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Comunicare la salute è una scelta etica

di Filippo Anelli

Il nostro Codice di Deontologia Medica dedica alla ‘comunicazione e informazione’ l’intero Titolo IV, e le pone come filigrana dell’intero testo. La comunicazione, per il Codice, è infatti alla base della relazione di cura: è essa stessa, come recita un altro articolo, il 20, poi ripreso dalla Legge sul consenso informato, “tempo di cura”

02 MAR - Apprezzo molto la scelta compiuta da Federsanità, dalla sua Presidente Frittelli e dagli organizzatori tutti: aver citato sul programma degli “Stati generali della comunicazione della salute”, che si svolgeranno a Roma, al Policlinico Umberto I, i prossimi 4 e 5 marzo, uno dei numerosi interventi di Papa Francesco sulla comunicazione.
 
Precisamente, sulla qualità etica della comunicazione, frutto di coscienze aperte, rispettose delle persone, e attenta ad evitare la disinformazione. Proprio la scorsa domenica, commentando il Vangelo del giorno, il Pontefice è tornato, ancora una volta, sull’argomento. “Al giorno d’oggi - ha ammonito - specialmente nel mondo digitale, le parole corrono veloci; ma troppe veicolano rabbia e aggressività, alimentano notizie false e approfittano delle paure collettive per propagare idee distorte”.
 
Ecco, le paure: veniamo da due anni in cui lo spettro della pandemia ha coinvolto a livello globale tutti noi; ora, venti di guerra agitano, così da vicino, l’Europa, e rischiano di avviluppare il mondo intero.
 
È proprio in questi momenti di crisi che l’informazione diventa di fondamentale importanza.
Prendiamo la pandemia: il mondo si è trovato, da un giorno all’altro, di fronte a un virus sconosciuto, per il quale non esistevano cure né modalità sperimentate di prevenzione. I media hanno reagito, sin da subito, con la produzione e diffusione di una mole incredibile di notizie, con toni anche allarmistici e spesso in contraddizione tra di loro.
 
Tanto che l’Organizzazione mondiale della sanità, la principale istituzione internazionale che si occupa della salute degli esseri umani, ha coniato il termine “infodemia”, proprio per indicare quell'”abbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno”.
 
Così, mentre il virus si diffondeva a livello globale, altrettanto, in maniera “virale”, appunto, facevano le notizie. Una pioggia di notizie, in cui si incrociavano e si confondevano verità e falsità, dicerie e conferme, ipotesi, assiomi, teoremi, smentite, ridondanze, contraddizioni. Eppure, la gestione delle informazioni è cruciale sotto diversi punti di vista: per il controllo dell’epidemia e per gli effetti che esse provocano sulla popolazione. Ricadute che possono essere positive, con l’adozione di corretti stili di vita e l’adesione attiva a regole di prevenzione.
 
O dannose per la salute e per la società: si pensi agli episodi di intolleranza verso i cittadini cinesi che vivevano in altri Paesi, tra cui l’Italia. O ai cittadini USA finiti al pronto soccorso per aver bevuto candeggina o altri disinfettanti come antidoto al coronavirus, fenomeno amplificatosi dopo un tweet dell’allora Presidente Donald Trump.
 
In questo contesto è stato ancora più importante e prezioso il lavoro di comunicazione da parte delle istituzioni di ambito medico e scientifico, che si sono poste come punto di riferimento per i cittadini e fonte per i media di informazioni quanto più affidabili possibile. Non uso, volontariamente, il termine “certe”, perché mai quanto in questi due anni è stato tanto evidente che la scienza non avanza aggrappandosi a preconcetti granitici ma ancorandosi alle evidenze che via via si raccolgono.
 
Occorre ristabilire un clima di fiducia, che non si ottiene con messaggi immotivatamente ottimistici, miracolistici, ma neppure allarmistici. La fiducia la si guadagna comunicando con toni pacati e con onestà intellettuale, e anche riuscendo a far comprendere che il progresso scientifico avanza per tentativi, passando attraverso aggiustamenti e cambi di rotta, e che la conoscenza cresce proprio attraverso l’incertezza costruttiva, il dubbio.
 
Le istituzioni, i medici, gli scienziati hanno dovuto, dunque, imparare a comunicare; e a farlo secondo i capisaldi della comunicazione di crisi. Ma, per i singoli, per le persone, crisi può essere anche la malattia, la fragilità. È per questo che il nostro Codice di Deontologia Medica dedica alla ‘comunicazione e informazione’ l’intero Titolo IV, e le pone come filigrana dell’intero testo. La comunicazione, per il Codice, è infatti alla base della relazione di cura: è essa stessa, come recita un altro articolo, il 20, poi ripreso dalla Legge sul consenso informato, “tempo di cura”.
 
E, quando rivolta al paziente, deve (articolo 33) essere comprensibile, esaustiva, modellata su chi la recepisce, per coinvolgerlo appieno nel processo decisionale. Mentre l’informazione sanitaria verso la collettività, regolata dal successivo articolo 55, deve essere “accessibile, trasparente, rigorosa e prudente, fondata sulle conoscenze scientifiche acquisite” e tale da non divulgare “notizie che alimentino aspettative o timori infondati o, in ogni caso, idonee a determinare un pregiudizio dell’interesse generale”.
 
Ecco: il richiamo di Papa Francesco a evitare “la disinformazione, la diffamazione e la calunnia” è un principio etico di valore universale, che travalica i confini della religione, della politica, delle leggi, dei codici di comportamento autoimposti come è il nostro. “Dalla lingua incominciano le guerre” ha detto ancora, in un’altra occasione, prima che tutto questo iniziasse, il Santo Padre. Non possiamo non ripensarci oggi, quando la disinformazione tende a farsi propaganda e a dividere gli animi e le coscienze.
 
Non possiamo non riflettere su come le notizie contrarie alla scienza viaggino sugli stessi canali, e facciano presa sulle stesse fragilità, di quelle a favore della violenza, della prevaricazione, della guerra. “La bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda” diceva il Vangelo di domenica scorsa: da come uno parla, ci si accorge di quello che ha nel cuore. E allora facciamo sì che il nostro cuore di medici sia sempre, così come la nostra missione richiede, attento all’altro, all’interlocutore; sia che si tratti del nostro paziente o della collettività. E che le nostre parole rispecchino il nostro agire, diano voce alle nostre conoscenze, siano fondate sulle evidenze e siano fonte di consapevolezza, strumento di tutela della salute e dei diritti umani.
 
Flippo Anelli
Presidente Fnomceo Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri

02 marzo 2022
© Riproduzione riservata


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