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Disclosure Code? È vera trasparenza? Ecco cosa ci disse all’epoca il presidente della Farmindustria Scaccabarozzi

di Cesare Fassari

27 FEB - Sono passati quasi tre anni dal varo del Disclosure Code di Farmindustria. Un'operazione che già all'epoca suscitò apprezzamento dagli addetti ma anche diversi interrogativi sull'effettiva fruibilità dei dati.
 
A pochi gioni dal varo dell'operazione (30 giugno 2016), che portò tutte le aziende aderenti a Farmindustria a rendere noti sui propri siti web i loro rapporti con medici e istituzioni sanitarie di qualsiasi natura, intervistammo il presidente di allora (e di oggi) Massimo Scaccabarozzi. Pensiamo sia utile riproporvi quella intervista vista l'attualità delle tematiche trattate come ci conferma l'odierno report di Gimbe.

 
Roma, 7 luglio 2016 - Il 30 giugno scorso, onorando l’impegno assunto con l’operazione Disclosure Code di Efpia (l’associazione europea delle aziende del farmaco) le aziende associate a Farmindustria hanno avviato la pubblicazione sui loro siti web dell’ammontare dei compensi erogati nel 2015 a medici e organizzazioni sanitarie (in questa dizione sono compresi ospedali, Asl, società scientifiche e di servizi e quant’altro).
 
Un’operazione presentata come azione di trasparenza e “passo epocale” per spazzare via pregiudizi e ombre nei rapporti tra aziende del farmaco e mondo sanitario. Le premesse, è indiscutibile, sono buone. Per la prima volta si potrà sapere quanti soldi prende il tal medico o la tale società scientifica (ma anche aziende di servizi congressuali o Ecm) e per fare cosa. Ma è veramente così?
 
Dalle prime letture dei vari dossier pubblicati sui siti aziendali la premessa ci è sembrato però sia stata onorata solo parzialmente.
 
Andiamo con ordine. Le aziende hanno effettivamente  reso noti i loro rapporti economici con medici e altri soggetti ma inserendoli in file non lavorabili, salvo eccezioni che al momento non abbiamo rilevato. In altre parole non si possono eseguire estrapolazioni ed operazioni di sintesi.
 
Non sono poi state rese note le causali delle erogazioni ma ci si è limitati a suddividere i finanziamenti tra donazioni e contributi, sponsorizzazioni eventi, spese di viaggio e ospitalità, spese per consulenza.
 
Abbiamo quindi solo un totale generico di erogazioni in denaro per singolo medico od organizzazione (in molti casi non figura neanche il totale complessivo erogato per azienda per le varie voci) che ci dà conto esclusivamente del dato contabile del singolo rapporto economico.
 
In sostanza le aziende hanno pubblicato una sorta di rendiconto con un taglio squisitamente amministrativo. Cioè senza “entrare nel merito” e senza quindi la possibilità, come del resto aveva temuto per primo nei mesi scorsi Carlo Cricelli della Simg, di capire perché e con quali finalità quei soldi sono stati erogati. Tant’è che il 30 giugno lo stesso Cricelli ribadiva che sarà la Simg stessa a pubblicare sul proprio sito “voce per voce, tutto quello che facciamo con i fondi che riceviamo: quanti convegni, quanta formazione. In questo modo si può realmente fare chiarezza su come vengono impiegati i soldi”.
 
Poi ci sono altri aspetti. I dati non sono aggregati per il complesso delle aziende e così non sapremo mai, a meno di non spulciare maniacalmente i circa 200 dossier di molte pagine ciascuno, se il tal medico o la tal organizzazione abbiano preso soldi da più di un’azienda.
 
In altri termini il rischio è “tanti dati, nessun dato”. Intendiamoci, considerando che le aziende non avevano alcun obbligo di legge a farlo, il fatto di avere scelto di rendere noti i loro rapporti economici con medici & C. gli fa onore. Ma l’aspettativa che la stessa Farmindustria ha creato sull’evento aveva suscitato ben altre attese.
 
Che l’operazione sia una cosa importante ed encomiabile, ma che per esserlo effettivamente debba essere effettivamente “accessibile” ed esaustiva, ne è del resto convinta anche la presidente della Commissione Sanità del Senato Emilia Grazia De Biasi, che martedì scorso ha partecipato, insieme ai colleghi della Commissione Industria, all’audizione del presidente Scaccabarozzi proprio sul Disclosure Code. “E' uno strumento importante”, ha detto De Biasi. Ma, ha aggiunto, “bisognerà vedere come sarà applicato, se sarà leggibile se si potranno trarre delle conclusioni. Se sono dati sparsi e non si capisce come metterli assieme è una cosa. Se invece, come auspico e credo, saranno dati organizzati, sarà più semplice trarne conseguenze. Speriamo si vada sempre più nella direzione di una reale leggibilità e facilità di accesso ai dati".
 
Insomma, si poteva fare di più, oppure ciò che è stato fatto da Farmindustria e dalle aziende associate era il massimo possibile in questa fase?
 
Lo abbiamo chiesto direttamente al presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi.
 
Presidente, il dato è tratto. Come da programma il 30 giugno sono stati messi on line i tabulati con i compensi erogati dalle aziende farmaceutiche a medici e organizzazioni sanitarie. Ma come le ho detto all’inizio di questa nostra conversazione molti dubbi sulla loro effettiva “fruibilità” restano. Che ne pensa?
Intanto vogliamo dire che il settore del farmaco è l’unico settore, a quanto mi risulta, e non parlo solo della sanità, ad aver deciso di fare una cosa del genere?
 
Non solo glielo riconosco, ma ritengo sia stata una scelta coraggiosa ed encomiabile. Ma i nostri dubbi restano…
Vorrei fosse chiara una cosa: con il Disclosure Code noi abbiamo deciso di mettere on line i dati relativi alle transazioni economiche tra singola azienda e singolo medico e singola organizzazione sanitaria. Lo scopo non era di fare ricerche o analisi particolari su questi dati. Chi avesse voglia di farle ora può. Fino a ieri no. E lo ribadisco, nessuna legge ci imponeva di rendere questi dati di dominio pubblico.
 
Resta il fatto che l’elaborazione di questi dati, anche solo per trarre il totale delle somme erogate da un’azienda per convegni o consulenze, richiede l’elaborazione manuale dei file perché in calce alle tabelle non ci sono neanche i totali…
Lo ripeto lo spirito dell’iniziativa non è quello di fare delle analisi particolari ma quello di mettere in chiaro che al medico x la tale azienda ha dato un determinato compenso come rimborso spese per la partecipazione ad un evento, che, si ricordi, sono sempre pre autorizzati da Aifa, o per una consulenza professionale ai nostri team di ricerca perché si ritiene che quel medico abbia le competenze giuste. Non è scopo di questo enorme lavoro quello di fare sintesi o estrapolazioni. Ciò, lo ripeto, è semmai compito o meglio, nelle possibilità di chi voglia farlo. Un giornale, un ente di ricerca, un parlamentare. Ma non è un nostro compito.
 
Possiamo immaginare però che nei prossimi anni, una volta avviata questa operazione, si possa contare su un maggiore dettaglio dei dati, ad esempio anche sulle branche mediche più interessate ai finanziamenti?
Certamente il Disclosure Code migliorerà nel tempo ma non penso diventerà qualcos’altro da quello che è. Ciò detto non escludo per l’appunto miglioramenti o ampliamenti delle informazioni ma mi consenta di ribadire che quello che abbiamo appena fatto è già di per sé una svolta epocale per il mondo del farmaco.
 
Farmindustria potrà essere maggiormente coinvolta in un’eventuale elaborazione?
Il Disclosure Code è un progetto di cui sono titolari e responsabili le singole aziende. Farmindustria, come altri soggetti, potrebbe fare anche lei delle eventuali elaborazioni sui dati ma al momento lo escluderei e in ogni caso la decisione spetterebbe comunque alle aziende. Non dimentichiamo poi che stiamo parlando di dati sensibili per l’utilizzo dei quali ci siamo attenuti alle indicazioni del Garante della privacy che sull’uso di dati personali relativi a transazioni economiche prevede giustamente norme di comportamento molto rigide.
 
Ma non pensa però che a questo punto chi potrebbe fare le spese di questa operazione possano essere alla fine i singoli medici che potrebbero ritrovarsi in prima pagina additati come una sorta di FarmaPaperoni per i compensi ricevuti?
Il rischio c’è. E lo abbiamo sempre saputo. Ma con i medici abbiamo condiviso un percorso di trasparenza che rivendico e al quale hanno aderito otto medici su dieci (per alcune aziende sono stati addirittura il 100% a dire sì) dandoci il nulla osta alla pubblicazione. Quei medici hanno detto sì perché per primi sanno che non c’è nulla da nascondere. Anzi sono convinto che il fatto di collaborare con un’azienda o di aver ricevuto da questa un sostegno alla loro formazione sia un elemento in qualche modo di valorizzazione per la loro professionalità e che come tale essi lo vivano.
 
Cesare Fassari

27 febbraio 2019
© Riproduzione riservata

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