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Federalismo. Cerm: “Rischio flop con emendamenti Regioni e Senato”


L'istituto di ricerche guidato da Fabio Pammolli lancia l'allarme. Almeno quattro proposte di modifica del decreto sul federalismo fiscale e i costi standard sanitari, avanzate dalle Regioni e contenute nel documento bipartisan del Senato, rischiano, se accolte, di affossare il federalismo sanitario.

10 DIC - Il Cerm ha passato al setaccio le proposte emendative al decreto sul federalismo fiscale e i costi standard sanitari, avanzate dalle Regioni e deducibili dal documento bipartisan della . Ne emerge un’analisi senz’altro utile (al di là di come la si pensi in proposito) per capire lo stato dell’arte del dibattito e Commissione Sanità del Senato per farsi un'idea di potrebbero essere gli sbocchi di un confronto difficile che al momento appare senza sbocchi.
Evidenziate alcune questioni sollevate da Regioni e Senato che, pur con qualche distinguo, potrebbero trovare accoglimento nell’impianto del decreto senza stravolgerne le finalità, secondo il Cerm esistono però alcune proposte emendative che , se accolte, potrebbero scardinare il federalismo fiscale proposto dall’Esecutivo.
Tra i punti di maggior attrito con l’attuale impostazione del decreto che,è bene ricordarlo, trova nel Cerm un sostanziale apprezzamento, i due firmatari del Report, Fabio Pammolli e Nicola Salerno, individuano quattro “punti inaccoglibili”, a meno di snaturare il decreto e la ratio della standardizzazione.

Il primo è l’inserimento, nel gruppo delle Regioni benchmark, di almeno una rappresentante del Nord, del Centro e del Sud, e di almeno una Regione di piccole dimensioni. “Il benchmark, per essere tale - scrivono nel loro Report - deve essere espressivo di condizioni di efficienza. Definire un benchmark è fondamentale per innestarvi, in modalità chiara e inequivocabile, gli strumenti idonei a supportare la redistribuzione territoriale”. Per questo “una redistribuzione implicita nell’allentamento del benchmarking è da evitarsi, perché diminuisce la comprensione del sistema e l’incisività della governante”. Come è opinabile “che la Regione piccola possa aiutare a considerare condizioni di produzione/erogazione sfavorevoli: da un lato non è detto che le economie di scala siano crescenti, nei singoli comparti assistenziali e nell’aggregato; e, dall’altro, non si deve trascurare che l’aggregato regionale, per piccola che possa essere la Regione, è comunque già al di là della soglia necessaria a supportare i costi fissi di infrastrutture ospedaliere, apparecchiature, servizi di collegamento ospedali-territorio. Esempio ne sia il fatto che, nelle analisi di benchmarking sinora circolate, l’Umbria, la quinta Regione più piccola d’Italia, si posiziona ai vertici.

Il secondo aspetto che se accolto affosserebbe la rifoma sta nelle forme di correzione/depurazione della spesa corrente che le Regioni vorrebbero introdurre. Secondo il Cerm, tranne le correzioni relative al saldo di mobilità, andrebbe infatti evitata qualsiasi altra forma di aggiustamento della spesa. “Fintantoché la spesa origina in prestazioni Lea, essa - sottolineano i due ricercatori - andrebbe considerata integralmente, indipendentemente dalla natura delle fonti di finanziamento utilizzate per fronteggiarla (se del Fsn, incardinate nel Fsn, o dei bilanci regionali). Il tema dell’inserimento di spese extra Lea già di fatto a carico del bilancio pubblico, come suggerito dalla Conferenza delle Regioni, andrebbe affrontato da un altro punto di vista: come revisione/ammodernamento del perimetro dei Lea, in armonia con la disponibilità di risorse”.

La terza bomba a orologeria, sempre secondo quanto si deduce dal rapporto Cerm sta nell’appropriabilità tout court dei risparmi. “Se, come negli emendamenti proposti dalle Regioni -osservano i ricercatori - questo principio viene affermato in maniera generale e assoluta, esso potrebbe rendere virtuali, anche un mero cambiamento contabile, i risparmi connessi al riassorbimento degli scarti tra spesa storica e fabbisogno standard. Quelle risorse devono essere effettivamente liberate e canalizzate su finalità meritorie, ivi incluso il rafforzamento delle prestazioni sociali e socio-sanitarie che vedono impegnati assieme Regioni e Enti Locali sottesi”.

E infine l’ultimo punto di sicuro attrito con il decreto del Governo è per il Cerm il mantenimento della distinzione tra Regioni ordinarie e Regioni speciali. “Il problema va affrontato, e se non lo si fa adesso si rischia che il federalismo nasca e si sviluppi con delle “zone d’ombra”, delle disparità di trattamento che poi potranno pesare sui rapporti tra Regioni, e riemergere periodicamente, soprattutto nei momenti di crisi, e l’occasione - sottolinea il Cerm - è data proprio dal riesame delle funzioni pubbliche che devono essere espletate e dalla valutazione delle risorse efficienti necessarie allo scopo. Dalla standardizzazione della spesa sanitaria emergono scostamenti percentuali macroscopici per Sicilia, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta, e questi risultati trovano conferma in metodologie di analisi diverse. Se si accolgono eccezioni di specialità ex-ante per applicare standardizzazioni ad hoc o con deroga, inevitabilmente tutta l’impalcatura ne risulta indebolita”.
 
 
 

10 dicembre 2010
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