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I Forum di QS. Sanità pubblica addio? Turi: “Una grande Conferenza sulla sanità con lo scopo di definire un nuovo programma strategico”

di Edoardo Turi

Le conquiste di cui il Servizio Sanitario Nazionale è una delle più rilevanti rischiano di andare perdute, compromettendo così lo sforzo che i costituenti tradussero anche nell’articolo 32 della Costituzione

17 MAR -

Leggendo l’ultima fatica letteraria di Ivan Cavicchi (“Sanità pubblica addio. Il cinismo delle incapacità”) è evidente che ci troviamo di fronte al più aggiornato quadro analitico di quanto è avvenuto nella sanità italiana negli ultimi anni.

Si possono condividere o meno, in tutto o in parte, i suoi contenuti, ma lo sforzo di una elaborazione culturale e politica che aggiorna il pensiero di operatori, studiosi, politici, amministratori ed attivisti della salute è corposo e generoso.

Solo chi ha una qualche dimestichezza con gli scritti dell’autore coglierà che i due filoni in cui si collocano in genere i suoi libri, quello politico e quello epistemologico, spesso separati, qui trovano una sintesi, obbligando il lettore a prendere dimestichezza con alcune sue note terminologie teoriche (compossibilità, l’esigente al posto del paziente, salute nova, medicina/scienza impareggiabile, invarianza, amministrata) che qui si ampliano ulteriormente con altre nuove (adeguatezza anziché appropriatezza, pertinenza, regionismo, indice di occorrenza, ospedalectomia, ospedale minimo, medico dimezzato, sine baculo, sine pennis), mentre rimane implacabile la ricostruzione degli eventi che hanno portato la sanità in Italia nella situazione attuale e che normalmente vivono gli operatori e le persone.

Qualche lettore collocato politicamente a sinistra considererà ingeneroso verso le personalità politiche, i tecnici, gli amministratori o i militanti dei partiti e delle organizzazioni che si collocano in quell’area, la rivendicazione di un pensiero critico ed autocritico che riconosca gli errori fatti dalla sinistra al governo del paese e delle regioni o all’ opposizione. Ma da dove partire se non da qui?

D’altronde non si può più dire come un tempo che usciamo da “vent’anni di fascismo e vent’anni di governi democristiani”.

La sinistra politica ha governato alcune regioni ininterrottamente e altre molto a lungo, lo stato centrale dove ha ricoperto incarichi ministeriali importanti, e non solo in sanità ma anche in settori chiave come l'economia, ha governato Comuni e Province/Aree metrolitane, ha presieduto commissioni parlamentari ed istituti di ricerca, per non parlare dell’università.

Tuttavia, dopo i decenni Sessanta e Settanta e il lungo Sessantotto italiano (1968-1980 che termina con il rapimento e l’uccisione di A.Moro e due anni dopo con la sconfitta operaia della vertenza FIAT) e in cui il movimento degli studenti si è coniugato con le lotte operaie e sindacali, caso unico nell’Occidente industrializzato, la sinistra non produce più pensiero, vive di rendita, limitandosi a gestire, tra l’altro non sempre bene, l’ordinaria amministrazione in centro e in periferia.

Quelle conquiste di cui il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è una delle più rilevanti rischiano di andare perdute, compromettendo così lo sforzo che i costituenti tradussero anche nell’articolo 32.

E’ la metafora dell’albatros di Cavicchi. Ucciderlo, come vuole la leggenda, porta male.

E così è andata: la sinistra ha ucciso l’albatros, e perde consenso proprio in quei ceti popolari che avrebbe dovuto tutelare. Attenzione: non si parla qui degli indigenti o dei poveri: 10% della popolazione, molti sì, ma una minoranza, ma di quel restante 80% (la società dei due terzi di Peter Glotz),cui si aggiungono ceti più affluenti, e l’1% di super ricchi, cui vanno aggiunti molti evasori.

Quel 70% che è quella classe media, con redditi e potere di acquisto diversi al suo interno, ma spesso ormai con lo stesso orizzonte culturale, prodotta dal welfare e che oggi, spaventata di perdere diritti o privilegi, si rifugia nell' astensionismo, nel voto alle formazioni liberal-conservatrici o alla destra. In fondo lo stesso PD è un partito liberal-democratico la cui anima “socialdemocratica” (ex comunista) ha condiviso tutte le responsabilità con l’ altra anima “cattolico liberale”.

La sinistra è ormai come un “nano sulle spalle di giganti” come diceva Bernardo di Chartres. Chi scrive sente di avere un debito enorme verso il pensiero di Maccacaro, Basaglia, G. Berlinguer, L. Conti, spesso, non dimentichiamolo, in minoranza nelle istituzioni universitarie, nelle amministrazioni pubbliche, nelle società scientifiche e perfino nei loro stessi partiti. Ma non siamo stati alla loro altezza.

Come mai oggi quel coraggio è venuto meno? In fin dei conti, tranne qualche contrattempo alla carriera, non si rischia poi così tanto. E a volte poi c'è da temere più dal fuoco amico che dagli avversari. Eppure è ormai impossibile trovare un po’ di coraggio intellettuale da quelle parti. Domina incontrastato un conformismo disarmante: quello che Cavicchi definisce degli “ex” che se criticano o autocriticano il loro passato, rivisitandolo, sembrano negare se stessi come medici, operatori, politici, amministratori, studiosi, dimenticando che il lascito migliore che possono dare alle giovani generazioni è proprio quello della critica del proprio operato.

Meglio naturalmente se quella autocritica non è abiura e adesione tout court al pensiero liberale (casomai senza aver letto una riga di Hume, Montesquieu, Croce o Popper),buttando a mare il pensiero del movimento operaio e democratico come suggerito anche recentemente dal filosofo ex parlamentare del PCI e del PdS Biagio di Giovanni.

E’ proprio una citazione di Hume che troviamo nelle prime pagine del libro: “Vi sono persone che a un graffio del proprio dito preferiscono il crollo del mondo”. Non è forse così oggi la sinistra di varia osservanza?

Ecco, Cavicchi non ha questa tendenza trasformista, assai forte nel paese di Crispi, del Gattopardo e dei Vicerè. Da intellettuale di sinistra quando parla del passato dalla L. n. 833/1978 in poi, lui c’era: operatore sanitario, sindacalista, manager privato, editorialista, docente universitario, studioso, che immagino con le sue contraddizioni come tutti.

Quando Cavicchi critica gli errori del passato ed invita altri a farlo non può non pensare anche autobiograficamente al suo percorso e non per questo può essere arruolato con le destre che molto devono invece al credito di cui hanno goduto a sinistra: dal referendum Segni, appoggiato al tempo dal PdS, che ha abolito la legge elettorale proporzionale alla dalemiana Lega “costola della sinistra” che ha portato alla riforma del Titolo V della Costituzione e da qui all’odierno regionalismo differenziato.

Dalla legittimazione degli eredi del fascismo da parte di un Presidente della Camera dei deputati, fino al mito dell’appropriatezza dei tecnocrati di sinistra perché “non si può dare tutto a tutti”, che porta a un’idea pelosa delle disuguaglianze nella salute, affrontata in sanità con gli illusori LEA, mentre si rottama ogni idea di uguaglianza sostituendola con la eufemistica equità, separandole, mentre sono una funzione dell’altra. Il tetto di spesa e il blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione, il job act, il precariato, il lavoro interinale.

Fino ad arrivare alla delega al pensiero cattolico liberale di temi come la pace, i migranti, la povertà, con il contemporaneo scambio della mano libera al Terzo settore e alla sussidiarietà orizzontale ormai in Costituzione nella stessa riforma del Titolo V. Un “compromesso storico” nella sanità e non solo. Il servizio che diventa sistema in cui il SSN propriamente detto collabora con il privato, come previsto dal D.Lgs. n. 229/1999.

Ma la partita vera sono però quei 40 miliardi di euro di spesa sanitaria “out of pocket” (di tasca nostra) da lanciare sul mercato finanziario assicurativo: il secondo pilastro.

E tutta la mutualità assicurativa e il mutualismo dal basso non sono forse sussidiarietà, quindi coerente con il mondo cattolico dalla Rerum Novarum di papa Leone XIII (1891), che si prende una rivincita ideologica postuma sull’utopia comunista storicamente sconfitta, sostituendola con la comunità: l’associazione ”Prima la comunità” di Don Colmegna e Livia Turco fino alle “Case di comunità”, ospedale di comunità, il comune, la comunione, la Comunità di S.Egidio, Comunione e liberazione. Welfare on demand, welfare aziendale, welfare di comunità, no profit, Terzo settore: un po’ Adriano Olivetti un po’ UNIPOL.

Il PNRR, i DM n.70/2022 e n.77/2022 condito di telemedicina (lassativa) come cornice gattopardesca: una “controriforma per inerzia” la definisce Cavicchi. Come dargli torto?

Ma quale comunità è possibile con la figura monocratica e patriarcale del Direttore generale delle Aziende sanitarie si chiede Cavicchi? Il medico di medicina generale e l’ospedale sono le due invarianti che hanno attraversato intatte cinque riforme dalla L. n.833/1978 al PNRR.

Chi era al Governo quando sono state fatte queste scelte?

La lezione gramsciana dei Quaderni dal carcere non era proprio quella di ripensare da sinistra alla storia e agli errori del movimento operaio prima del fascismo per non ripeterli? Non è questo che Cavicchi ci invita a fare? A iniziare dalla critica del consociativismo e del corporativismo degli Ordini, dei sindacati e delle professioni in sanità la cui massima espressione è l’intramoenia che ormai coinvolge molti operatori e non solo i medici: la figura del “medico mercante”, come la definisce Cavicchi, spinto da nostalgie ottocentesche della professione liberale e dalle basse retribuzioni del lavoro dipendente, rincorso dagli infemieri con le “competenze avanzate”, in una deleteria concorrenza tra professioni dove tutti perderanno compresi i pazienti, mentre le Regioni vedono nell’infermiere e negli Operatori Socio Sanitari (OSS) un modo per ridurre il costo del lavoro.

Che fare? Si chiede e ci chiede Cavicchi.

Sperando che le mediche ormai maggioranza nel SSN irrompano nella cultura della sanità cambiandola in modo radicale come il femminismo irruppe negli anni Settanta in una sinistra in crisi nel dilemma di Rosa Luxemburg -citata da Cavicchi - tra riforme e rivoluzione, ci piacerebbe immaginare un “riformismo rivoluzionario” in sanità e non solo, perché come era scritto sui muri parigini del maggio 1968: “cambiamento vale più che rivoluzione o riforma”.

Per chiudere. Cavicchi nelle sue conclusioni ci esorta a prenderci la responsabilità politica di esprimere un giudizio sulle esperienze di riforma che abbiamo fatto dal 1978 ad oggi.

Il progetto della Riforma sanitaria del 1978 resta valido. Anche oggi dopo quasi mezzo secolo non esiste un progetto concorrente, quindi e non può che essere riproposto. Ma non c’è dubbio che i modi usati per declinarlo si sono rivelati nel tempo lacunosi, spesso parziali (Cavicchi direbbe “regressivi”), ma soprattutto in molti casi sbagliati.

In fine dei conti Cavicchi a progetto politico invariato ci propone (rammento la sua proposta di “Quarta riforma”) alla luce delle esperienze fatte in questi decenni di riscriverne le modalità riformatrici e soprattutto di reimpostarne i presupposti non solo culturali da cui partire.

Si pensi ad esempio alla necessità sottolineata da Cavicchi in questi anni di riformare sanità e medicina insieme. Cioè Cavicchi in sintesi ci propone di riorganizzare un pensiero di riforma. Necessità per altro attualizzata anche dalla esperienza devastante della pandemia.

Mi colpisce una coincisenza: il libro di Cavicchi esce dopo la disfatta del PD alle ultime elezioni politiche, quindi dopo la nascita del governo Meloni, e regionali e dopo l’avvicendamento alla segreteria del PD della Schlein.

E’ un libro quindi che oggi oggettivamente si pone come punto di partenza per un nuovo ragionamento riformatore.

In questa situazione l’elezione della Schlein, che personalmente valuto come un fatto politico di rilievo, pone la proposta di Cavicchi oggettivamente come un contributo importante.

Buona parte del libro mette in luce i limiti e gli errori fatti dal PD negli anni passati. Ma soprattutto fa capire quanto sia difficile riformare per davvero. Cavicchi insiste molto su questo tasto e ribadisce che riformare non è una passeggiata: il cambiamento riformatore va prima pensato. Ancor di più mi colpisce che la Schlein nelle vesti di segretario del PD si dichiari apertamente contro la privatizzazione del SSN smentendo di fatto gran parte delle controriforme fatte dal PD.

Già l’obiettivo di restituire al SSN il suo status di servizio pubblico è di per sé già un grosso obiettivo unificante.

Aggiungo una proposta: assumere il libro di Cavicchi come la base di confronto tra tutte le forze politiche della sinistra, per progettare insieme una grande Conferenza sulla sanità con lo scopo di definire un nuovo programma strategico.

L’albatros nel secolo scorso è stato ucciso, ma oggi abbiamo imparato la lezione e quegli errori si possono superare perché è innegabile che oggi l’albatros per il bene di tutti deve rivivere.

Edoardo Turi

Direttore di Distretto ASL attivista di Medicina Democratica e Forum per il Diritto alla salute

Leggi gli altri interventi al Forum: Cavicchi, L.Fassari, Palumbo.



17 marzo 2023
© Riproduzione riservata


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