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Non autosufficienza. "Badare non basta", un libro dedicato alle badanti 

di Gennaro Barbieri

Il volume di Sergio Pasquinelli e di Giselda Rosmini analizza la storia, gli aspetti assistenziali e le esperienze internazionali. In Italia sono circa 830mila le assistenti familiari e quasi due terzi lavorano in modo irregolare. In maggioranza straniere ma la crisi sta facendo aumentare anche la presenza italiana, oggi al 10% del totale 

01 AGO - La crisi economica continua a mordere pesantemente, erodendo il potere d’acquisto e drenando i risparmi delle famiglie. Una dinamica che non sembra però intaccare minimamente il lavoro privato di cura, che continua ad affermarsi come la risposta prevalente alla non autosufficienza. Si tratta di un fenomeno difficilmente quantificabile, in quanto massicciamente caratterizzato dal sommerso e poiché la parte regolarmente occupata è inclusa nella categoria più ampia dei lavoratori domestici, cioè le colf, e i dati ufficiali non permettono di distinguere tra le due figure.

E’ proprio sulla base di questi elementi che Sergio Pasquinelli, direttore di ricerca dell’Istituto per la ricerca sociale di Milano, e Giselda Rusmini, sociologa e coordinatrice della redazione di Qualificare.info, hanno dato vita al volume “Badare non basta” (Edizioni Ediesse), che fornisce un’accurata panoramica storica del fenomeno e delinea un bilancio sullo stato attuale del lavoro privato di cura nel nostro Paese, dettagliato con rilievi statistici e numerici frutto di anni di ricerche. Il tutto senza trascurare la dimensione umana, e in alcuni passaggi anche antropologica, che rappresenta indubbiamente un valore aggiunto per un lavoro di carattere prettamente scientifico e arricchito anche da un’ampia letteratura sul dibattito internazionale relativo a questi temi. Gli autori si concentrano infine sulla pars construens del problema, elaborando delle proposte operative circa gli interventi da mettere in campo per sostenere famiglie e assistenti famigliari.

In Italia le persone non autosufficienti sono circa 2,3 milioni, cifra destinata a raddoppiare tra vent’anni. La risposta a questo crescente fabbisogno è rappresentata dal lavoro di cura privato, svolto quasi interamente da donne, prevalentemente straniere. In questi ultimi anni però la presenza italiana, che ammonta a circa il 10% del totale, sta aumentando, tendenza che gli autori attribuiscono in buona parte alla crisi e alla necessità di molte persone di trovare nuove fonti di reddito. L’età media è di 42 anni e le più anziane sono le europee dell’Est (49 anni) e le italiane (48). Per quanto riguarda le straniere, un’ampia maggioranza proviene dall’Europa orientale (Ucraina, Romania e Moldavia) e dal Sud America (Ecuador e Perù).

Nel complesso sono 830mila le assistenti familiari che, in base alle stime proposte dal volume, lavorano in Italia. Una cifra che costituisce la sommatoria di componenti tra loro molto eterogenee: il 26%, pari a 216 mila persone, lavora e risiede irregolarmente in Italia; il 36%, pari a 299mila unità, pur risiedendo in maniera regolare, lavora senza contratto; il 38%, pari a 315mila lavoratrici, è impiegato con un regolare contratto. Emerge quindi un dato allarmante: l’irregolarità riguarda quasi due terzi delle assistenti familiari operanti nel nostro Paese.

Per quanto concerne la condizione lavorativa, la coresidenza con l’assistito caratterizza circa 6 assistenti su 10. Negli ultimi anni però la tendenza preponderante è quella di una diminuzione della coresidenza e di un incremento del lavoro a ore. I motivi di questo andamento, spiegano gli autori, sono essenzialmente due. “Il primo, intuitivo, è che il lavoro a ore offre garanzie di libertà molto maggiori, anche se naturalmente è accessibile solo a chi ha un’abitazione autonoma. A una relazione di intenso coinvolgimento personale, inoltre, si somma la differenza di abitudini che, in uno spazio domestico, può facilmente esasperare e generare conflitti. Il secondo motivo, meno intuitivo, è legato ai livelli retributivi. Una efficiente organizzazione del lavoro a ore genera infatti uno stipendio netto mensile pari o addirittura superiore a un lavoro fisso, mono-cliente”. Elementi che emergono da un’analisi corredata da riscontri puntuali e circostanziati, prodotti grazie a 900 interviste faccia a faccia, realizzate durante sette anni di lavoro, e oltre 320 incontri con famiglie e operatori dei servizi pubblici e del privato.

La parte finale del volume presenta proposte operative, partendo dal caso francese che in materia rappresenta ormai un modello ineludibile. “Da quando negli ultimi anni l’esperienza francese ha cominciato a dare risultati concreti in termini di occupazione regolare e di tutela delle fasce più deboli, essa è diventata oggetto di studio anche all’interno di vari progetti europei”. Il riferimento alla Francia risulta inoltre ancor più significativo se si considera che “in precedenza non si discostava dai problemi che affliggono il settore dei servizi alla persona in altri Paesi, come la frammentazione dell’offerta e l’alta incidenza del lavoro sommerso e irregolare”. La bontà dell’esperienza francese affonda le radici nel novembre 2004, quando fu convocata una conferenza nazionale per discutere il mercato dei servizi alla persona. Fu un’occasione di confronto tra rappresentanti dei ministeri, sindacati, associazioni delle famiglie e fornitori di servizi. Il risultato della conferenza fu il cosiddetto ‘Piano Borloo’, dal nome dell’allora ministro del Lavoro. “Fu il risultato dell’integrazione degli strumenti in differenti ambiti politici e amministrativi, in modo che i problemi del settore potessero essere affrontati contestualmente”.

Un approccio che ha permesso di sviluppare notevolmente il mercato regolare dei servizi alla persona: +15% tra 2009 e 2012, quasi raddoppiato rispetto agli anni Novanta, con centomila posti di lavoro in più all’anno negli ultimi quattro anni. Nel complesso il volume di affari del settore è arrivato a 16 miliardi nel 2008 e a 17,6 miliardi nel 2011, pari all’1,1% del Pil. Un esempio cui guardare con attenzione e da cui trarre insegnamento. “Per il ritardo a concepire la famiglia come possibile datore di lavoro, per la confusione nella strumentazione nel mercato del lavoro e per l’elevata incidenza di lavoro irregolare a basso costo, caratterizzato soprattutto dalla presenza di donne straniere, è facile intuire come l’Italia sia uno di quei Paesi che potrebbe trarre giovamento da un’analisi e da un’ adattamento dell’esperienza francese”.

A livello di interventi da mettere in campo in Italia, Pasquinelli e Rusmini individuano quattro grandi direttrici: riformare il sistema dei flussi migratori; potenziare gli sgravi fiscali; riformare l’indennità di accompagnamento; qualificare il lavoro di cura, sostenere e accompagnare famiglie e assistenti nel loro rapporto. “Su questi diversi piani si gioca la possibilità di qualificare il lavoro privato di cura nel nostro Paese”. Sono quindi complesse ed eterogenee le sfide che attendono il nostro Paese per la costruzione di un welfare più efficiente. E proprio in questo senso il volume “Badare non basta” può rappresentare un valido e ricco punto di partenza, grazie a un ottimo bilanciamento tra l’approccio analitico e uno sguardo propositivo.
 
Gennaro Barbieri


01 agosto 2013
© Riproduzione riservata


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