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Il riformista che non c’è. Attenzione, la voglia di privato in sanità è tanta

di Daniela Francese

Il libro di Cavicchi arriva in una fase molto delicata per i destini della sanità pubblica italiana. L’offensiva privatistica contenuta nella nota di aggiornamento al Def è solo momentaneamente stoppata. Serve veramente un riformista illuminato che ribadisca in modo inequivocabile la preminenza del diritto alla salute su qualsiasi altro interesse

31 OTT - Il riformista che non c’è è il titolo dell’ultimo libro di Ivan Cavicchi con cui vuole stanare, stuzzicandolo e provocandolo, quel riformista di cui la sanità ha disperato bisogno e che latita. Lo incita a venire allo scoperto, a non aver paura della sua "ignoranza" perché da lui ci si aspetta "solo" che faccia politica, quella nobile, che ascolta chi ne sa, che dialoga, che si muove alla ricerca di compossibilità. Un termine che Cavicchi sottolinea con forza perché procede in direzione dei diritti, e non dei limiti economici a cui essi sono da sempre vincolati, come dimostrano tutte le "riforme" che si sono succedute, dettate sempre da una logica economicistica e mai da un ripensamento. Mai da una rimodulazione del Servizio sanitario nazionale, in quanto "interesse generale per fare ricchezza", in quanto punto di convergenza tra Stato e cittadino legati da un patto di corresponsabilità.
 
Nella recente intervista di Fassari su QS , Cavicchi offre, senza presunzione ma con generoso slancio, analisi e idee di riforma con l’intento di aprire un dibattito onesto e fattivo, perché di chiacchiere che risuonano di convegno in seminario, di tavola rotonda in work shop, di forum in congresso ne abbiamo tutti sentite a profusione, mentre adesso è il momento di agire. L’idea che ci offre è quella di riformare il modello di tutela in gran parte ancora fermo al genere di consumi sanitari di stampo mutualistico. Quindi una riforma culturale prima ancora che ordinamentale.
 
"Done is betterthan perfect" dicono gli inglesi, cominciamo allora a fare perché come e dove intervenire lo sappiamo. Ciò che manca è quella cheNapolitano ha definito "politica dialogante" con cui sostituire la politica del ricatto; delle bugie travestite da verità; della paura di futuro, agitata come uno spauracchio per tagliare via ad ogni sbandierata un pezzo di diritto. Ma non solo. Da rivedere è anche la politica della "stabilità", riproposta recentemente con la legge finanziaria, tanto evocata quanto disattesa, nel cui nome si perpetuano tagli soprattutto al lavoro che cadono come ghigliottine sulle teste di tanti cittadini e che ci hanno traghettati in uno spazio angusto, definito post welfarismo, la cui caratteristica principale è il conflitto fra diritti e risorse.
 
Inutile dire che in un sistema in cui la salute è ancora vista come assenza di malattia, e non come un bene-risorsa da promuovere e su cui investire, un indicatore di benessere anziché iniquità sociale, quel post non significa oltre, nel senso di un superamento in meglio, ma al di là,ovvero ingresso in un nuovo mondo le cui leggi sono declinate in termini di interessi, non collettivi come recita l’art. 32, o "generali" come propone Cavicchi, bensì "privati", che rispondono cioè alle necessità di minoranze sempre più esigue e sempre più potenti. E’ il mondo della finanza e delle multinazionali, sono le moderne massonerie che si sono sostituite alla politica uccidendo il dialogo, il confronto e con essi i diritti.
 
Quando in un paese si è chiamati a scegliere tra salute e lavoro come dimostrano gli esempi dell’Ilva di Taranto e dell’Eternit a Casale; tra salute e ambiente come le attualissime contrapposizioni tra i fronti del si e del no per la Tav in Val Susa o per il passaggio delle grandi navi a Venezia; tra salute e riduzione delle tasse, c’è bisogno di un serio confronto che giunga ad elaborare un progetto condiviso per indicare al Paese la direzione di marcia. Questa è la sollecitazione che promuove Cavicchi con il suo libro e qualcuno sembra averla raccolta, peccato che la risposta non è quella attesa. Ma è arrivata. Mi riferisco soprattutto alla nota di aggiornamento al Def, approvata lo scorso 20 settembre, in cui si è tentato di sdoganare quella "sanità selettiva" propugnata da Maurizio Sacconi, ministro per il Lavoro e le Politiche Sociali del quarto governo Berlusconi, ripresa dall’ex presidente del Consiglio Mario Monti e contro cui si erano levati tanti scudi del sindacato, dell’associazionismo, della società civile più progressista . Maurizio Crozza in una delle sue copertine di Ballarò disse che tali affermazioni facevano "venire voglia di Che Guevara", perché oggi che la rispolvera Letta non si legge né si ascolta un commento tra i tanti paladini del diritto e del libero pensiero che affollano le prime serate in cui tutto si racconta per niente spiegare?
 
Possiamo capire la difesa degli economisti, portati a considerare un fenomeno in termini di costo/efficacia, ma dove sono stati riposti tutti gli scudi contro quella che giustamente Cavicchi ha definito "controriforma"? Se il tentativo di assicurare prestazioni "rivolte principalmente a chi ne ha effettivamente bisogno” della nota al Def per ora è stato stoppato, anche grazie ai pareri di merito del Parlamento, sappiamo tutti che esso si riproporrà nella discussione sui livelli essenziali di assistenza (LEA) al tavolo tra governo regioni con il famoso “patto per la salute”.
C’è qualcuno che si è soffermato a considerare il contesto storico, geografico e politico in cui tale svolta si muove? Che si è chiesto chi è colui che "ne ha effettivamente bisogno" ? E come potrà riuscire a stabilirlo in un Paese dove convivono tre Pil: quello ufficiale, che Eurispes nel rapporto Italia 2012 valuta in 1.540 miliardi di euro, quello sommerso di 540 miliardi di euro e quello criminale di 200 miliardi di euro? Che non ha avuto alcun dubbio sulla difficoltà di attribuire la patente di "bisognoso" con un’evasione fiscale stimata in 170 miliardi di euro l’anno?
 
E poi, se anche nel merito si trovasse risposta a tutte queste domande, del modo ne vogliamo parlare? Dell’assenza di "politica dialogante" che anche di fronte a svolte epocali che incidono sulla vita di milioni di persone fa scivolare fra le righe parole come "selettività" senza aver mai aperto un dibattito? O, che, mentre chi scrive di sanità e vi lavora si sbraccia alla ricerca di quell’ectoplasma di riformista, offre a tutta pagina il suo colpo di genio spazzando via con due parole anni di onesti – quanto inascoltati – contributi per una sanità davvero pubblica e davvero efficiente? Il Trip Advisor della salute, così come lo ha definito il ministro Lorenzin a cui, perdoni l’ardire, rispondiamo con una battuta di Totò: "Ma mi faccia il piacere"!
 
Se queste sono le risposte che ci vengono date dalla politica abbiamo molto di cui preoccuparci e di cui non assolverci perché, lo ha ben espresso papa Francesco in una sua recente omelia: "io sono responsabile del loro governo e devo fare il meglio perché loro governino bene e devo fare il meglio partecipando nella politica come posso" perché essa " è una delle forme più alte della carità, perché è servire il bene comune".
 
Noi, con umiltà e tanta passione lo facciamo con le parole, Cavicchi con le sue rigorose analisi e le sue proposte da cui estorciamo a tutta forza una provocazione: confrontiamoci, usciamo da gli steccati delle corporazioni, dalle logiche degli interessi personali, mettiamo a frutto non solo il nostro sapere di cui abbiamo infarcito stagioni di congressi, ma le nostre passioni che sono il vero motore dell’agire. Trasformiamoci nel pungolo che stuzzica non per infastidire, non per provocare, ma per fare. E chissà che non troviamo pure quel riformista che ancora non c’è.
 
Daniela Francese

31 ottobre 2013
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