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Bonaccini: “Governo riconosca sforzi fatti fino ad oggi”


30 GIU - Da molti anni siamo abituati a parlare dei temi che riguardano la sanità facendo necessariamente riferimento al dato economico della spesa pubblica. E’ un fatto dovuto alla crescita della spesa sanitaria, ai diversi interventi delle precedenti finanziarie e alla netta sensazione che anche in sanità, come nel resto della pubblica amministrazione, esistano margini per una riduzione delle uscite e per azioni più decise per contrastare gli sprechi e le inefficienze.
 
La legge di stabilità 2016 rappresenta un’inversione di rotta perché in un momento comunque delicato per le finanze pubbliche non rinuncia ad incrementare il Fondo sanitario nazionale per l’anno corrente, ma soprattutto perché realizza una rivoluzione silenziosa proprio  nei meccanismi di governo della spesa pubblica.
 
Il tema dei Piani di rientro è affrontato infatti con una logica e in una prospettiva nuove. Da un lato si continua a tenere sotto osservazione i conti regionali e non si abbandona l’impostazione basata sui Piani di rientro e sui ruoli commissariali con un confronto anche serrato ai Tavoli tecnici istituiti presso il Ministero dell’economia.
 
Una strategia che ha consentito di monitorare e di controllare la spesa sanitaria e il trend del disavanzo, come unanimemente riconosciuto da diversi organismi, non ultima la Corte dei conti. Dall’altro lato con la legge di stabilità 2016 l’ottica si sposta di più dalla dimensione regionale a quella aziendale: un approccio che restituisce alla Regione una forte responsabilità sul piano che le è più proprio, quello della programmazione e dell’indirizzo.
 
Le Regioni dovranno entro il 30 giugno individuare le aziende ospedaliere, quelle universitarie, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e gli altri Enti che forniscono prestazioni di ricovero e cura (e dal 2017 tutte le Asl) che dovessero presentare uno scostamento superiore al 10 per cento fra i costi  e i ricavi o che, in termini assoluti, superi i 10 milioni di euro, o che non rispettino i parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure.
 
Tra poco dovremo lavorare con i Ministeri della salute e dell’economia sulla metodologia per valutare tali scostamenti che sarà poi recepita in un decreto, così come entro il 30 giugno un’analoga concertazione dovrà riguardare i criteri di valutazione e le modalità di calcolo che le Regioni dovranno seguire per individuare aziende, presidi ed enti da sottoporre al piano di rientro.
 
A quel punto quegli enti che risulteranno in disavanzo dovranno presentare un Piano di rientro (da realizzarsi in meno di tre anni) per riportare il sistema aziendale in equilibrio di bilancio. Un percorso la cui adeguatezza sarà poi valutata dalla Regione e diventerà  quindi immediatamente esecutiva.
 
Non sfugge dunque il rovesciamento di fronte che porta le Regioni a giocare un ruolo diverso: da soggetto “controllato” a soggetto “controllore” e per ciò stesso ancora più responsabili delle proprie scelte di programmazione, anche perché occorrerà iscrivere nei bilanci regionali una quota di fondo sanitario corrispondente proprio agli scostamenti negativi riscontrati nei Piani di rientro aziendali.
 
Le Regioni avranno però in mano uno strumento formidabile contro ogni genere di pressione politica perché i contratti dei futuri Direttori generali dovranno prevedere la decadenza automatica nel caso in cui la prevista verifica annuale abbia dato esito negativo.
 
E’ chiaro che occorre essere protagonisti di una nuova stagione. Il Fondo sanitario 2016 ha avuto un reale incremento rispetto al 2015 e le Regioni devono mettersi in gioco e dimostrare che le risorse pubbliche destinate alla sanità possono continuare a crescere stabilmente.
 
Dobbiamo metterci la faccia e dimostrare che le spese per la sanità, sul medio e lungo periodo, possono persino rivelarsi come un investimento per migliorare la qualità della vita e ridare fiducia e sviluppo ad un settore che comunque è fra i migliori in Europa.
Ci aspetta un lavoro faticoso e meticoloso, in cui privilegiare trasparenza, solidarietà ed efficienza.
 
Mi soffermo solo su sei direttrici: mobilità sanitaria, appropriatezza, livelli essenziali di assistenza, revisione dei criteri di riparto, investimenti, efficacia della governance.
1) In Italia esiste un divario strutturale che rende purtroppo il Servizio sanitario profondamente differente fra una regione e l’altra, ma anche all’interno di una stessa area fra una zona ed un’altra. Dobbiamo stimolare il sistema, anche attraverso meccanismi di premialità regionale o accordi interregionali, affinché le eccellenze di ciascuna Regione (e ce ne sono di importanti in tutta Italia, anche nel Mezzogiorno) siano riconosciute prima di tutto dai cittadini. Occorre un Piano nazionale per abbattere la mobilità sanitaria che talvolta pregiudica in molte regioni le chance di recupero finanziario e le possibilità di colmare il divario. Ogni viaggio della speranza in più, verso altre regioni o peggio verso l’estero, è una sconfitta del Servizio sanitario nazionale. Se poi questi viaggi cominciano a riguardare non più l’alta specialità, ma anche attività routinarie allora vuol dire che ci troviamo di fronte ad aspetti patologici del sistema che vanno affrontati con decisione.
 
2) Con il Ministro Lorenzin siamo assolutamente d’accordo sul fatto che  vada chiusa rapidamente la partita dell’aggiornamento e della revisione dei Livelli essenziali di assistenza. E’ un terreno delicato che tocca da vicino molti aspetti della sanità italiana ed in cui sarà importante un’azione di governance condivisa. Occorreranno, con tutta probabilità, scelte nette e responsabili che dovranno essere spiegate ai cittadini e una componente essenziale sarà rappresentata proprio dalla concordia istituzionale.
 
 
3) Dobbiamo proseguire il percorso relativo all’appropriatezza. Ogni esame inutile pregiudica il diritto di un altro e allunga le liste di attesa; ogni farmaco prescritto senza che il paziente ne abbia effettivamente bisogno è un ostacolo lungo la strada della razionalizzazione della spesa; ogni prestazione inappropriata è un rischio per la salute del paziente; ogni acquisto errato sul piano dei presidi è un piccolo attentato alla qualità del servizio sanitario. Ecco perché ritengo che quella dell’appropriatezza sia una battaglia di civiltà da portare avanti con il concorso di tutti: dalle istituzioni regionali a quelle centrali, dai medici ai cittadini stessi.
 
4) Alla vigilia di ogni riparto annuale delle risorse destinate al servizio sanitario, nella Conferenza delle Regioni (ancor prima che ne assumessi la presidenza) i presidenti del Mezzogiorno hanno chiesto la revisione dei criteri di riparto. E’ un’esigenza che – accanto ad una maggiore valorizzazione dei costi standard - dobbiamo cominciare a prendere seriamente in considerazione, magari anche attraverso quote premiali che riconoscano, anno dopo anno, le migliori performance per il recupero del divario. Bisogna mettere in moto il sistema non comprimendo le eccellenze, ma portando verso l’alto i parametri qualitativi laddove questi fatichino anche solo a rispondere ai Livelli essenziali di assistenza. Un miglioramento della sanità del Mezzogiorno è la migliore assicurazione per ulteriori sviluppi delle eccellenze in ogni regione del Paese.
 
 
5) Bisogna ridare “ossigeno” agli investimenti per l’edilizia sanitaria. Quest’anno per rispondere alle esigenze poste dalla legge di stabilità abbiamo scelto di tenere a freno questa voce, ma occorre tornare a ragionarci sopra. Sono troppi i complessi ospedalieri e le strutture sanitarie vetusti e non rispondenti agli standard qualitativi degni di una sanità moderna e competitiva. Occorre, fra l’altro, tornare ad investire per l’ammodernamento tecnologico e la sanità digitale. Possiamo farlo insieme con il Governo magari tornando con forza ed autorevolezza a riproporre in Europa l’esigenza di meccanismi che escludano determinati investimenti, come ad esempio quelli per il servizio sanitario, dai lacci stringenti dei patti di stabilità.
 
6) Non è più rinviabile un ragionamento di sistema sulla governance della sanità, dove sia più chiaro chi fa e che cosa fra i diversi Enti, non rinunciando a sinergie e semplificazioni. Sotto questo profilo, com’è noto, le Regioni hanno più volte chiesto al Governo e al Parlamento una riforma delle agenzie, in particolare dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas) e dello stesso Istituto Superiore di Sanità. Una rivisitazione che diventa importante anche alla luce di un possibile riassetto delle competenze dopo l’approvazione della Riforma della Costituzione.
 
Un’ultima riflessione riguarda proprio le Regioni in Piano di rientro. Molte hanno realizzato gli obiettivi che erano stati prefissati, altre sono ormai vicine al traguardo. Dobbiamo velocizzare gli iter per uscire dalle fasi di commissariamento. Sono fra coloro che considerano necessario, in caso di inerzia, l’esercizio dei poteri sostituitivi, ma sono anche fra quelli che mal sopportano l’immobilismo burocratico e l’eccesso di formalismi quando si tratta di imboccare rapidamente una strada che consente di uscire dalla crisi. Per questo faccio appello al Governo perché riconosca pubblicamente gli sforzi fatti finora e organizzi la fase di crisis exit strategy.
 
Dobbiamo insomma rendere agevole l’uscita dai Piani di rientro, considerandola non tanto il successo di una singola regione, ma una nota positiva del sistema Italia.
 
Stefano Bonaccini
Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome

30 giugno 2016
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