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Salute delle donne. Dall’Agenas le prime linee guida al femminile


Riguardano le malattie cardiovascolari e la sindrome da stanchezza cronica, le prime due linee guida gender oriented elaborate dagli esperti dell’Agenas. Fanno parte di un pacchetto di misure e indicazioni dell’Iss, per affrontare in modo diverso le problematiche della salute al femminile. Un numero speciale tutto in rosa del mensile Monitor che vi presentiamo in anteprima.

09 DIC - La rivista dell’Agenas, Monitor, pubblica oggi un numero dedicato quasi interamente alla medicina di genere. A distanza di cinque anni dal primo Monitor “rosa” (n.12, 2005), si torna sull’argomento per parlare di salute riproduttiva, con due studi sui parti cesarei in Italia, ma non solo. Perché si è ormai compreso che per tutelare la salute delle donne occorre tenere conto di molte differenze, biologiche e sociali, fino ad oggi ignorate. Non si può più pensare ad una sanità “a misura d’uomo”, dove ricerca, organizzazione dei servizi, terapie si costruivano pensando ad un indifferenziato utente/paziente, che in realtà si rivelava essere prevalentemente maschio.
Occorre invece tenere conto delle differenze e costruire un sistema di conoscenze adeguato, che sappia offrire alle donne, e agli uomini, risposte appropriate alle loro esigenze di salute. E in questa direzione vanno molte iniziative raccolte in questo numero di Monitor: il programma strategico nazionale dell’Iss, la ricerca farmacologica, le Linee Guida al femminile.

La salute in un’ottica di genere
“La medicina di genere è un approccio che riconosce e studia le differenze e le somiglianze tra uomo e donna dal punto di vista biologico e funzionale, ma anche i comportamenti psicologici e culturali che traggono le loro origini dalle tradizioni etniche, religiose, educative, sociali”, muovendo dal riconoscimento che le donne siano “ancora spesso svantaggiate nella tutela della loro salute”.
Partendo da questa premessa, Bruno Rusticali (responsabile Agenas per le Linee Guida) e Federica Petetti (Agenas) tracciano un quadro della sanità italiana “in un’ottica di genere”.
Il dato di partenza è quello delle malattie per le quali le donne presentano una maggiore prevalenza rispetto agli uomini: osteoporosi (+ 736%), tiroide (+500%), depressione e ansietà (+123%), cefalea ed emicrania (+123%), Alzheimer (+100%), cataratta (+80%), artrosi e artrite (+49%), calcolosi (+31%), ipertensione arteriosa (+30%), allergie (+9%), diabete (+8%), alcune malattie cardiache (+5%).
Una particolare attenzione va dedicata alle malattie cardiovascolari, un tempo considerate patologie maschili, ma che oggi sono la principale causa di morte per le donne tra i 44 e i 59 anni.
Proprio per questo si è pensato di creare Linee Guida al femminile sulle malattie cardiovascolari, sintetizzate proprio in questo numero di Monitor.

Linee Guida al femminile: malattie cardiovascolari e sindrome da stanchezza cronica
Due Linee Guida gender oriented, una dedicata alle malattie cardiovascolari e l’altra alla sindrome da stanchezza cronica (Cronical fatigue sindrom – Cfs), messe a punto da Agenas nell’ambito del Programma strategico nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità rivolto alla medicina di genere.
Negli ultimi trent’anni, si legge nella presentazione della prima di queste LG, “le malattie cardiache e l’ictus cerebrale hanno registrato una crescita esponenziale e rappresentano oggi la principale causa di mortalità e invalidità ‘femminile’ nel mondo occidentale”. In Italia ogni anno muoiono 120.000 donne per malattie cardiovascolari, che corrisponde a circa il 75% del totale dei decessi. Nonostante questi dati la malattia cardiovascolare continua ad essere considerata un rischio soprattutto per gli uomini e per questo, accanto alle LG si sta preparando una campagna di informazione rivolta al pubblico.
La seconda delle LG è invece rivolta alla sindrome da stanchezza cronica, che registra una netta prevalenza di donne ma che spesso viene ignorata o misconosciuta. La Cfs “non è una malattia della psiche”, e infatti nessun malato è depresso, ma spesso viene interpretata in questo modo, dai medici e anche dalle famiglie dei pazienti. La maggiore incidenza sulle donne  sembra legata a “fattori ormonali, della biochimica del sistema nervoso, fattori immunitari e genetici”.

Il programma Iss per la medicina di genere
L’Istituto Superiore di Sanità ha avviato un Programma strategico nazionale rivolto a La medicina di genere come obiettivo strategico per la sanità pubblica: l’appropriatezza della cura per la tutela della salute della donna, presentato su Monitor con un saggio firmato da Stefano Vella (direttore del dipartimento del farmaco dell’Iss) e Loredana Falzano (Iss).
Cinque gli ambiti di ricerca previsti dal Programma, che saranno sviluppati in altrettanti progetti specifici affidati a diversi enti:
•    malattie dismetaboliche e cardiovascolari (Iss);
•    immunità e endocrinologia (Ircss Istituto Dermatologico San Gallicano – Ifo);
•    attività della donna in ambienti di lavoro (Ispesl);
•    malattie iatrogene e reazioni avverse (Ass. Salute Regione Sicilia);
•    determinanti della salute della donna, medicina preventiva e linee guida (Agenas – Ass. Igiene e Sanità Regione Sardegna).

Farmacologia di genere
Firmato da Flavia Franconi (Univ. di Sassari), Ilaria Campesi (lab. Naz. Inbb) e Antonio Sassu (Univ. di Cagliari), il saggio pubblicato da Monitor sulla farmacologia di genere contiene molte indicazioni importanti per il futuro della ricerca.
Il dato di partenza è che la ricerca preclinica e clinica sui farmaci “è stata fatta prevalentemente su soggetti di genere maschile”, “riconoscendo una specificità al genere femminile solo nel settore riproduzione”.
Questo significa che non si è tenuto conto delle differenze di genere sia per quanto riguarda la farmacocinetica che la farmacodinamica. Così la messa a punto del farmaco si è rivelata non del tutto appropriata per le donne, ma anche per gli uomini riguardo alle patologie considerate “femminili” come depressione, emicrania o osteoporosi. Non a caso le donne hanno un rischio maggiore (1,5-1,7 volte) di sviluppare eventi avversi utilizzando farmaci. La richiesta è dunque quella di un’analisi genere-mirata, che consenta ad ambedue i generi di ottenere i migliori risultati possibili dai farmaci disponibili.

Il parto cesareo in Italia
Sono due gli studi pubblicati da questo numero di Monitor dedicati ai parti cesarei in Italia.
Il primo, firmato da Bruno Rusticali e Emidio di Virgilio, ripercorre sinteticamente la storia del parto cesareo, dall’antichità fino alle “Raccomandazioni” prodotte dalla Figo (Federazione italiana ginecologi ospedalieri) secondo cui un cesareo senza indicazioni mediche non è eticamente giustificabile. Tuttavia, scrivono Rusticali e Di Virgilio, “i tentativi di definire, o imporre, un tasso ideale di cesarei sono futili, quasi sempre inutili e dovrebbero essere abbandonati”.
Segue poi un’analisi dei dati Sdo disponibili, aggiornati fino al 2009, arricchita da un sintetico quadro delle realtà regionali che mostra come il tasso medio si sia sostanzialmente assestato negli ultimi anni intorno al 38,4%, ma con differenze importanti tra una Regione e l’altra.
A motivarla si ipotizza possa esserci una “ostetricia difensiva, legata cioè alla’incidenza di preoccupazioni di tipo medico legale e risarcitorio”. Ma per comprendere meglio questo fenomeno l’Agenas ha in elaborazione un’indagine, rivolta ai ginecologi, per individuare il peso dei fattori non clinici nella scelta del parto cesareo.
Il secondo studio dedicato ai parti cesarei è quello firmato da Danilo Fusco, Marina Davoli, Adele Lallo e Carlo Perucci. Lo studio si inserisce nel Pne (Programma nazionale esiti) del Ministero della Salute e utilizza l’indicatore di “parto cesareo primario”, distinguendo così tra le donne che abbiano subito o meno un precedente cesareo. “Aggiustando” le percentuali attraverso questo indicatore, lo studio pone in evidenza come “le caratteristiche dell’offerta condizionano fortemente l’impatto del fenomeno nella popolazione”. È dunque intervenendo sulle strutture, più che sulle donne, che si può pensare di ricondurre il ricorso al taglio cesareo ad una maggiore appropriatezza, relativa soprattutto alla salute della donna.
E.A.
 

09 dicembre 2010
© Riproduzione riservata


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