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Il settore farmaceutico come volano di innovazione e crescita per il Sistema Paese


08 NOV - Analisi elaborata da Meridiano Sanità

Riconoscere al settore bio-farmaceutico il ruolo di comparto strategico per la crescita del Paese ed impostare in tal senso iniziative di policy integrate e di lungo periodo, evitando provvedimenti che incrementino il profilo di rischio del settore stesso; migliorare il coordinamento fra le diverse istituzioni ed Enti regolatori (Ministeri, AIFA, Regioni, Associazioni Industriali); perfezionare la certezza del diritto e ridurre i tempi della giustizia civile; promuovere l’educazione tecnico-scientifica, attraverso un sistema di borse di studio legate al merito; attivare un Tavolo di Lavoro tra industria, Ministero dello Sviluppo Economico e Ministero dell’Economia per progettare un sistema articolato di misure di incentivazione per la R&S e la produzione del settore bio-farmaceutico (ad esempio allineare il credito di imposta per gli investimenti in R&S con le best practice europee ed internazionali).
Favorire l’insediamento di imprese del settore bio-farmaceutico provenienti dall’estero attraverso opportuni incentivi; incoraggiare l’occupazione di personale altamente qualificato impegnato nella R&S;  incentivare le collaborazioni fra imprese, Università e Centri di ricerca; migliorare la collaborazione ex ante fra aziende farmaceutiche ed Enti di regolazione e technology assessment, ad esempio, attraverso l’utilizzo dello Scientific Advice, facilitando gli iter procedurali e contribuendo ad attenuare taluni rischi associati alla ricerca.
Ottimizzare il sistema di procedure e tempistiche relativo alle sperimentazioni cliniche, anche attraverso la valorizzazione delle best practice nazionali (Comitati Etici più efficienti) e lo studio di modelli internazionali di riferimento, per ridurre i tempi della burocrazia; introdurre una norma a sostegno della tutela brevettuale per contribuire a risolvere le anomalie della situazione italiana brevemente; migliorare l’attrattività del Sistema Italia per attirare investimenti in ricerca e sviluppo e produzione, attivando un percorso di comunicazione del sistema anche all’estero.
Queste le principali raccomandazioni emerse dalla VI^ edizione del Rapporto Meridiano Sanità, il think tank che si pone l’obiettivo di individuare azioni concrete per migliorare l’efficacia del sistema sanitario in Italia.
Il settore farmaceutico, fra i vari comparti, è tra i più inclini ad attivare un circuito innovativo virtuoso, con ricadute positive che si estendono all’economia nel suo complesso, ed è riconosciuto come strategico per diverse ragioni: è un comparto ad alta crescita, che genera occupazione qualificata (l’89% degli addetti sono laureati o diplomati, con retribuzioni più elevate della media dell’industria), dà vita a nuove tecnologie pervasive, è un settore globalizzato, ha un impatto fondamentale che riguarda la relazione positiva tra salute e crescita economica, ha una elevatissima rilevanza sociale. A livello internazionale l’Healthcare continua ad incrementare i propri investimenti in Ricerca e Sviluppo anche all’interno di un quadro economico incerto: nel 2010 l’aumento è stato del 9% rispetto all’anno precedente.
Se, sul fronte dell’innovazione, l’ultimo Rapporto European Innovation Scoreboard colloca l’Italia tra gli innovatori “moderati”, al di sotto della media europea (la spesa in R&D in Italia è pari all’1,2% del PIL), soprattutto per la debolezza dei progressi registrati nelle aree dello sviluppo del capitale umano, dei brevetti, del venture capital e della spesa in R&D, da parte delle imprese, è opportuno sottolineare, in questo contesto, che il settore farmaceutico è al 2° posto dopo “aeronatutica e mezzi di trasporto” in termini di investimenti in R&D (con il 17% - includendo anche le imprese biotech - del totale dell’impresa manifatturiera), finanziati per oltre il 95% dalle imprese, rivelandosi, in prospettiva, un settore chiave per lo sviluppo del nostro Paese.
Per l’Italia, dunque, l’healthcare rappresenta un importante motore d’innovazione, occupazione e crescita economica: apporta un contributo diretto e indotto al Paese di 12,5 miliardi di euro; conta circa 66.700 addetti (130 mila se si considera anche l’indotto) e 6.500 ricercatori (9,1% del totale, rispetto all’1,6% della media delle altre imprese). La quota export, in particolare, ha registrato una crescita significativa, passando dal 10% del 1991 all’attuale 56%. Tra i Paesi UE l’Italia è seconda per numero di imprese (prima per numero di PMI) e terza per addetti.
Secondo molti esperti, il settore farmaceutico costituisce, insieme alla moda e alla meccanica strumentale, un ambito nel quale è ancora possibile ambire a posizioni di leadership a livello globale, purchè si riescano ad attrarre imprese di grandi dimensioni e innovative da tutto il mondo e si capitalizzi al massimo il patrimonio di quelle già oggi presenti, irrobustendo il sistema sia sotto il profilo dimensionale, che della capacità di innovazione.
Per far crescere l’intero sistema occorre far leva sulle imprese che investono, concentrando le risorse con meccanismi di incentivo. Numerose sono le iniziative già attuate, ad esempio, il lancio del Fondo Nazionale per l’Innovazione, che finanzia progetti innovativi legati ai brevetti, le misure per il rientro dei talenti, il rinnovamento nel settore della Pubblica Amministrazione. Tuttavia il nostro Paese può e deve fare di più. Emergono, infatti, alcune considerazioni di contesto e specifiche del settore, che determinano una situazione di scarsa attrattività dell’Italia per le imprese italiane ed estere.
In base alle analisi condotte da Meridiano Sanità, i principali fattori che ancora ostacolano lo sviluppo del settore biofarmaceutico italiano, possono essere sintetizzati nella tutela della proprietà intellettuale (requisito essenziale per la ricerca e l’innovazione in campo farmaceutico), nell’incertezza del contesto normativo (prezzo e rimborsabilità), nell’insufficiente sostegno alla ricerca, nella frammentazione e disomogeneità delle iniziative a favore del settore dovute alla mancanza di scelte strategiche chiare, integrate e di lungo periodo.
Alla durata del ciclo della R&D di un nuovo farmaco, per cui servono in media da 10 a 15 anni, corrisponde un’espansione dell’esposizione al rischio per le aziende che fanno innovazione. Dunque, Paesi che presentano contesti particolarmente volatili a livello normativo e di policy, riducono drasticamente la loro attrattività per gli insediamenti di ricerca e produttivi, soprattutto da parte delle imprese multinazionali.
Tali imprese rappresentano, comunque, un importante catalizzatore di risorse, competenze ed esperienze, valorizzando il capitale umano e fornendo utili stimoli anche alle imprese locali di minori dimensioni.
Per evitare che il nostro Paese depauperi un importante patrimonio di imprese bio-farmaceutiche e il loro indotto  e quindi perda le opportunità derivanti dagli sviluppi futuri (ad esempio nelle biotecnologie, nella genomica, ecc.), e soprattutto per attrarre investimenti in R&D è importante fare subito scelte chiare e mantenerle nel tempo. Alcune iniziative come la recente istituzione di un credito d’imposta per la ricerca scientifica e per l’industria farmaceutica, gli accordi di programma per incentivare gli investimenti delle imprese in R&D e produzione, la riforma della mediazione nel campo della giustizia civile, vanno certamente nella giusta direzione. E’, tuttavia, fondamentale dare stabilità e certezza di applicazione a questi provvedimenti.
La Sanità nei prossimi anni, si troverà, inoltre, a fronteggiare uno scenario assai complesso: il progressivo invecchiamento della popolazione, il conseguente incremento delle patologie croniche e ad elevato impatto della spesa sanitaria pubblica impongono un ripensamento dell’offerta sanitaria che deve rispondere a criteri di efficacia ed efficienza e nello stesso tempo richiede all’industria farmaceutica di mantenere un forte impulso innovativo.
 

08 novembre 2011
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