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“Duri i banchi”, per salvare il Ssn!

di Filippo Palumbo

Stanno emergendo proposte esplicite di riforma per rilanciare il nostro sistema sanitario e proposte implicite per mutarne il carattere nazionale, pubblico e universalistico. Ri-formare il Ssn ma per correggerne la de-formazione attuale. Per governare il quasi mercato non si può contare ancora sul quasi miracolo. E allora facciamo nostro il motto della marina veneziana affinché i rematori delle galee nell’imminenza di uno scontro mantenessero il controllo dei remi tenendosi ben agganciati alle panche per meglio reggere l’impatto con le navi nemiche

09 FEB -

Duri i banchi è una forte espressione veneziana che è traducibile nell’invito, rivolto a tutti, a tener duro e a non mollare di fronte ad un quadro di difficoltà che potrebbe travolgerci. Duri i banchi è un adattamento avutosi nel tempo della sequenza di parole “duri ai banchi” che nel periodo della Serenissima, durante gli scontri sul mare, erano lanciate come un ordine ai rematori delle galee veneziane nell’imminenza di uno scontro con le imbarcazioni nemiche. Occorreva che ciascun rematore e, quindi, tutta la squadra dei rematori mantenesse il controllo dei remi e si tenesse ben agganciato alle panche per meglio reggere l’impatto dello scontro con le navi nemiche.

Il ricordo dell’esortazione secca Duri i banchi ci può far capire l’importanza della partita che si sta giocando: il rilancio del nostro SSN. Rilancio necessario per reggere l’impatto non solo con le nuove sfide epidemiologiche e assistenziali, ma anche con forze che, pur riconoscendo la finalità pubblica del servizio sanitario, si candidano ad un ruolo alternativo o competitivo rispetto alle strutture pubbliche del SSN.

Per non cadere nella retorica, occorre essere consapevoli del perché oggi è necessario ri-formare la organizzazione sanitaria della Repubblica, organizzazione de-formata da scelte e avvenimenti di impatto sistemico negativo. Usiamo l’aggettivo deformato per posizionare l’assetto attuale del SSN rispetto alle sue caratteristiche fondamentali, come definite dalla legge 833/1978 e riconfermate, pur con forti problematicità, dalle leggi e decreti legislativi successivi, del 1992, del 1999, del 2012.

Oggi, ad avvenuta approvazione del DEF e della conseguente legge di bilancio 2023, le carte sul tavolo sono scoperte.

Il primo problema è la mancanza di un’ aggiornata programmazione sanitaria nazionale integrata che in modo contestuale e sinergico proietti in una visione nazionale il tema dell’organizzazione sanitaria in ambito ospedaliero, distrettuale e preventivo, definendo anche modalità operative, tecniche ed amministrative per assicurare la necessaria integrazione all’interno di ciascuno dei tre ambiti sanitari, e poi tra gli stessi e poi ancora con i settori del sociale e della salvaguardia dell’ambiente. La mancanza di tale programmazione rende sempre più debole il ruolo del Ministero della salute, mentre la guida di questi settori sembra essere stata trasferita (ma chi lo ha deciso? e perché? ) ai Ministeri del lavoro e dell’ambiente.

Quella che va segnalata è la mancanza di una visione capace di gettare un ponte tra:

- le grandi strategie o le impostazioni generali riconducibili a programmi sovranazionali e intersettoriali

- le emergenti richieste di sviluppare in ogni parte del Paese specifiche iniziative di prevenzione di dimostrata efficacia o di presa in carico di piccole e grandi domande di cura e assistenza o di realizzazione di quelli che, anni fa, avremmo chiamato progetti obiettivo e azioni programmate e che ancora faremmo in tempo a integrare in un Piano Sanitario Nazionale (PSN)

Vale la pena evidenziare che solo un PSN potrebbe dare sistematicità, indicare priorità, incentivare sinergie tra i diversi Piani settoriali (Oncologia, Prevenzione, Cronicità, ecc. ecc.) e, in definitiva, fissare l’agenda del SSN.

La seconda tematica prioritaria è quella relativa alla necessità di affrontare e risolvere la questione del sottofinanziamento del SSN. Bisogna partire da quanto è accaduto. Nel decennio scorso si era determinata una situazione per cui ogni anno la spesa per il SSN era cospicuamente più elevata del finanziamento previsto nel bilancio dello Stato fino al 7 per cento annuo. Ma questa maggiore spesa non era riferibile al totale delle regioni, ma ad un gruppo limitato di 6 -7 regioni.

Ogni anno le regioni chiedevano un incremento del FSN per tener dietro al disavanzo complessivo . Quando il maggior finanziamento veniva accordato andava ad integrarsi nel finanziamento complessivo del SSN e quindi confluiva nel FSN che non poteva che essere ripartito con i criteri posti alla base del riparto annuale. Il risultato era che nell’anno successivo un gruppo di regioni beneficiava di un incremento del fondo che era stato deciso per fare fronte alla maggiore spesa registratasi in un gruppo limitato di altre regioni.

Avveniva quindi, che, di anno in anno, nonostante l’incremento del FSN, continuava la situazione per cui:

Per rappresentare questa situazione veniva fatto l’esempio di un secchio che veniva continuamente riempito, ma che avendo un buco sul fondo non garantiva mai tutta l’acqua necessaria. Tutto questo mentre si andava definendo l’avvio dei nuovi assetti e funzioni determinati dalla Riforma della Costituzione del 2001.

Fu dunque deciso che prioritaria era l’esigenza di porre fine a questa inefficiente allocazione delle risorse che si determinava a livello nazionale, vanificando la possibilità che i maggiori finanziamenti annualmente concessi potessero essere risolutivi. Nacque allora la decisione, condivisa su base pattizia, di attivare un percorso di rientro per le regioni in difficolta come condizione necessaria per valutare e disporre maggiori finanziamenti per affrontare la fisiologica crescita di costi per un evoluto servizio sanitario. In definitiva, è stata la forte collaborazione tra il governo nazionale e le regioni che ha consentito di delineare un percorso di razionalizzazione e di revisione della spesa che non ha eguali negli altri settori di spesa pubblica in Italia .

A conferma di quanto sopra sinteticamente ricordato, vi è il dato di fatto della particolare formulazione che è stata utilizzata per la definizione dei costi standard nell’ambito del D.lgs. 68/2011 in materia di federalismo fiscale, per la parte che riguarda i fabbisogni sanitari. Si tratta di un’ impostazione metodologica che è soprattutto finalizzata a superare le situazioni di inefficienza o inadeguatezza (attraverso il raffronto tra le varie regioni), in presenza di un livello del fabbisogno sanitario nazionale (ossia l’insieme delle risorse preordinate per il SSN al cui finanziamento concorre ordinariamente lo Stato) definito mediante interventi normativi e intese tra lo Stato e le regioni, coerentemente con i Livelli Essenziali di Assistenza da erogarsi in condizioni di efficienza e di appropriatezza.

In definitiva , la logica che ha sostenuto questa collaborazione era quella che solo a valle di tale razionalizzazione poteva procedersi ad un adeguamento del finanziamento del SSN, tenuto anche conto dei processi innescati dalla Riforma del titolo V Cost. per la definizione dei costi standard per la erogazione dei LEA.

La Sanità si è comportata in maniera esemplare, come riconosciuto dalla stessa Corte dei conti.

Tuttavia, quando a partire dal 2013 hanno cominciato a funzionare a pieno gli strumenti di regolazione e qualificazione della spesa sanitaria pubblica, si è verificato qualcosa di non previsto: la mancata decisione politica centrale di rifinalizzare a favore del settore sanitario le risorse (o almeno una parte di esse), liberatesi a seguito dei processi di razionalizzazione e affiancamento.

In sostanza in sede di predisposizione e approvazione dei DEF di anno in anno, l’indirizzo politico programmatico, nella definizione dei tendenziali per il settore sanitario, avrebbe dovuto, almeno dal 2015, dare l’indicazione di tener conto non solo dell’effetto, in riduzione della spesa, dell’efficientamento in alcune aree erogative, ma anche della indispensabile espansione della spesa in altre aree erogative che fino ad oggi in molte regioni erano rimaste inattivate e che, proprio per effetto della sollecitazione contenuta nei vari Patti per la salute, finalmente cominciavano ad essere realizzate.

Negli ultimi anni pre-Covid, in mancanza di questo indirizzo, i tendenziali di spesa sono stati definiti scontando integralmente le varie manovre di anno in anno varate. Cioè la scelta di tipo politico programmatico è stata quella di non riallocare nel settore sanitario le risorse liberatesi con i processi di razionalizzazione e con i piani di rientro e di rifinalizzare (direttamente o indirettamente) i relativi importi verso altri settori della spesa pubblica. I dati relativi a questa operazione sono quelli che abbiamo riportato in precedenti contributi su questo quotidiano.

La Corte dei conti (nel Referto, approvato con Delibera n. 19/SEZAUT/2022/FRG, che la Sezione delle Autonomie ha presentato al Parlamento sulla gestione finanziaria 2020-2021 dei servizi sanitari regionali) ha ritenuto di:

- ribadire che dopo un decennio di contenimento della spesa nel settore sanitario nel biennio 2020-2021la spesa sanitaria, interrompendo il trend, è cresciuta mediamente del 5% contro un 1,3% del quadriennio precedente, pur rimanendo tra le più basse in Europa (ad esempio nello stesso biennio l’incremento registrato è stato per il Regno Unito del 20,2%, per la Germania del 9,7% e per la Spagna del 9,5%);

- ricordare che la NaDef 2022 prevede che la spesa sanitaria, dopo essere cresciuta in valori cumulati, nel triennio 2020-2022, di 16,1 miliardi, nel triennio 2023-2025 diminuisca di 4,6 miliardi, riportando l’incidenza sul Pil, nel 2025, al 6,0%, un livello inferiore di due decimi di punto alle previsioni del Def 2022 (6,2%), e di quattro decimi di punto rispetto al 2019 (6,4% del Pil).

Enfatizzando quanto ottenuto dal nostro Paese, cioè buoni risultati di salute a fronte di un livello basso di risorse economiche allocate per gli interventi sanitari pubblici, alcuni studiosi, dopo una comparazione standardizzata con gli altri Paesi europei, per la situazione italiana hanno utilizzato l’espressione “quasi miracolo” (O.C..I.S., Pavolini, https://osservatoriocoesionesociale.eu/osservatorio/la-sanita-italiana-di-fronte-alla-crisi-del-coronavirus/)

Ma i miracoli durano poco ed allora se non si aumentano i finanziamenti per il nostro SSN, continueremo a dover registrare una situazione che ha provocato i seguenti molteplici effetti negativi:

Questa fase straordinaria nascerebbe, dunque, sull’onda forte dell’esigenza non solo di ripristinare un più adeguato importo per finanziare il fabbisogno del SSN per la erogazione uniforme dei LEA ma anche di provvedere ad un riassetto dei tre settori assistenziali (ospedaliero, distrettuale, di sanità pubblica e prevenzione), basato:

Si potrebbe partire anche da una verifica di quanto effettivamente è stato avviato in base alle norme approvate su iniziativa del Ministro della salute negli anni 2012-2013, che ci sembrano le ultime costruite con una logica parziale ma sistemica, peraltro in un momento molto difficile.

Questo approccio generale è necessario in quanto un approccio alternativo – basato sulla rifondazione del sistema conseguita procedendo per singoli (anche se ampi) campi tematici, magari coincidenti con quelli interessati alla realizzazione del PNRR-salute – non sembra funzionare. Ciò anche perché non appare più scontato il presupposto costituito dalla volontà di mantenere unitario l’impianto organizzativo gestionale ed amministrativo della tutela della salute. D’altra parte, l’approccio monotematico anche se progressivo è troppo esposto al rischio di essere condizionato dalla incapacità/non volontà della politica di fare sintesi e dalla sua preferenza ad acquisire consensi su singole questioni, nonostante il rischio di una implosione del sistema.

Ecco allora perché occorre pensare ad una fase straordinaria, la quale peraltro non basta da sola, in quanto, come già ricordato, ripercorrendo i 40 anni del SSN, per queste cose è necessario che si apra una finestra di opportunità, intesa come il contemporaneo verificarsi di tre ordini di elementi:

- la condivisa valutazione tecnica dell’esistenza di un problema o un insieme di problemi

- la disponibilità di soluzioni tecnico-organizzative per tali problemi

- la disponibilità della politica ad affrontare i problemi.

Ma in questa fase straordinaria quali più specifiche o ulteriori questioni affrontare? L’esigenza di intervenire riguarda i seguenti aspetti:
  1. prepararsi ad affrontare eventuali riaccensioni di micro e macrofocolai epidemici
  2. stabilizzare ad un più alto livello la capacità di risposta del SSN a questa sfida epocale con riferimento alle strutture materiali (edilizie, tecnologiche, informatiche) e immateriali (capacità gestionali e cliniche) degli enti del SSN. Ciò portando a termine ed integrando quanto già avviato con il PNRR
  3. introdurre, nella rete ospedaliera e in quella assistenziale sanitaria territoriale, elementi strutturali ed organizzativi per assorbire le più frequenti ondate epidemiche/pandemiche che il mutato quadro epidemiologico globale porta a dover considerare
  4. valorizzare il ruolo di integrazione oltre che di filtro, che l'assistenza primaria e in genere l’assistenza territoriale può svolgere nei confronti della rete ospedaliera, anche in occasione di picchi epidemici, puntando ad una integrazione assistenziale tra le tre macroaree dei LEA. Per questo punto (e per quello precedente) si potrebbe integrare quanto già deciso e realizzato (o, meglio, si sarebbe dovuto realizzare) in attuazione degli articoli 1 e 2 del Decreto-legge 34/2020, concernenti il riassetto della rete territoriale e quello della rete ospedaliera
  5. affrontare le questioni strategiche connesse al mutato ruolo e alle mutate dimensioni territoriali (molto più ampie) che il Distretto ha assunto nella gran parte della Regioni, affidando ai centri per le cure primarie (ad es. la Case della salute) un ruolo centrale nella assistenza territoriale intensificandone i rapporti funzionali anche con il Dipartimento di Prevenzione e le altre realtà dipartimentali.
  6. aggiornare con maggiore tempestività e frequenza il quadro dei LEA garantendo un’adeguata valutazione sotto il profilo di sicurezza, efficacia e qualità, un buon rapporto costo-efficacia e appropriatezza clinica e organizzativa. Le periodiche manutenzioni, aggiornamenti e integrazioni dei LEA devono essere predisposte ed approvate evitando confusioni tra gli specifici aspetti di linee di indirizzo, le linee guida, gli standard e i requisiti organizzativi, i percorsi, e i piani settoriali e generali, con un’idonea sistemazione giuridica
  7. garantire una piena operatività di tutte le linee prestazionali già previste dal D.P.C.M.12 gennaio 2017
  8. adottare iniziative straordinarie ed urgenti per il varo di un piano finalizzato di formazione e di assunzione delle figure professionali carenti
  9. intervenire sulla sanità integrativa, sulla scorta di una riflessione profonda che ripensi tutto l’impianto e ne valuti le potenziali ricadute sul Certo non tranquillizza la leggerezza con cui si modifica la disciplina proprio mentre cominciano ad essere disponibili valutazioni che invitano alla prudenza, in considerazione di aspetti dis-equitativi e di utilizzazione impropria di risorse già scarse per il settore sanitario; di fatto si prenotano risorse sotto la forma di agevolazioni fiscali, sottraendole ad un miglior possibile utilizzo alternativo per la promozione e tutela della salute. Un esempio per tutti: per effetto di una nuova norma inserita nella legge 118 del 2022 all’art.15, comma 1,lettera c) , all’elenco delle prestazioni per le quali è disposta l’agevolazione fiscale vengono aggiunte le prestazioni di prevenzione primaria e secondaria non già a carico del SSN. Lasciamo stare da parte la prevenzione secondaria, ma cosa si intende per “prestazioni” di prevenzione primaria. Se ci si riferiva alle vaccinazioni, era preferibile indicarle direttamente. Nella dizione prestazioni di prevenzione primaria può entrare di tutto, con un allargamento infinito dell’area prestazionale supportata dall’agevolazione fiscale. Già questo esempio porta a ribadire la necessità di una verifica di tutto l’impianto.
  10. mantenere l’assetto nazionale del SSN tenendo conto degli elementi che, qui di seguito, sono elencati in riferimento al testo del disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 2 febbraio 2022 recante norme per l’attuazione dell’art. 116, terzo comma Cost. (autonomia differenziata), riservandoci di inviare ulteriori considerazioni durante la fase di approvazione da parte del Parlamento:
- la storia applicativa dell’articolo 117 Cost. in materia di LEA/LEP in campo sanitario ha evidenziato (contrariamente a quello che si pensava nei primi mesi dopo l’approvazione della legge costituzionale n. 3 del 2001) che, per alcuni aspetti, vi è stato un rafforzamento ed ampliamento dell’area della competenza esclusiva dello Stato (vedi vicenda standard dei LEA) che per la sanità antagonizza e certo non lascia molto spazio ad un ampliamento delle autonomie in campo sanitario. La stessa vicenda pandemica per tutta una fase ha visto emergere incertezze sulla possibilità di emanare disposizioni nazionali, stante l’avvenuto trasferimento effettivo delle competenze regionali, ed ha richiesto il richiamo all’art. 120 Cost. per l’emanazione di indispensabili disposizioni urgenti.
Ciò dimostra che le competenze rimaste alla Stato sono effettivamente quelle strettamente inerenti norme di principio e fondamentali e quelle inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni ex art, 117 Cost., in campo sanitario perfettamente coincidenti con il Livelli essenziali di assistenza ex Dlgs 502/1992 e successive modificazioni. Non solo, vi è anche la insistenza con cui la Corte Costituzionale torna sul concetto che in riferimento all’ art 117, secondo comma, Cost. la competenza statale non attiene a una materia in senso stretto, ma costituisce una competenza esclusiva e trasversale, idonea a investire una pluralità di materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle. Ma se la situazione, per quanto riguarda le prestazioni sanitarie, è quella appena descritta e nessuno afferma di volerla modificare. sarebbe molto più semplice per la materia sanitaria limitarsi a un richiamo della situazione giuridico-normativa che per tale materia si è già consolidata;
- va, del resto, più in generale valutato il peso delle sentenze che la Corte costituzionale ha già pronunciato in materia di LEA, che, a nostro avviso, restringono di molto lo spazio di azione del federalismo differenziato ex art. 116 Cost. in materia sanitaria . D’altra parte, per la materia sanitaria un approccio analogo, pur se diverso, è già presente nell’attuale regime di modulazione del livello di autonomia che scatta ai sensi della disciplina adottata a seguito dell’intesa Stato Regioni del 23 marzo 2005 e della attivazione del Sistema nazionale di verifica e controllo dell’ assistenza sanitaria (piani di rientro)
- occorre ricordare che nel 2005 e nel 2016, con l’esito sfavorevole dei due referendum costituzionali del 25 giugno 2005 e del 4 dicembre 2016, sono state bocciate due riforme costituzionali che prospettavano evoluzioni antitetiche del settore sanitario riguardo al rapporto Stato Regioni. Il che significa che per un periodo non breve il complessivo e sostanziale assetto delle competenze istituzionali in materia di tutela della salute e, quindi, dei livelli essenziali delle prestazioni sanitarie non potrà discostarsi molto da quello vigente.

Filippo Palumbo
Già Direttore Generale e Capo Dipartimento della Programmazione sanitaria del Ministero della salute



09 febbraio 2023
© Riproduzione riservata


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