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La riforma della sanità britannica. Aspettiamo, prima di giudicare

di Nicola C. Salerno

Per un giudizio approfondito bisogna aspettare i risultati, prestando attenzione alla fase di rodaggio. Ma fin d'ora possiamo dire che non siamo di fronte al tramonto dell’universalismo sanitario che proprio nel Regno Unito ha avuto i suoi natali

22 APR - Non è arrivata inaspettata, sia perché la legge di riforma è stata approvata diversi mesi fa, sia perché il percorso di riforma parte da lontano, visto che se ne discuteva già durante l’ultimo governo “Blair”. Non è - come pure alcune critiche hanno sostenuto - il tramonto dell’universalismo sanitario che proprio in Inghilterra ha avuto i natali. Il criterio di finanziamento resta inalterato, basato sulla fiscalità generale; e inalterata resta anche la copertura ampia e inclusiva per tutti i cittadini. I cambiamenti più significativi avvengono nella governance.   
 
Sono eliminate le Strategic Health Authority e i Primary Care Trust, equivalenti rispettivamente alle Regioni e alla Asl del contesto italiano. La finalità è duplice: da un lato accorciare e semplificare la filiera delle decisioni, dall’altro limitare l’intromissione della politica sia nelle scelte clinico-terapeutiche sia in quelle di natura manageriale. Questi obiettivi generali sono condivisibili. Non riguardano solo il Regno Unito, ma sono esigenze avvertite in tutti i sistemi sanitari, di ispirazione sia beveridgiana che bismarkiana. Anche in Italia il dibattito sul ruolo delle Regioni e delle Asl riemerge periodicamente. Anche da noi ci si domanda spesso se sia davvero necessaria una filiera così lunga, o se non siano sufficienti le sole Regioni a svolgere il ruolo programmazione e committenza (single buyer) delle prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e convenzionate. La risposta è tutt’altro che ovvia, come dimostra il fatto che esiste un’altra “scuola” di pensiero che sottolinea invece i possibili vantaggi di eliminare le Regioni (i cui bilanci sono costituiti per il 75%-80% dal capitolo sanità) e far svolgere il ruolo di programmazione e committenza direttamente alle Asl, dopo una fase di aggregazione delle stesse per raggiungere soglie ottimali.   Il taglio della filiera nel Regno Unito viene presentato anche in una prospettiva “federalista”. 
 
Dopo tanti anni di funzionamento accentrato (storicamente il NHS nasce così), è stata avvertita l’esigenza di favorire una maggiore differenziazione territoriale, anche come soluzione per un miglior coordinamento delle prestazioni sanitarie e di quelle assistenziali e sociali a carico delle comunità locali, soprattutto le municipaliá. A ben vedere, anche questo obiettivo ha radici comuni in tutti i sistemi sanitari dei Paesi ad economia e welfare sviluppati. Dappertutto, pur con tempi e modalità diverse, il raccordo esplicito tra la sfera sanitaria in senso stretto e quella sociale è divenuto un punto importante dell’agenda welfare, per ottimizzare le risorse, evitare duplicazioni o addirittura zone grigie borderline non coperte, aumentare l’efficacia delle prestazioni soprattutto nella fase di prevenzione sul territorio e vicino alle famiglie. Per continuare il paragone già iniziato, una tale esigenza è da tempo avvertita anche in Italia. Da noi, la sistematizzazione dei livelli essenziali delle prestazioni non è stata completata anche perché l’offerta è stata lasciata frammentata tra Regioni (Ssn), Province e Comuni. Addirittura è stata introdotta la categoria dei livelli socio-sanitari a prevalenza sanitaria, con funzione di indirizzo in capo alla Regione e responsabilità organizzative delle Asl, e a prevalenza sociale, con funzione di indirizzo in capo a Province e Comuni e responsabilità organizzative dei Comuni in ossequio al principio di sussidiarietà.
 
Un eccesso di complicazione e di astrattezza di competenze e doveri, che sinora sono state, purtroppo, caratteristiche negative di tutto il processo di trasformazione federalista della sanità, non a caso rimasto incompiuto nonostante il lugno periodo di gestazione.   Se, dunque, nella riorganizzazione della governance e nell’avvicinamento della sanità al territorio si riconoscono degli snodi importanti con cui prima o poi dovranno misurarsi tutti i Paesi, alcune criticità emergono nel disegno delle nuove organizzazioni deputate a subentrare nelle funzioni delle Strategic Health Authority e dei Primary Care Trust. Si tratta di associazioni di medici di base diffuse sul territorio che, in collaborazione con le Istituzioni che il territorio governano (in primis quelle cittadine), dovranno programmare l’offerta assistenziale integrata (sanità e sociale). Non è ancora del tutto chiaro come queste associazioni svolgeranno la loro funzione, ma è evidente che è necessaria una cornice regolatoria molto attenta per evitare che, espulsi gli eccessi della politica, il sistema possa rimanere esposto ad altre distorsioni. Che cosa garantisce, infatti, che le scelte delle nuove associazioni siano sempre guidate dal benessere della collettività e non vengano influenzate da interessi privati particolaristici?   In parte si fa affidamento sul check&balance che dovrebbe instaurarsi tra le associazioni dei medici (il lato privato e scientifico-tecnico) e le Istituzioni di governo del territorio (il lato pubblico e amministrativo e di supervisione). 
 
Ma non è affatto ovvio che emergano spontaneamente e rapidamente degli equilibri positivi in grado di creare reputazione e modelli virtuosi di governo. D’altro canto, bisogna anche sottolineare come il Regno Unito sia tra i Paesi che già da tempo hanno sviluppato strumenti di ranking degli erogatori e di verifica ex-post delle pratiche prescrittive e delle performance terapeutiche, che adesso possono essere adattati a sostegno del nuovo assetto. È presumibile serva un periodo di rodaggio e di aggiustamento delle regole.   Un’altra fonte di criticità, collegata alla prima, nasce sul fronte dell’offerta delle prestazioni. La riforma punta ad una netta separazione tra la fase delle programmazione/committenza e quella della erogazione delle prestazioni. Per quest’ultima è prevista una totale apertura a concorrenza che, auspicabilmente, dovrebbe favorire la selezione dei provider migliori, in qualità ed efficienza produttiva. Le strutture pubbliche dovranno trasformarsi tutte in fondazioni con autonomia di bilancio, e saranno poste sullo stesso piano delle strutture private ai fini dell’accreditamento e della contrattualizzazione da parte del NHS. Anche qui può continuare un parallelo con l’Italia, perché di disarticolazione tra Asl e strutture ospedaliere si è discusso spesso, e qualche Regione (si pensi alla Lombardia) si è anche mossa in questa direzione. Se su di un piano teorico il disegno ha la sua coerenza logica, nella realtà dei fatti, per funzionare bene, ha bisogno di essere assistito da una adeguata cornice regolatoria. 
 
Bisogna evitare che possano verificarsi casi di “cattura” del committente da parte di questo o quell’erogatore, o casi di “sclerosi” dei rapporti contrattuali con la tendenza a rinnovarli anche quando fossero disponibili soluzioni migliori. L’esperienza lombarda porta, purtroppo, testimonianze di queste disfunzioni, anche se in un contesto in cui, a differenza del nuovo assetto Uk, la politica ha sempre mantenuto una forte presenza nelle scelte operative. Ma c’è anche un altro rischio regolatorio da non sottovalutare: che gli erogatori si concentrino sulle prestazioni ad alto valore aggiunto più facili da offrire con prezzi concorrenziali, lasciando scoperte le prestazioni più complesse e con più elevati costi fissi, quelle che integrano maggiormente i livelli essenziali di assistenza. Un rischio di screaming sulle prestazioni che, se assecondato dai programmatori/committenti, potrebbe complicare la sostenibilità economico-finanziaria degli erogatori impegnati nell’offerta delle prestazioni più complesse (presumibilmente in primis quelli pubblici trasformati in fondazioni). Per evitare che questo accada è necessario rafforzare i criteri di accreditamento, effettuare verifiche periodiche sulla qualità e sui tempi di tutte le prestazioni erogate, e scegliere una struttura tariffaria che non si faccia trainare solo dal mercato ma che inglobi degli elementi di premialità capaci di indirizzare tutto il sistema verso gli equilibri più virtuosi.   Il Regno Unito, come si è detto, non arriva impreparato sul piano della regolazione applicata alla sanità. 
 
Ciò nonostante bisognerà prestare attenzione agli snodi regolatori qui sinteticamente ripercorsi, che non si risolvono per il sol fatto di avere allontanato la sfera politica dalle scelte sanitarie operative. Bisognerà tenere alta l’attenzione soprattutto nella fase di rodaggio, ed esser pronti ad apportare correttivi. Si va verso un sistema più dinamico, flessibile e disarticolato che, a fronte dei vantaggi di efficienza, efficacia e adattabilità al territorio, può sollevare nuovi problemi di governance che bisogna esser pronti ad affrontare.    
 
Nicola C. Salerno   
Cerm
 
Sul tema vedi anche gli articoli di Ivan Cavicchi e Grazia Labate

22 aprile 2013
© Riproduzione riservata


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