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Una riflessione dalla Toscana sull'indagine della Camera sulla sostenibilità del Ssn

di Andrea Vannucci

Mai come oggi un sistema sanitario pubblico, fondato sui principi dell’universalità e dell’equità, deve rinnovare la ricerca di una qualità sostenibile. Chi in Toscana governa il sistema sanitario ha sentito la necessità di una vigorosa riorganizzazione, i cui contenuti si sono iniziati a definire dalla fine del 2012. Ma fondamentale è il ruolo di chi in sanità ci lavora

27 MAG - Cambiamento demografico e mutamento del quadro epidemiologico, crisi finanziaria e morale, invecchiamento e decrescita dei professionisti sanitari, rallentamento degli investimenti in ambito sanitario e sociale sono tutti pericoli per la sostenibilità di un sistema sanitario nazionale che mostra elementi di criticità e, soprattutto, drammatiche differenze regionali. Le anticipazioni sulle conclusioni dell’Indagine conoscitiva: La sfida della tutela della salute  tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica, redatta dalle Commissioni riunite V (Bilancio, Tesoro e Programmazione) e XII (Affari Sociali), mostrano consapevolezza che la nostra capacità è chiamata a rispondere a questi cambiamenti e le responsabilità che i differenti livelli: politici, amministrativi, gestionali e professionali, dovranno assumersi per assicurarci un futuro non regressivo.

A oggi nella mia Regione, la Toscana, gli indici di salute e le performance globali del sistema sanitario mostrano una buona tenuta. Tuttavia, mai come oggi un sistema sanitario pubblico, fondato sui principi dell’universalità e dell’equità, deve rinnovare la ricerca di una qualità sostenibile. Chi in Toscana governa il sistema sanitario ha sentito la necessità di una vigorosa riorganizzazione, i cui contenuti si sono iniziati a definire dalla fine del 2012. Un lavoro politico e tecnico ha individuato come aree d’intervento strategiche la centralità delle cure primarie, la connessione tra territorio e ospedali, un’organizzazione meta aziendale della rete ospedaliera, una centralizzazione ragionata della rete dell’emergenza, dell’attività di laboratorio e di quelle trasfusionali, lo sviluppo di un sistema ICT e un unico ente regionale per l’acquisizione di beni e servizi. A più di un anno di distanza e nonostante buone dosi di resistenza ai cambiamenti, sembra una buona strada, che tiene conto di alcuni vincoli, affronta reali e persistenti necessità ed è predisposta a cogliere rilevanti opportunità.

Il primo vincolo, perdurante, è quello dello stato della finanza pubblica con improbabili futuri incrementi del rapporto tra disponibilità di spesa sanitaria e PIL, soprattutto in condizioni di tassi di crescita d’incerta consistenza nei prossimi anni. La prima necessità, perdurante, è quella di un rinnovamento riformatore in grado di combinare e coordinare questioni sanitarie (governance del sistema, modelli di azienda più snelli ed efficienti, metodi di programmazione più consapevoli delle risorse e degli impatti delle scelte, responsabilizzazione dei cittadini) e questioni della conoscenza e della pratica medica (apparati concettuali, modelli di conoscenza, contenuti professionali, prassi operative). L’opportunità imperdibile sarà quella di ottenere risultati all’altezza dello sviluppo della conoscenza e del progresso scientifico, mantenendo una visione della salute che la considera un fattore per la crescita e perseguendo politiche d’investimento su un sistema sanitario innovativo e sostenibile, che crea lavoro qualificato e benessere.

Per riuscire a farlo, soprattutto in questo drammatico periodo, la “gente” della sanità chiede, giustamente, di contare e di non essere lasciata da sola, per esprimere tutto il proprio potenziale, ma deve anche imparare a non dividersi nella difesa di particolarismi che guardano, senza speranza e utilità, al passato.

Cito la risposta della Toscana alla crisi, per confrontarla con i temi del documento delle Commissioni riunite che affermano, in premessa, che il sistema sanitario nazionale costituisce un valore insostituibile. Un’affermazione importante di questi tempi. Sono poi elencati diversi temi salienti, ma non c’è traccia di come affrontarli.

Si ha l’impressione di un elenco di dettagli, sia pure importanti, di un approccio più analitico che progettuale. Si parla di un nuovo modello di governance a livello centrale e periferico, della rimodulazione dei servizi territoriali e delle cure primarie, di un rinnovato criterio di ripartizione del finanziamento del welfare sanitario, della garanzia dell’appropriatezza (che io propongo di cominciare a chiamare direttamente “efficacia”, che così anche i cittadini capiscono), del superamento dei costi standard così come da precedenti proposte, introducendo un sano concetto di misurazione del valore, una minore apprensione al fare e una maggiore cultura del controllo efficace e trasparente per sviluppare la sussidiarietà degli erogatori, combattere la corruzione e l’illegalità che esistono e costano. Bene, e poi…?

A questo punto chiediamoci: come devono essere e cosa possono fare i professionisti della salute? Perché è da loro che tanti cambiamenti sostanziali possono prendere l’avvio. I medici, prima di ogni altra cosa, dovrebbero riappropriarsi di un ruolo sociale e politico che renda la giusta evidenza della loro utilità, che va oltre le loro conoscenze puramente tecnico-scientifiche-biologiche riferite ai corpi e non alle persone. Un ruolo che dipende non solo da saperi capaci di determinare effetti terapeutici e dunque benefici, che richiede non solo di prendere decisioni scientifiche, ma anche morali e politiche. E’ necessario che responsabilmente si riapproprino della leadership sociale che deriva dal reale ed effettivo possesso dei mezzi capaci di risolvere i problemi che oggi la società civile e i malati pongono  come domanda di salute.  In questo i manager che stanno nelle aziende sanitarie li devono capire ed aiutare perché è indispensabile per la collettività che siano all’altezza del compito e capaci di generare non solo risultati terapeutici, ma anche culturali .

Tutte le forme organizzate di lavoro nei micro come nei macrosistemi sanitari per essere adeguate ai tempi attuali devono interagire validamente con la complessità: i dilemmi della medicina, l’evoluzione delle professioni sanitarie, la velocità dell’innovazione scientifica e tecnologica, i limiti economici – finanziari, le ragioni etiche. Per riuscirci, sia le persone sia le organizzazioni, devono essere capaci di valorizzare le relazioni umane. Non è uno slogan ma un fondamentale, attuale e virtuoso. Che cosa intendiamo con ciò? Prima di tutto che la relazione non riguarda solo i rapporti pazienti – curanti, ma anche quelli tra tutte le persone che stanno o che hanno a che fare con una comunità lavorativa. In secondo luogo, liberiamoci in modo definitivo dall’idea del ”paziente al centro” così come viene comunemente espressa perché è demagogica e concettualmente sbagliata, costituendo  una sorta di visione tolemaica della partecipazione. Relazione è confronto d’idee, apertura, reciproca assunzione di responsabilità.

La particolare complessità delle organizzazioni dedicate a curare persone è tale proprio in funzione delle implicazioni sociali, umane, oltre che economiche, che derivano dalla loro gestione. L’azienda sanitaria ha caratteristiche organizzative singolari e precipue: l’autonomia medica, le forme di cooperazione, in genere contingenti e flessibili, con relazioni più caratterizzate da lateralità che da linee gerarchiche e la frammentazione tra molteplici comunità. Medici e infermieri dovrebbero essere abili nel muoversi in una contemporaneità di modelli di lavoro diversi e variegati, funzionali al malato, al processo e all’organizzazione. E’ la flessibilità nell’uso dei modelli che aiuterebbe a rendere l’intero sistema efficace e resiliente, senza relegarlo in rigidità mentali e di processo che penalizzano i risultati che sia i malati sia i professionisti vorrebbero. Che ognuno possa fare bene il suo mestiere con la consapevolezza che tutto dipende da tutti.

Quanto poi a protocolli, procedure, percorsi diagnostici terapeutici, relazioni sindacali, cornici contrattuali, tutti importanti, ma quante cose nascono come garanzie di qualità ed equità e diventano vincoli e sovrastrutture disfunzionali. Parliamone ma soprattutto lavoriamoci.

Andrea Vannucci
Medico, coordinatore Osservatorio Qualità ed Equità, Agenzia regionale sanitaria della Toscana

27 maggio 2014
© Riproduzione riservata


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