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Intesa Sanpaolo: allarme spesa sanità, nel 2050 peserà il 14% del Pil


È quanto prospettato da uno studio presentato oggi a Roma in un convegno promosso da "Intesa Sanpaolo" sul tema “Federalismo, rispetto delle regole e crescita”. Senza interventi di razionalizzazione  del sistema la quota delle spese per la salute equiparerà quella pensionistica diventando di fatto insostenibile.

20 OTT - Federalismo e sanità, rispetto delle regole e potenzialità di crescita. Di questo si è dibattuto stamane a Roma, presso il Complesso monumentale di San Michele a Ripa Grande, durante l’incontro promosso dal gruppo bancario "Intesa Sanpaolo". Durante la mattinata di lavori è stato presentato anche uno studio, curato dalla stessa banca e dal Cerm, che ha analizzato il “sistema della salute” italiano non solo evidenziandone le ormai note criticità, ma andando a porre in luce quelle che sono le sue potenzialità, utili anche ad un possibile rilancio dell’economia nel Paese. L’analisi di sistema è partita dal contesto della riforma federalista, che di fatto è destinata a condizionare le prospettive future di questo settore.
Attualmente la spesa sanitaria in Italia si attesta su circa 142 mld di euro, equivalenti a circa il 9% del Pil. In Italia, per ogni euro speso in sanità si generano complessivamente 1,7 euro, considerando anche l’indotto. Proprio per questo gli investimenti in questo settore potrebbero costituire un ottimo volano di politica economica. Una politica di acquisti pubblici, orientata all’innovazione, ad esempio, darebbe una forte spinta al nostro comparto hi-tech. Diviene però necessario, anche in ottica di riforma federale, razionalizzare il sistema sanitario, poiché, secondo le previsione del Rapporto presentato, nel 2050 il crescente peso della spesa sanitaria, nonché la sua incidenza sul Pil, potrebbe raddoppiare arrivando a pareggiare quello della spesa pensionistica pubblica (che si dovrebbe stabilizzare sul 14% del Pil). Un peso che rischierebbe di ingessare il Paese relegandolo ad una situazione di fatto insostenibile.
Su questo scenario e sui suoi possibili sviluppi sono intervenute personalità di spicco della politica e della finanza.

Raffaele Fitto, Ministro per i Rapporti con le Regioni. “La sanità in Italia è caratterizzata da un sistema a macchia di leopardo, il problema della mobilità passiva nelle Regioni del Sud ne è la cartina di tornasole. Dal 2001 si è attivato un percorso positivo che ha però dei limiti: ci si è concentrati più sui deficit che sulle cause che li hanno generati. Posso portare ad esempio un dato che esprime in maniera lampante alcune contraddizioni che esistono da troppi anni: un quarto delle risorse destinate al Sud, dall’ 88 ad oggi, non sono state spese. Il federalismo deve dunque partire da una mancanza di assunzione di responsabilità da parte degli amministratori pubblici e da un mancato efficientamento della spesa pubblica. Non scordiamo che, nel passaggio dai costi storici ai costi standard, la Legge 42 prevede quel fondo di perequazione e quella gradualità che sono chiari aspetti di garanzia per quelle Regioni che oggi si trovano in  situazioni di deficit”.
 
Lionello Cosentino, Commissione parlamenta d’inchiesta sull’efficace e l’efficienza del Ssn. “Secondo l’Oms, per quanto riguarda la sanità, siamo il secondo miglior Paese al mondo. In realtà l’Italia ha due sistemi sanitari ben distinti: quello del CentroNord, e quello del Sud. Nel CentroNord, negli ultimi 10 anni, si è avuta una vera e propria rivoluzione di efficienza, ed è stato fatto un lavoro straordinario di ammodernamento. Al Sud tutto questo non è avvenuto. I problemi del meridione sono legati alla carenza di infrastrutture, ma anche e soprattutto ad un problema di knowhow. La sfida del federalismo non può e non deve essere quella sulla ripartizione dei fondi, ma quella di creare Piani di Rientro che superino la loro fase sperimentale e riescano a portare efficienza, fondi e soprattutto knowhow da Regioni ‘virtuose’. Altro punto vitale sarà la creazione di un sistema di valutazione trasparente, ed un permanente monitoraggio, per evitare quelle situazioni che col tempo si sono ingigantite ed hanno ingabbiato, soprattutto le Regioni del Sud, nelle situazioni attuali.
 
Andrea Beltratti, Presidente Consiglio di gestione Intesa Sanpaolo. “Noi di Intesa Sanpaolo ci vogliamo porre come avanguardia nel sistema sanitario e possiamo annunciare che, a seguito di  una lunga trattativa, la banca e i sindacati hanno firmato un accordo che da gennaio darà il via ad un'unica cassa sanitaria di gruppo. Quando vi saranno confluiti i lavoratori, i pensionati e i loro familiari, la struttura sarà la più grande in Italia e tra le maggiori in Europa, con 100 mila iscritti e oltre 200 mila beneficiari delle prestazioni. La nuova cassa si fonda su tre valori fondamentali: equità, solidarietà e sostenibilità. Avrà un unico bilancio con uguali prestazioni ma contabilità separata e autonoma tra iscritti in servizio e pensionati per garantire l'equità. Per assicurare piena sostenibilità, le prestazioni erogate da strutture private saranno rimborsate differendo una quota del 20% a metà dell'anno successivo con subordinazione al risultato del bilancio e priorità per i portatori di handicap. Il rimborso sarà integrale e immediato in caso di ricorso al Ssn. La contribuzione annua a carico di Intesa Sanpaolo sarà di 900 euro, con rivalutazione Istat, per ogni dipendente. A Intesa Sanpaolo andranno gli oneri di amministrazione e gestione, con l'assunzione dei 27 lavoratori di Cassa Intesa”.
 
Stefano Cetica, assessore regionale Lazio al Bilancio. Nel Lazio la sanità costa 11 mld di euro l’anno, e pesa per due terzi dell’intero bilancio. Ogni giorno la Regione spende 300 mila euro per interessi sul debito. Nell’applicazione della riforma federale, e dei costi standard, il primo problema è stabilire quelle che saranno le ‘dimensioni della torta’. Si dovrà poi stabilire con chi si dovrà fare il benchmarking, viste le differenti specificità di territorio e popolazione tra Regione e Regione, infine vi è un esigenza di chiarezza su come si fanno e si pesano i costi standard”.
 
Mario Ciaccia, Amministratore delegato e Direttore Generale Banca infrastrutture, innovazione e sviluppo. “Partendo dagli assunti prospettati fin’ora e ben spiegati nel Rapporto, ci troviamo davanti ad una situazione che ci pone di fronte ad un bivio: un insostenibilità di sistema, o il ricorso ad una maggiore partnership pubblico-privato. Occorrerà dunque considerare il settore sanitario anche come un investimento. Ad oggi, la spesa sanitaria privata è solo un quinto di quella pubblica. Senza il sostegno delle banche, sarebbero mancati quei 4,4 mld di euro che, fino a questo momento, sono stati investiti per infrastrutture nel settore sanità. L’esposizione delle banche nel settore  ammonta a 17 mld di euro. Viste le previsioni di piena insostenibilità di sistema sarebbe necessario prospettare un forte intervento del privato nella sanità. I 400 mld di spesa prospettati nel 2050 porterebbero al collasso del sistema. Mirati interventi di efficientamento ed un’importante incremento dei fondi sanitari integrativi, potrebbero contenere la crescita della spesa, che, in questo caso, potrebbe stimarsi sui 250 mld di euro. Per far questo, però, sarà necessario riscoprire il ruolo della sanità pubblica e incentivare una nuova cultura moderna della sanità. Si devono mettere in competizione pubblico e privato, ed arrivare ad una completa e definitiva riqualificazione dei fondi integrativi in modo da liberare capitale da poter investire nello sviluppo della filiera”.
 
Fabio Pammoli, direttore Cerm. “Come si è più volte detto in Italia la speranza di vita media si alza sempre più, il che comporta da una parte un possibile incremento della produttività, ma dall’altra anche un’ problema di sostenibilità del sistema. Il sistema sanitario ha bisogno di essere riformato per non arrivare al suo collasso, ed anche perché, dove i conti fanno registrare i deficit più alti, si può riscontrare la qualità più bassa a livello di prestazioni erogate. Una situazione inaccettabile per il cittadino. La riforma federale dovrà metter mano a tutte queste problematiche, in particolare con la definizione dei costi standard ed il banchmarking. Giustamente si è deciso di definire una regola di riparto che tenga conto delle diverse situazioni demografiche e territoriali, per arrivare ad una definizione più equa di questi standard (mix tra quota capitaria secca e ponderata per fasce d’età)”.
 
Gregorio De Felice,Chief economist Intesa Sanpaolo. “L’analisi del sistema sanitario per noi non è solo uno studio di criticità note, ma anche e soprattutto di potenzialità del settore. Il federalismo può essere una grande occasione per riportare stabilità in un settore che, se ben governato, potrà contribuire alla crescita economica del Paese. Negli ultimi 20 anni, in Italia, la spesa sanitaria non è cresciuta di più rispetto ad altri Paesi. Non spendiamo cifre più alte. La componente pubblica della spesa sanitaria è pienamente in linea con quella degli altri Paesi europei. Il settore poi, ricordiamo, ha alcune peculiarità: non è de localizzabile, richiede un alto tasso qualitativo degli operatori che si lega ad un’alta quantità di personale impiegato, ed è fortemente caratterizzato da uno sviluppo tecnologico. Proprio grazie a queste sue caratteristiche, che lo rendono unico, il settore sanitario, se ben indirizzato, potrà diventare un ottimo volano per il rilancio economico del Paese. Restano però da superare quelle gravi disomogeneità territoriali, ed in particolare la mancanza di infrastrutture adeguate al Sud ”.
 
Angelo Lino Del Favero, presidente Federsanità-Anci. “Uno degli aspetti cruciali che, nel tempo, ha contribuito a creare questo gap tra Nord e Sud del Paese, è quello legato alle infrastrutture. Un terzo degli ospedali italiani sono stati realizzati negli anni ’40. Solo il 10% dei nostri ospedali è stato costruito, dopo gli anni ’90, secondo criteri moderni di antisismicità e di flessibilità. In particolare il Sud ha urgente bisogno di investimenti legati ad infrastrutture moderne. Altro aspetto essenziale su cui puntare è quello relativo all’area amministrativa: puntare su sistemi integrati di gestione che riescano ad assicurare bilanci chiari e credibili. Molte delle gravi situazioni di bilancio registrate nel Meridione sono strettamente intrecciate proprio con questo genere di carenze organizzative”.
 
G.R.

20 ottobre 2010
© Riproduzione riservata


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