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Immigrati: “Per una buona salute servono politiche giuste”


Si intitola così il capito del Rapporto 2010 della Caritas-Migrantes dedicato alle condizioni di salute degli immigrati che vivono in Italia.

27 OTT - Sono 5 milioni gli stranieri che vivono nel nostro Paese. Tra i 500 e i 700 mila i clandestini. Ma se negli anni si è consolidata l’attenzione delle politiche sanitarie verso l’analisi del bisogno di salute degli immigrati, con cure assicurate quasi ovunque anche agli irregolari e ai comunitari sprovvisti di copertura sanitaria, resta tuttavia la necessità di lavorare su una “politica migrant friendly per servizi culturalmente sensibili e competenti rispetto ai bisogni specifici della popolazione stranire, a partire dal superamento delle barriere di lingua e cultura sia per gli utenti che per il personale sanitario.
Questo, in estrema sintesi, il quadro illustrato nel capitolo dedicato alla sanità del Rapporto 2010 presentato dalla Caritas Italiana e dalla Fondazione Migrantes e presentato ieri a Roma.
In generale, tra gli immigrati si registra un sostanziale miglioramento dell’accesso alle cure. Per quanto riguarda i bisogni di salute, per gli uomini permane un tasso di ospedalizzazione in regime ordinario legato soprattutto a fratture e traumatismi. L’appendicite acuta e le bronchiti sono più frequenti tra gli immigrati provenienti dai Paesi a forte pressione migratoria (Pfpm), mentre tra cittadini provenienti da Paesi a sviluppo avanzato (Psa), tra cui gli italiani, troviamo le patologie cardiache, quali l’insufficienza, l’infarto e le aritmie. Per quanto riguarda i ricoveri in Dayhospital, prevalgono in entrambi i gruppi gli accessi per chemioterapia, seguiti dalle patologie croniche (come il diabete mellito) tra i Psa e le malattie infettive tra i Pfpm.
Il parto e altri bisogni riconducibili alla salute riproduttiva sono invece le cause più frequenti di ricovero ordinario tra le donne provenienti da Pfpm, mentre tra le Psa predominano le patologie croniche, legate all’insufficienza cardiaca e all’artrosi.
Si conferma alto, il ricorso alle interruzioni volontarie di gravidanza tra le immigrate. Il ricovero in day hospital per questo intervento registra il 41% di accessi tra donne immigrate da Pfpm,  a fronte del 4% registrato tra le donne dei Psa.
A preoccupare, però, non è solo l’eccessivo ricorso all’aborto da parte delle donne straniere. Nel Rapporto Caritas-Migrantes si ricorda, infatti, come dall’analisi dei CeDAP emerga che le donne provenienti da Pfpm sono più a rischio di avere un accesso ritardato alle cure rispetto alle donne dei Paesi sviluppati. Il rischio diminuisce con l’età, indipendentemente dalla provenienza, ma contestualmente alle condizioni di vita e di lavoro.
Crescono anche le infezioni sessuali, contestualmente all’aumentare della presenza di immigrati in Italia: la proporzione annua di infezioni sessualmente trasmissibili tra gli stranieri (in maggioranza europei e africani) è passata dal 10% nel periodo fino al 1994 al 35% del 2008, per un totale di 18mila notifiche in quasi 20 anni. Si tratta per lo più di eterosessuali, con bassa scolarità, poco propensi all’uso di droghe (1,2%) e che in un caso su cinque hanno già avuto in passato un’infezione sessualmente trasmissibile. In particolare, più che negli italiani viene diagnosticata la gonorrea (9,3% contro il 4,1%), la sifilide latente (15,6% contro il 6,9%) o l’infezione da clamidia (8,1% contro il 5,7%). La prevalenza dell’infezione da HIV (virus dell’AIDS), invece, risulta minore rispetto agli italiani (5,3% contro il 8,8%).

Secondo la Caritas e la Fondazione Migrantes, permane dunque una “fragilità sociale ed ancora una difficoltà d’accesso ai servizi sanitari per gli immigrati in Italia: non bastano delle buone pratiche più o meno isolate per garantire salute ma servono politiche eque, attente, con applicazione capillare e diffusa”. Un compito che oggi, secondo le due associazioni, spetta soprattutto alle Regioni e ai Comuni. In particolare per potenziare sia una pianificazione sanitaria specifica, su alcuni punti chiave per migliorare l’equità di accesso e la qualità di trattamento delle cure degli stranieri: la comunicazione e l’informazione rivolta a tutti gli immigrati; il superamento delle barriere di lingua e cultura sia per gli utenti che per il personale sanitario attraverso anche interventi di mediazione linguistico-culturale; investimento sulla formazione degli operatori di tutti i presidi sanitari, a partire da quelli a maggior flusso di immigrati. Questi i primi passi per una vera politica della buona salute.
 

27 ottobre 2010
© Riproduzione riservata


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