Quotidiano on line
di informazione sanitaria
Venerdì 19 APRILE 2024
Studi e Analisi
segui quotidianosanita.it

La grande crisi dei medici e la “riscoperta” del lavoro di cura

di Sandra Morano

Bisogna ritornare, dopo decenni, a ridiscutere il fondamento di quest’arte che è modernamente andato perso, e con esso la relazione, e con questa la rappresentanza. E non bisogna avere vergogna di parlarne, come sembra che oggi avvenga: vite spese a prendersi cura di corpi e sentimenti non sono paragonabili a tanti altri lavori

14 GEN - Curati e curanti oggi sono più che mai accomunati da un unico destino, che ne vuole limitare la presenza e cancellare l’identità. Mentre, però, le ragioni dei curati sono ben sostenute da organizzazioni in cui, finalmente, essi iniziano ad avere voce per rivendicare principi di dignità ed autodeterminazione, i curanti (medici) si trovano nel punto di maggiore crisi professionale ed identitaria della loro storia. Non più assolutizzati, come fino agli inizi del secolo scorso, minati dal progresso della tecnologia, sospesi tra una formazione infinita ed una sempre più incerta collocazione, non godono più come categoria di buona salute, tra immagini caricaturali, divisioni interne, ed atteggiamenti da nobiltà decaduta in una realtà cambiata a passi da gigante. Crisi, più che di un ruolo (i ruoli passano), di un lavoro di cura, che comunque, anche se cambiano i tempi-e le economie-, mantiene intatta tutta la sua complessità. A partire dalla scelta di vicinanza a temi cruciali dell’esistenza: la vita, la morte, la malattia e la sofferenza, la responsabilità, elementi che già di per sé rendono questa professione per molti versi unica ed insostituibile, a dispetto di tentativi di ridimensionamento anche nei confronti di altre professioni di cura.
 
Ripartire dal lavoro
Oggi, per dirla con Cavicchi, “ il lavoro come fattore di cambiamento è stato completamente dimenticato ed è diventato il vero nemico da abbattere(tagli lineari, blocco contrattazione, peggioramento delle condizioni economiche e organizzative)”. Per questo occorre il passaggio dall’atto (compiti burocratici, profili, mansioni) all’agente, “colui che lavora e che è definito da contesti, che garantirà che tutto quello che lo ha definito sarà in ogni atto che compie: così si definiscono le professioni , che non possono essere indipendenti dalle capacità cognitive dell’operatore”. Il lavoro dimenticato, o meglio, messo (troppo) in secondo piano rispetto al contenitore (organizzazione, salario, contratti, ecc), che deve tornare alla ribalta perché “per cambiare ciò che è sempre identico a se stesso è necessario immaginare ciò che può essere altro da se stesso…. Quando ciò che è diventa la premessa di ciò che può essere si entra nella logica della alternativa.”
 
Carlo Lusenti, Assessore alla Sanità in Emilia Romagna, descrive “gli ingredienti ..che bisogna avere dentro per fare questo benedetto mestiere .. passione civile, correttezza formale, sostanziale e chiara identità del ruolo quando si è di fronte ad una persona che chiede risposte, che chiede aiuto, che ha bisogno che siano risolti problemi che in quel momento ha e la cui responsabilità incombe sulle spalle di chi ha di fronte. Al netto di tutto, dell’orario, del salario, della carriera, se uno si porta dentro queste cose io sono convinto che va lontano, e ci va serenamente.”
Sembra che alla base di questa crisi del sistema delle cure ci sia uno sfuocamento della materia di cui si parla, cioè, senza mezzi termini, che cos’è oggi fare il medico. Un mestiere che conserva ancora tutta la bellezza di cui parla Lusenti, oggetto ancora di timore, talvolta di invidia (perché altrimenti tanti –economisti, ingegneri, politici, amministrativi, sociologi, non medici- parlano e scrivono di quello che dovremmo fare, dettandoci tempi e agende?). E che , forse per questo, è oggetto da parte nostra di uno dei silenzi più assordanti. Fabrizio Consorti, presidente Sipem, parlando di formazione alla complessità inizia citando la bellissima canzone di Giorgio GaberScusate se vi parlo di Maria”. Siamo stati capaci in questi ultimi decenni di parlare di tutto, del Vietnam, della Cambogia, della democrazia, ma non di Maria. Maria è la libertà, la rivoluzione, Maria è la realtà. Maria , nel nostro caso, è il sentimento così profondo e così discordante verso le caratteristiche di un lavoro che permea tutta la nostra esistenza, che conosciamo profondamente, che facciamo fatica a capire come e quanto sia cambiato e soprattutto come cambierà ancora, anche grazie alla rimozione che noi stessi abbiamo compiuto in questi decenni sulle sue ragioni e sulla sua natura.
 
Cambiamento
Negli ultimi tempi ho ascoltato attentamente molti convegni in cui era declinata la parola cambiamento cercando un riferimento alle condizioni in cui continuiamo a lavorare, in un sistema che si sta sgretolando sotto i nostri occhi, in cui, a differenza che nelle generazioni precedenti, non è tanto il progresso tecnologico a comandare il gioco, ma sono i luoghi delle cure a trasformarsi fino a scomparire, lasciando sullo sfondo i curanti (e, ancor peggio, i curati). Tavole rotonde, corsi di aggiornamento, con protagonisti mutuati sempre più da altri mondi, dell’economia, dalle scienze ingegneristiche, della politica, a parlare a medici intorno ai 60 anni, ovviamente in difficoltà ad accettare non tanto i tagli quanto i linguaggi ancora estranei alla loro quotidianità. I sindacati, a loro volta, facilmente definiti come conservatori di un mondo che è oggi quasi spazzato via, si affannano, come sempre, a mediare, stavolta tra la vita di intere generazioni e la linea decisa in altre sedi. In particolare un giovane bocconiano ha iniziato la sua relazione con una serie di grafici che illustravano il cambiamento richiesto dalla produttività, ed ha finito con una diapositiva in cui campeggiava l’imperativo “adapt or die”. Non c’era molto spazio per le sofferenze che siamo chiamati a vedere, diagnosticare, com-patire, talvolta guarire. Che questo lavoro ha ancora la capacità di farci toccare da vicino.
 
Dovremmo veramente ricominciare da qui. Da come, miracolosamente, contrariamente alla crisi del sistema di formazione, esportiamo medici capaci; come, in piena crisi economico/politica, il nostro SSN esca così bene dalle indagini demoscopiche (vedi Ilvo Diamanti : ma ce ne era bisogno? Non lo constatiamo quotidianamente lavorando nelle condizioni peggiori degli ultimi decenni?). In quali altri campi lavorativi , in un momento come questo, possono proliferare dibattiti a catena come quello sulla ricerca di un riformista che faccia il suo dovere , o quello sulla peculiarità delle donne in Medicina? Ricordo le parole dell’oncologa Giuseppina Sarobba di Sassari : “Mi piacerebbe che il mio DG, o ancor meglio il mio Assessore alla Sanità stessero accanto a me un giorno di ordinario lavoro per capire la complessità di cosa facciamo, come lo facciamo, con quali strumenti, con quale qualità”. E quelle di M. Antonietta Calvisi, senologa di Nuoro:” ..questo sistema sanitario ..è un sistema sempre più improntato a imperativi di produttività con una gestione di risposte di tipo imprenditoriale, e allora praticare una senologia fatta di percorsi e condivisione con la donna come fulcro è veramente molto difficile…”. Questo confronto appassionato si è protratto per lungo tempo, in una società e in un SSN che si dice in crisi, fino a spingere Cavicchi al riconoscimento che la presenza delle donne in Medicina ha portato ad “una idea nuova nella quale il cambiamento coemerge da una visione nuova da parte della donna medico tanto della Medicina che della organizzazione sanitaria”.
 
Relazione e rappresentanza.
Il tema della relazione, tirato in ballo soprattutto riguardo al ruolo delle donne medico (un certo “innatismo”, una obiettiva maggiore facilità), lungi dall’essere rubricato come una “specialità “femminile”, ci riporta al significato della stessa, cioè “il mezzo attraverso il quale è possibile ripensare conoscenza/prassi e clinica”. “La differenza di genere non è solo un sistema arbitrario di soprusi ma è semplicemente una forma di antieconomia in tutti i sensi al pari di tutte le forma di anacronismo che riguardano i modelli organizzativi , la gestione finanziaria e le pratiche professionali ecc.”
 Anche la rappresentanza è in crisi. Ce lo ricordano quotidianamente tutti gli organismi democratici. C’è troppa distanza dai luoghi della vita reale in chi governa, oppresso dalla necessità di far tornare i conti.
 
Osserviamo le recenti manifestazioni di piazza, ricordiamo le condizioni in cui è nato l’ultimo governo, le non vittorie, le non sconfitte, le vere distanze della popolazione dalle urne . E per converso una crisi che investe anche il sindacato, nella difficile transizione. Prima ancora degli accadimenti di questi giorni, che ci ribaltano un paese attraversato da proteste di una parte di popolo che facciamo fatica a catalogare, ad incasellare in categorie a noi note, e talvolta anche a comprendere, il problema della rappresentanza era ampiamente conosciuto.
Probabilmente pensano che la gente lavori di più perché ha dei soldi da ricevere, ma questo non è vero. Perché se si vogliono mettere i soldi come meta, ma si comportano male nei confronti delle operaie e di tutti in generale, si sbagliano. Non sono i soldi che fanno gola, ma è il rapporto , il clima , l’ambiente in cui si lavora. (Delegate manerbiesi delle fabbriche tessili (Marzotto e Confezioni Manerbiesi) tra la fine degli anni ottanta e i primi dei novanta)
“Deve mantenere l’autorità sul lavoro chi il lavoro lo fa , non chi campa sul lavoro altrui. Chi svolge il lavoro conosce la qualità , il valore, le competenze e le esperienze che servono per svolgerlo al meglio, ed è per questo che le delegate non possono accettare il dispositivo “più salario solo se c’è più utile”, e ancor meno il combinato disposto “più salario a chi produce più pezzi, a chi fa più quantità”. Questa è una logica che purtroppo sta dominando perfino in ambito sanitario , gli ambulatori medici e le visite specialistiche: chi sforna più pezzi - più corpi ammalati - è più gratificato dai premi incentivanti; allo stesso modo , le università che sfornano più studenti laureati, a prescindere dalla loro effettiva formazione, sono le più premiate.”(Maria Rosa Buttarelli, Sovrane, L’autorità femminile al governo, Il saggiatore).
 
Queste frasi ci fanno capire come il sapere di chi il lavoro lo fa sia superiore a tutto, e ri-definisce la rappresentanza, in un continuum che dalle considerazione delle operaie tessili di Manerbio arriva alle tesi di filosofe come Hanna Arendt o Simone Veil, che hanno scritto molto sulla rappresentanza, negandone la organizzazione scissa dalla relazione. Dobbiamo, noi che facciamo, far sentire tutta l’autorevolezza e il peso , anche dell’agente, dei corpi pensanti che lo compiono. Non avere vergogna di parlarne , come sembra che oggi avvenga: vite spese a prendersi cura di corpi e sentimenti non sono paragonabili a tanti altri lavori. La odierna crisi di rappresentatività investe trasversalmente tutti (uomini e donne, giovani e meno giovani), come appare non solo a livello elettorale, ma nelle stesse sedi di categoria in cui invece è sempre stata sinonimo di solidarietà e difesa di diritti.
 
Le donne, i giovani
Le prime: un fenomeno di cui già oggi non si può più fare a meno, quelle che sembra siano destinate a mantenere ancora funzionanti i sistemi di cura (ma quando mai ne sono state estranee? Se mai, storicamente espulse, oggi ritornano ad essere visibili nelle istituzioni di assistenza e formazione). Le riflessioni sulla rappresentanza dovrebbero essere sollecitate soprattutto a loro.
I giovani: in ambito sanitario ricordano un po’ la generazione Omega del fantathriller “I figli degli uomini “di PD James , unici giovani superstiti in un mondo vecchio e distrutto, in cui da un paio di decenni non nascono più esseri umani, e in cui la convivenza tra generazioni, con i reciproci patrimoni, sembra non poter più esistere. Giovani su cui sono puntate tutte le speranze ma senza un domani, continuamente guardati, invocati, ma non e-ducati ad un futuro che gli adulti non sanno neanche immaginare. Questa la raccapricciante profezia del romanzo: nella realtà, nella nostra realtà, non è in un (inutile) duello tra sessi o generazioni, come pure inseguendo la” produzione di risorse e salute”, che si gioca la partita del futuro ( e del cambiamento come precondizione) tutta interna al nostro terreno. Bisogna ritornare, dopo decenni, a ridiscutere il fondamento di quest’arte che è modernamente andato perso, e con esso la relazione, e con questa la rappresentanza.
 
Sembra paradossale in questo momento storico, ma è di questo che bisogna tornare a parlare tra noi, vecchi e giovani, uomini e donne: di formazione, di complessità, di incertezza( i tre viatici di Edgar Morin: il pensare bene, la strategia, la scommessa, che suonano estremamente attuali e pertinenti). Non con economisti, ma con filosofi, storici, pedagogisti medici, medici tout court dobbiamo confrontarci , per riprendere il cammino che dalle ragioni ci possa condurre alla ragione dell’identità e del futuro della più antica professione di cura.
Un’artista non è mai povera” faceva dire Karen Blixen a Babette quando raccontò di aver speso tutto il patrimonio vinto alla lotteria nella preparazione del bellissimo omonimo pranzo (“Il pranzo di Babette”). Dopo anni in cui molto è andato perso, ma è anche stato sperperato, non solo posizioni, ma anche fiducia, dignità, quel che resta ancora di quell’arte non è poco. Che, a dispetto di tutto, il 2014 sia l’anno del pensiero, e della riflessione.
 
Sandra Morano
Ginecologa- Ricercatrice Università degli Studi di Genova

14 gennaio 2014
© Riproduzione riservata


Altri articoli in Studi e Analisi

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWS LETTER
Ogni giorno sulla tua mail tutte le notizie di Quotidiano Sanità.

gli speciali
Quotidianosanità.it
Quotidiano online
d'informazione sanitaria.
QS Edizioni srl
P.I. 12298601001

Sede legale:
Via Giacomo Peroni, 400
00131 - Roma

Sede operativa:
Via della Stelletta, 23
00186 - Roma
Direttore responsabile
Luciano Fassari

Direttore editoriale
Francesco Maria Avitto

Tel. (+39) 06.89.27.28.41

info@qsedizioni.it

redazione@qsedizioni.it

Coordinamento Pubblicità
commerciale@qsedizioni.it
    Joint Venture
  • SICS srl
  • Edizioni
    Health Communication
    srl
Copyright 2013 © QS Edizioni srl. Tutti i diritti sono riservati
- P.I. 12298601001
- iscrizione al ROC n. 23387
- iscrizione Tribunale di Roma n. 115/3013 del 22/05/2013

Riproduzione riservata.
Policy privacy