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Lunedì 15 NOVEMBRE 2021
Cara Adelina, anzi, carissima Alma…



Gentile Direttore,
avrei piacere di veder pubblicata su Qs questa mia lettera postuma ad Alma Sejdini.
Mi spiace, cara Alma Sejdini, che tu non possa leggere questa mia lettera. Apprendo solo oggi che, disperata, ti sei buttata dal Ponte Garibaldi di Roma lo scorso sabato.
 
Forse potranno leggertela gli Angeli, ammesso che qualcuno di loro si sia mosso dal vicino Castel Sant’Angelo per raccogliere dal Tevere il tuo spirito e trasportarlo in cielo. Ma la mia lettera non consola nessuno. Non c’è alcuna consolazione possibile per come sei morta.
 
Non conoscevo la tua storia prima di averla letta sui quotidiani, ma è come se l’avessi sempre saputa. Giovane donna sei fuggita verso l’Italia diversi anni or sono, per allontanarti da un Paese dove la tua vita posso immaginare fosse molto difficile. Hai attraversato l’Adriatico su un gommone, ma solo per finire nelle mani di persone che intendevano farti prostituire. Lo hanno fatto con te, così come lo hanno fatto con molte altre ragazze. Ti sei ribellata a questo terribile disegno: hai denunciato i violenti aguzzini agli organi italiani della Giustizia, hai testimoniato contro di loro, ne hai fatti arrestare una quarantina. Non so se tu sia finita sotto protezione.
 
Mi raccontano che hai chiesto per anni la cittadinanza italiana, ma non te l’hanno concessa. L’hai chiesta persino ai nostri Presidenti della Repubblica, a Napolitano e a Mattarella, ma è stato tutto inutile. Ti sei persino ammalata di un grave tumore al seno, ma questo non è bastato a ottenere la cittadinanza italiana. Poi ti hanno rilasciato l’ennesimo “permesso temporaneo di soggiorno” scrivendo che eri “albanese”. Ma tu non volevi più essere albanese. Non volevi davvero tornare in Albania, dove di sicuro ti attendeva la morte. Potevi essere uccisa anche in Italia, tanto è vero che avevi persino adottato un nome fittizio: Adelina e non più Alma.
 
Non sapevi se saresti sfuggita alla spietata vendetta dei tuoi aguzzini, ma speravi almeno che le istituzioni italiane, che avevi aiutato a sgominare un vergognoso e brutale traffico di essere umani, riconoscenti ti avrebbero protetta, concedendoti almeno la cittadinanza del nostro Paese. Sei andata a reclamarla a Roma. Sei andata personalmente a implorare davanti al Viminale: inascoltata ti sei data fuoco in quel luogo simbolo della nostra Repubblica. Per le ustioni sei stata ricoverata al Santo Spirito. Ma il tuo grido disperato non è stato udito da nessuno. Dimessa dall’ospedale sei tornata al Viminale, a implorare quello che ritenevi ti spettasse.
 
Quello che ogni uomo giusto ritiene ti spettasse. Alla tua implorazione hanno risposto con un “foglio di via e [col] divieto di fare ritorno sul territorio comunale di Roma per un anno. «Io che sono la legalità in persona vengo trattata come un criminale – avev[i] detto venerdì sera -. Devo andarmene entro domani»”.
 
E te ne sei andata, gettandoti dal Ponte Garibaldi, a pochissimi passi dal Ministero della Giustizia di via Arenula e dall’Ospedale Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina. Non distante c’è il Vaticano, c’è Castel Sant’Angelo. Ci saremmo aspettati che ti fosse dedicata una qualche “cura” fraterna, specie dopo quel grave gesto autolesivo che urlava la tua disperazione. Non sappiamo se questa “cura” tu l’abbia ricevuta dalla istituzione della salute che avrebbe dovuto fornirtela. Di sicuro per te non c’è stata né salute, né salvezza. Ci saremmo aspettati una qualche tutela da parte di quella istituzione della giustizia italiana che avrebbe potuto (a forse dovuto) fornirtela. Ma tu eri “albanese”, albanese forever.
 
Certo che eri “albanese”, carissima Alma, ma eri anche e rimarrai per sempre una mia sorella di spirito, come lo sono tutti coloro che vengono ignominiosamente trascurati da istituzioni distanti, distratte o addirittura assenti. Forse l’indignazione non serve, ma qualcosa nel cuore ancora mi ribolle, specie dopo avere lavorato per decenni per la salute e la giustizia di questo Paese.
 
Mario Iannucci
Psichiatra psicoanalista
Esperto di Salute Mentale applicata al Diritto

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