confini lasciati finora liberi e senza una vera governance, ma soprattutto definire un punto di partenza in direzione di quella sinergia convintamente indicata e sottolineata dal Ministro della Salute.
 

 
Note:
[1] La stessa Corte Costituzionale con sentenza 200/2005 ha riconosciuto che le disposizioni statali in materia di accreditamento e di accordi contrattuali costituiscono norme di principio della legislazione statale, che pertanto vincolano la legislazione regionale in materia.


[2]
Qualità e Appropriatezza: sono molteplici i riferimenti normativi a queste tematiche parti integranti del SSN, dal D.lgs. 502/92 al Programma Nazionale Esiti dedicato fra l’altro al miglioramento continuo dell'efficacia e dell'appropriatezza delle cure.

[3]
Sicurezza: i problemi relativi alla sicurezza sono affrontati, oltre al D.lgs. 81/2008 in modo articolato, con l’Osservatorio Nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza in sanità, con il Sistema Nazionale delle Linee Guida, con la Commissione tecnica sul rischio clinico, col Gruppo di lavoro per il rischio clinico, col Gruppo di lavoro per la sicurezza dei pazienti e con la Legge 8 marzo, 2017, n.24 “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”.

[4]
Remunerazione: le prestazioni erogate in ambito SSN, sia pubbliche che private, fanno riferimento al Fondo Sanitario Nazionale e vengono remunerate con tariffa prefissata secondo il sistema DRG per i ricoveri/acuti, a giornata di degenza per i post acuti e in base a Nomenclatore Tariffario per le prestazioni ambulatoriali.

[5]
Dotazione quantitativa e qualitativa del personale impiegato: l’accreditamento istituzionale rilasciato dalle Regioni alle strutture pubbliche e private assicura che le prestazioni sanitarie si svolgano con personale posto in adeguate condizioni organizzative, di qualificazione e dotazione quantitativa. In altre parole organizzazione, consistenza e requisiti delle risorse umane sono garantite dal SSN

[6]
Gestione delle risorse umane: i requisiti minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private sono indicati dal DPR 14 gennaio 1997 che indica i “REQUISITI MINIMI ORGANIZZATIVI GENERALI” tra cui viene compresa la “gestione delle risorse umane”. Essa è relativa ad una serie di attività che non sono limitate ad organizzazione del lavoro e turnistica, bensì a reclutamento (concorsuale o di selezione) addestramento/formazione, valutazione delle performance, relazioni, retribuzione.

[7]
Era stata già nel lontano 1989, con sentenza n. 103 la Corte Costituzionale a richiamare l’attenzione sul tema della differenziazione di contratti nei confronti di analoghe mansioni professionali, pur nel rispetto della libertà imprenditoriale. Con tale sentenza, infatti, la Suprema Corte aveva sancito l’applicabilità del principio di parità di trattamento che si desume dalla lettura combinata degli articoli 3 e 41 della Costituzione, tanto da affermare che “... per tutte le parti, anche quelle sociali, vige il dovere di rispettare i precetti costituzionali. Essi assicurano, in via generale... la proporzionalità tra retribuzione e quantità e qualità di lavoro... e, in via più specifica, la pari dignità sociale anche dei lavoratori”

[8]
Consiglio di Stato – Ordinanza 23 febbraio 2021, n. 1574 Sezione III.

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