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La lunga marcia degli infermieri e i tanti ostacoli ancora da superare

di Saverio Proia

I progressi raggiunti dalla professione infermieirstica sono indubbi ma ancora oggi siamo di fronte a inaccettabili sperequazioni rispetto ai medici. Mi riferisco in particolare alla formazione, alla carriera professionale, alla specificità contrattuale e in generale alla negazione, nei fatti, di un vero riconoscimento di una loro valenza professionale autonoma e distinta

25 GEN - Nei precedenti articoli avevo evidenziato alcuni suggerimenti a Governo, Parlamento e Regioni al fine di poter fare di più per il personale del SSN, con questo articolo mi permetto alcuni suggerimenti da proporre per quanto riguarda gli infermieri e con loro le altre professioni ricomprese nella legge 251/00.
 
Certamente rispetto al recente passato sono stati fatti dei progressi, ad iniziare dal riconoscimento pubblico e mediatico del ruolo, non si parla più solo di medici ma sempre di medici e infermieri (anche se con più difficoltà si evidenzia il ruolo delle altre professioni sanitarie e sociosanitarie) e sono state approvate normative a loro favore, così come nel PNNR forte e strategico è il riconoscimento dell’agire infermieristico.
 
Ma mi si consenta di evidenziare che comunque rimane una distinzione sostanziale che, forse inconsapevolmente, usando terminologie in uso nel precedente secolo ricorda una differenza di classe e quindi di attenzione reale politica tra le risposte fornite ai medici e alle altre professioni della dirigenza sanitaria e a quelle fornite alle altre professioni del comparto.
 
Ne è prova il recente manifesto della FNOPI con cui si evidenziava il profondo iato tra le solenni parole di riconoscimento dell’eroico ruolo degli infermieri nella vicenda pandemica e gli scarsi ed inadeguati riconoscimenti nei fatti sia economici che normativi.
 
Certo sembrava che sia con la conclusione del processo di riforma delle professioni infermieristiche, avvenuto in virtù della legge 3/18 con l’evoluzione da collegio ad ordine delle professioni infermieristiche, (che con i suoi 450.000 iscritti è il più grande ordine professionale in Italia) e, soprattutto con il ruolo riconosciuto delle infermiere e degli infermieri nella vicenda del COVID-19 si fosse affermata la consapevolezza che le professioni infermieristiche fossero entrate a pieno titolo e con pari dignità, anche nella denominazione della rappresentanza istituzionale, sia nel “salotto buono” delle professioni liberali che in quello della politica che decide.
 
Ma quella fase è durata poco, l’illusione è finita presto e si è avviata una fase di “normalizzazione, nella quale si è ricominciato a dire di no alle richieste delle professioni infermieristiche e, di conseguenza, anche alle altre professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione, della prevenzione alla professione di ostetrica, mentre avanzava il riconoscimento sostanziale agli altri professionisti della salute sinora anche essi figli di un dio minore come gli assistenti sociali, gli operatori sociosanitari e soprattutto gli psicologi che dalle retrovie venivano promossi nelle prime file della lotta al COVID nell’avvio dell’attuazione della definizione di salute dell’OMS che non è assenza di malattia ma è benessere biopsicosociale…un pochino in ritardo dalla sua proclamazione e dopo decenni dalla targa esposta all’ingresso del Ministero della Salute con cui si declamava tale concetto innovativo e universale.
 
Certamente è stato quanto mai apprezzabile, sia per gli interessati che per il migliore funzionamento del SSN, quanto è stato realizzato per i medici e per le altre professioni della dirigenza sanitaria, anche se ancora insufficiente, dal finanziamento aumentato del numero messo a disposizione di borse di studio, retribuite, per le specializzazioni mediche, nell’ottica di un superamento progressivo del c.d. imbuto formativo, al permettere le assunzioni nella dirigenza di medici specializzandi sin dal terzo anno di corso, all’aumento economico, da subito nella busta paga del gennaio scorso, dell’indennità di esclusività alla dirigenza medica e sanitaria, senza legarlo al rinnovo contrattuale come è avvenuto per il ripristino dell’indennità infermieristica affidato invece al rinnovo del contratto nazionale, sino alla trasformazione epocale e realizzata in pochissimo tempo del rapporto del medico di medicina generale con il recente accordo tra le parti con cui si avvia l’attuazione reale del Decreto Balduzzi e con esso delle scelte strategiche del PNRR di ricostruzione di una diversa e più incisiva per la tutela della salute individuale e collettiva medicina e sanità territoriale.
 
Nel catalogo esposto mi sarò dimenticato qualcosa ma basta per fare il parallelo con le risposte non date alle infermiere ed agli infermieri.
 
Del resto è vero che il PNRR, in buona parte, dia risposte ad un ruolo diverso degli infermieri, dall’infermiere di famiglia/comunità all’ospedale di comunità a gestione infermieristica, per esempio, ma non trovo ancora risposte conseguenti e concretizzazione immediata.
 
Anzi partirei da questo per evidenziare quanto tempo si è perso: la politica ha riconosciuto sin dall’emanazione dell’ultimo Patto per la salute e oggi nel PNNR che l’infermiere di famiglia/comunità è uno degli assi strategici fondamentali, discontinui, innovativi e irrinunciabili per la ricostruzione ed il potenziamento della sanità territoriale: uno dei salvatori della Patria, quindi, un infermiere con una esperienza professionale consolidata ed una formazione specifica post-laurea in grado di svolgere competenze più complesse e specialistiche diverse dall’infermiere generalista cioè un infermiere specialista (alla peggio esperto) come definito dall’articolo 6 della legge 43/06 e recepito dall’ultimo CCNL del personale del comparto sanità.
 
Eppure in uno dei tanti decreti legge anti Covid è stata finanziata l’assunzione di 9.000 infermieri di famiglia/comunità (mi dicono che forse ne siano stati assunti 3.000) che non avessero un rapporto di lavoro in essere e retribuiti a quota oraria cioè l’esatto contrario di quanto ho sopraddetto e il contrario della logica di una buona amministrazione sanitaria che, invece, avrebbe dovuto assumere nuovi infermieri per colmare le ultra carenti dotazioni organiche e finanziare il numero adeguato di incarichi di infermiere specialista/esperto di infermiere di famiglia/comunità tra il personale in servizio con esperienza verificabile e con formazione post-laurea e in assenza di essa incentivarne la formazione specifica (del resto anche le recenti iniziative del Ministro Brunetta sull’incentivare la formazione dei pubblici dipendenti vanno in questa direzione).
 
Così come ancora a livello di Ministero della Salute e Regioni, si svolgono riunioni per definire cosa fa l’infermiere di famiglia/comunità, non con la stessa rapidità con la quale si è innovato, al meglio, il rapporto di lavoro del medico di famiglia nel recente rinnovo della loro ACN…basterebbe votare in sede deliberante nelle competenti commissioni parlamentari un testo unificato dei due disegni di legge depositati e la Nazione ve ne sarà grata!
 
Ottima, anche se come ho già scritto si può fare di più, l’iniziativa governativa e parlamentare per superare la grave carenza di medici specialisti ma altrettanto e più numerosa e quella degli infermieri ma anche di altri profili delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica, carenza che diventa più acuta in considerazione dell’attuazione del PNRR e del mutato quadro epidemiologico e demografico del Paese.
 
Ma a tutt’oggi non è stata avviata una procedura quanto mai rapida ed efficace dal Governo, nonostante che in Parlamento ci siano proposte di legge depositate in tal senso, per risolvere il problema di come adeguare l’iter formativo delle professioni sanitarie infermieristiche nonché delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica all’evoluzione scientifica, tecnologica e ai nuovi bisogni sanitari derivanti dal mutato quadro epidemiologico e demografico acuito dall’attuale fase pandemica.
 
Mentre sarebbe quanto mai necessario avviare a soluzione tale problema completando il processo che ha portato la formazione di tali professioni a livello universitario prevedendo per alcune (infermiere, ostetrica, logopedista, fisioterapista, per esempio, ma non solo) il superamento della formazione solo della laurea triennale professionalizzante ma in particolare prevedendo che l’attuale laurea magistrale non sia più indirizzata alle funzioni gestionali e didattiche ma sia anche realmente professionalizzante ulteriormente in più aree specialistiche anche secondo le indicazioni europee ad iniziare dalla professione di infermiere, il che vuol significare anche il superamento almeno parziale per queste professioni della laurea magistrale per area.
 
Così come è necessario prevedere come per le altre lauree percorsi universitari post-laurea in master di secondo livello, dottorato di ricerca nonché scuole di specializzazione.
 
Per evidenziare la specificità delle discipline infermieristiche come delle altre professioni sarebbe quanto mai necessario prevedere per le discipline professionalizzanti dei loro corsi di laurea all’interno dell’Elenco dei settori scientifico-disciplinari specifici raggruppamenti diversi e autonomi così come sarebbe necessario istituire la Facoltà di scienze infermieristiche e dei relativi specifici dipartimenti e in analogia per le altre aree professionali.
 
Una riforma così profonda non potrebbe che essere il frutto di una concertazione, condivisa e compresa da parte della parte pubblica composta dai Ministeri competenti, dalle Regioni e dalle Federazioni degli ordini interessati anche con la parte che li rappresenta nel mondo del lavoro reale, dipendente sia pubblico che privato o libero professionale in quanto con tale evoluzione si modificherebbe l’organizzazione del lavoro nonché l’impianto contrattuale.
 
Nel frattempo non mi pare che si investa adeguatamente (la carenza attuale e futura degli infermieri è altrettanto grave come quella dei medici specialisti) nella formazione di base infermieristica nonostante che quest’anno ci sia stato un incremento delle domande infatti secondo il consueto Report di Angelo Mastrillo, segretario aggiunto della Conferenza nazionale dei corsi di laurea delle professioni sanitarie, per l’anno accademico 2021-2022, a fronte di 17.658 posti messi a bando nelle università hanno fatto domanda 28.694 aspiranti, quindi per le giovani generazioni, nonostante tutto la professione infermieristica è ancora attraente…forse perché in Europa i nostri neolaureati sono apprezzati per la loro formazione e sono più remunerati e valorizzati che in Patria…
 
È vero che le Regioni avevano chiesto almeno 23.719 posti per quest’anno e il PD aveva presentato un emendamento, non accolto, per aumentare i posti disponibili per recepire le aspettative delle giovani generazioni ma dal Governo, così disponibile per l’aumento dei posti nelle specializzazioni mediche non c’è stata altrettanta disponibilità.
 
Eppure sarebbe bastato valorizzare ed incentivare la capacità formativa del SSN nelle Aziende Sanitarie ed IRCSS sedi di corso di laurea per infermieri in base ai protocolli con gli Atenei, ribaltando il concetto che la formazione per il SSN non è un costo che sopportano in sedi e personale messo a disposizione ma un valore aggiunto in virtù del principio fondante dello stesso per cui il SSN eroga prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione ma svolge anche attività di ricerca sanitaria e di didattica di base e di specializzazione delle professioni sanitarie ritornando ai contenuti propri dell’articolo 6 del dlgs 502/92.
 
Infatti, lo studente infermiere, specie nelle sue attività di tirocinio, è una ricchezza professionalizzante ed innovativa nell’organizzazione del lavoro in sanità non un peso e in quest’ottica è quanto mai strano che il Lazio, che ha meno della metà della popolazione della Lombardia, riesca a formare quasi il doppio degli studenti in infermieristica di quanti ne formano nella stessa Lombardia…caso di scuola da studiare…
 
Sarebbe, quindi, dovere della Repubblica investire nella formazione infermieristica incentivando, anche economicamente gli Atenei ma soprattutto le Aziende sanitarie, sedi di corso di laurea, riconoscendo pari diritti e doveri tra docenti dipendenti dagli Atenei e docenti dei corsi di laurea dipendenti delle aziende sanitarie, che poi sono la stragrande maggioranza, applicando loro anche l’incarico di funzione previsto dal CCNL, senza, ovviamente, considerare questo in alternativa all’aumento, giusto e dovuto, di assuzioni di ricercatore e professore dipendenti universitari il cui numero è vergognosamente esiguo rispetto agli altri colleghi di altri corsi di laurea in primis quelli in medicina e chirurgia, in tal senso è stato già depositato al Senato uno specifico disegno di legge…basterebbe approvarlo o inserirlo in uno dei tanti decreti d’urgenza…
 
Così come sarebbe quanto mai opportuno che le Aziende sanitarie si avvalessero del previsto strumento contrattuale previsto ma pochissimo utilizzato che prevede la possibilità di stipulare contratti di formazione lavoro con parte dei propri neolaureati infermieri, ricordando che così si potrebbero assumere da subito infermieri che già conoscono l’organizzazione del lavoro della propria azienda e che, dopo tre anni di positivo e verificato lavoro, possono essere stabilizzati…una fidelizzazione quanto mai positiva sì ma anche un valore aggiunto per le stesse Aziende sanitarie.
 
Da quando mi occupo in vari incarichi di infermieri la prima cosa che ho sentito affermare è che un infermiere come viene assunto così andrà in pensione, senza possibilità di una carriera professionale a meno che non scelga la carriera gestionale ovvero quella, ovviamente ridotta nel numero, dei quadri intermedi e dirigenziale.
 
Dopo sforzi titanici, pensavo, da inguaribile ottimista o da visionario folle, che quest’affermazione nefasta potesse essere avviata ad archiviazione con la conquista degli incarichi di infermiere esperto e infermiere specialista nel vigente CCNL ma, purtroppo, salvo pochi casi, questa innovazione discontinua e riformatrice è stata colpevolmente disattesa nonostante che in molti casi vi siano infermieri che già, anche a seguito di formazione post laurea sia regionale o universitaria, svolgono quelle competenze complesse e specialistiche diverse dal profilo professionale di appartenenza come recita il CCNL.
 
Certo è vero che i fondi contrattuali aziendali sono quello che sono, ma sarebbe stato un principio di buona amministrazione per Regioni e Governo prevedere un finanziamento ad hoc perché le competenze avanzate e specialistiche infermieristiche non sono un costo ma un investimento che non solo valorizzano la spesa sanitaria ma nel breve periodo la qualificano e nel medio la riducono.
 
Questi infermieri esperti e specialisti a cui è negato il riconoscimento contrattuale non sono fantasmi bensì sono reali nelle ambulanze infermieristiche, nei DEA che hanno attivato il See and treat o il fast track come prevede lo specifico Accordo Stato Regioni, nelle terapie intensive, nelle camere operatorie, nei reparti ospedalieri, negli hospices, nel territorio ad iniziare dagli infermieri di famiglia/comunità…e di tanti ancora ce ne sarebbe bisogno e sarebbe suicida se il prossimo rinnovo contrattuale non solo non confermasse la scelta ma la migliorasse estendendone la potenzialità innovatrice.
 
Mi ricordo sempre quanto scrisse Giovanni Berlinguer nella prefazione al libro che racchiudeva la “Bad Godesberg” della CGIL sulla questione infermieristica” nel lontano 1987: “ …La tesi più aberrante fu quella dell’operatore unico discutibile in genere perché livellatrice delle qualità, delle giuste ambizioni, e dei meriti, retrograda perché sopraggiunta proprio nel periodo in cui le attività di assistenza e di laboratorio si andavano maggiormente specializzando. Questo seminario (e l’altro che l’aveva preceduto) mostrerà ai lettori, quanto, come, in che direzione si è corretto l’orientamento. Le relazioni sono spesso di provenienza esterna al sindacato, ma interna a preziose esperienze italiane e straniere. La tendenza è verso l’omologazione, resa anche necessaria dalle norme comunitarie e dalla prevista mobilità, da un paese all’altro, con le altre nazioni dell’Europa occidentale. Le proposte (vedi per es. la relazione di Saverio Proia) mirano a costruire profili per aree specializzate e rivalutare le funzioni di direzione…” (tratto da “Evoluzione della professione infermieristica. Atti del seminario della Federazione Lavoratori della Funzione Pubblica CGIL”, Franco Angeli Editore).
 
Appunto abbiamo rivalutato a 360 gradi la funzione di direzione infermieristica e si potrebbe fare di più e meglio come insegna la Regione Emilia Romagna e non abbiamo rivalutato ancora adeguatamente le funzioni specialistiche dal 1987 ad oggi (almeno prima del 1987 nel contratto degli ospedalieri un riconoscimento almeno per alcune specializzazioni infermieristiche di camera operatoria e di terapia intensiva era previsto)…lo so che riconoscere normativamente ed economicamente le specializzazioni infermieristiche significherebbe riconoscere che la professione infermieristica è una professione intellettuale complessa ed articolata e come tale non può essere unica e polivalente ma non può che prevedere, come ogni professione percorsi specialistici nella formazione e nelle conseguenti competenze professionali e per questo ha trovato tanti negazionisti di questo concetto quanto mai ovvio e banale ma per essi foriero di loro presunta e non dimostrabile instabilità professionale.
 
Come già ho affermato è stato più facile portare la formazione infermieristica all’università e creare la dirigenza infermieristica che veder riconosciute realmente le specializzazioni infermieristiche, la cui negazione è un atto nefasto e negativo nei confronti del SSN che non è messo in grado di fornire prestazioni sanitarie adeguate ai vecchi e nuovi bisogni di salute e cioè è più grave che nel non riconoscere la carriera professionale agli infermieri.
 
Delusione sembrerebbe venire anche dal rinnovo contrattuale in alcuni proclami, rinnovo che, però è all’inizio e siamo in presenza solo di alcune bozze di parte pubblica e quindi non può essere espresso un giudizio completo; da qualche parte si è parlato di contratto separato degli infermieri; ricordo a me stesso che non esiste neanche più un contratto separato dei medici i quali, invece fanno parte di un’unica area negoziale dirigenziale insieme ai dirigenti delle aree infermieristiche-ostetrica, tecnico-sanitaria, della riabilitazione, della prevenzione ed assistenti sociale nonché dirigenti odontoiatri, veterinari, farmacisti, psicologi, biologi chimici, fisici e, se non cambierà la norma in un prossimo futuro, anche dei dirigenti professionali, tecnici ed amministrativi.
 
Pertanto parlare di contratto separato degli infermieri è fuorviante visto che tra l’altro sono la stragrande maggioranza della categoria e con le altre professioni sanitarie sono la quasi totalità e quindi mi auspicherei che il rinnovo contrattuale declini maggiormente e in prevalenza i concetti, il sapere e le aspettative e le necessità degli infermieri e con essi degli altri professionisti sanitari molto di più di quanto si è fatto sinora…casomai di una specifica sezione contrattuale avrebbero bisogno i lavoratori amministrativi e tecnici che son la minoranza invece di chi è la maggioranza…
 
Certo questo è a legislazione vigente perché si suole affermare che l’ottimo è nemico del buono o il meglio è nemico del bene ma per un ottimista inguaribile/visionario folle, come più volte ho scritto su QS, l’ottimo e il meglio non potrebbero che essere il riconoscimento per il personale medico e sanitario di una categoria speciale con un proprio contratto quadro di filiera nel quale far confluire tutti i rapporti di lavoro in essere in sanità….ma ci vorrebbe ancora più coraggio riformatore da parte di Governo, Parlamento e Regioni ma anche da parte dei sindacati anche se qualche sindacato e qualche Confederazione sindacale lo ha nel tempo proposto…un’altra visione che potrebbe divenire realtà? Hai visto mai…
 
Infine non per ultima di importanza, tutt’altro, è per me non solo una questione di costituzionalità ma con essa si eguagliano nei diritti e nei doveri come nelle aspettative le professioni infermieristiche e con esse le altre professioni di cui alla legge 251/00 alle altre professioni sanitarie della dirigenza medica e sanitaria e cioè il riconoscimento all’esercizio della libera professione agli infermieri e agli altri professionisti sanitari del comparto dipendenti del SSN nelle modalità riconosciute ai dirigenti medici e sanitari; mi pare che su questo riconoscimento su QS ho scritto abbastanza e quindi non vorrei tediare il lettore, ricordo solo che autorevoli parlamentari dell’attuale maggioranza, non solo tra le file del PD ma uno è anche a firma dell’attuale Sottosegretario alla salute Sileri quand’era Presidente della Commissione Sanità del Senato e non mi pare che l’abbia ritirato, hanno presentato specifici disegni di legge così come più volte sono stati presentati emendamenti in tal senso, di cui uno a firma dell’onorevole Elena Carnevali prima di essere bocciato dal Governo aveva ottenuto un ampio consenso in Parlamento e tra le rappresentanze professionali e sindacali.
 
Si lo so che sull’onda della tragedia pandemica qualche avanzamento in tal senso è stato fatto ma più che il riconoscimento della libera professione mi sembra essere un’estensione delle prestazioni aggiuntive dalla Azienda sanitaria alla RSA…per questo ci vuole più coraggio e meno ideologismo o la libera professione è il male assoluto e quindi va negata a tutti o è un valore aggiunto da gestire al meglio, come qualche Regione virtuosa già fa da tempo nell’interesse del potenziamento delle risposte di prestazioni, di valorizzazione dei professionisti e perché no dell’emersione del “nero” che per l’economia del Paese non mi pare un fatto negativo oppure è solo un accanimento non terapeutico e farisaico nei confronti di quelli che mentre vengono definiti “eroi” si vedono negato questo ed altro che invece viene riconosciuto ad altri anche essi definiti “eroi” … è stato ed è giusto riconoscerlo a quest’ultimi ma è altrettanto giusto riconoscerlo anche ai primi.
 
Vorrei infine ricordare a Governo e Parlamento l’articolo 1 della Legge 10 agosto 2000, n. 251 "Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica" (legge votata all’unanimità dalle Assemblee di Camera e Senato) la quale al comma 2 ha quasi una valenza di norma costituzionale per il suo impegno nei confronti delle professioni infermieristiche e che riporto:
“1. Gli operatori delle professioni sanitarie dell’area delle scienze infermieristiche e della professione sanitaria ostetrica svolgono con autonomia professionale attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva, espletando le funzioni individuate dalle norme istitutive dei relativi profili professionali nonché dagli specifici codici deontologici ed utilizzando metodologie di pianificazione per obiettivi dell’assistenza.
2. Lo Stato e le regioni promuovono, nell’esercizio delle proprie funzioni legislative, di indirizzo, di programmazione ed amministrative, la valorizzazione e la responsabilizzazione delle funzioni e del ruolo delle professioni infermieristico-ostetriche al fine di contribuire alla realizzazione del diritto alla salute, al processo di aziendalizzazione nel Servizio sanitario nazionale, all’integrazione dell’organizzazione del lavoro della sanità in Italia con quelle degli altri Stati dell’Unione europea.
3. Il Ministero della sanità, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, emana linee guida per:
a) l’attribuzione in tutte le aziende sanitarie della diretta responsabilità e gestione delle attività di assistenza infermieristica e delle connesse funzioni;
b) la revisione dell’organizzazione del lavoro, incentivando modelli di assistenza personalizzata”.

 
Saverio Proia
  


25 gennaio 2022
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